La luce della notte di Kaunas

30 Ott
Questa sera non ho ancora abbassato le tende, e dall’alto del mio settimo piano si vede una buona fetta di città.

Da qualche parte, e non so perchè, sale la voglia di spegnere il computer e ripartire, andare a vedere cosa c’è dietro quelle luci che si perdono laggiù in fondo, sicuro di trovare qualcosa anche se non dovessi trovare niente: solo la possibilità di vedere qualcosa di nuovo, che oggi è a portata di mano e domani chissà, avrebbe la forza di far scattare la molla.

E’ il motivo principale che mi ha portato qua, a volere a tutti i costi l’Erasmus il prima possibile e a scegliere questa base strategica per poterlo vivere sempre con lo zaino in spalla, consapevole del fatto che ogni direzione prenda il primo autobus disponibile sarà un posto da vedere.

Klaipeda, Riga, Vilnius non hanno fatto altro che farmi salire l’appetito, la voglia di posare i miei piedi su tantissime altre terre che tanto comunque non potrò mai assimilare pienamente, ma con un bombardamento costante di emozioni riuscirò comunque a farmi una mia personalissima cartolina mentale di ogni posto, che rimarrà dentro di me per sempre. Mio.

Non è un modo alternativo per dire che Kaunas mi sta stretta, che il solito demone che si è insediato dentro di me da un po’ di tempo mi porta ad essere in qualche modo fuggitivo sempre. Da che cosa, poi, non lo saprei nemmeno dire. I legami sociali che mi incollano alla sedia sono invece un’entità concreta, e si materializzano sottoforma di impegni universitari, di bisogno umano di identificare un qualcosa come la propria Casa, di stupenda cornice di persone che mi circonda in questo nido.

E poi c’è la necessità, necessità fisica, di rifiatare ogni tanto, lavare i vestiti e aspettare che si asciughino, togliere da sotto gli occhi per un attimo lo zaino e quando le pile sono cariche riempirlo di corsa e ripartire. E la necessità mentale di sentire l’impulso del ripartire, per evitare di sentire come un qualche impegno da assolvere una delle cose più naturali e primitive che si possano fare. Camminare.

Ho spostato lo sguardo, poco più in basso della finestra c’è un libro. L’unico libro che mi sono portato dall’Italia (finchè Alessandro non verrà a riprenderselo). Un indovino mi disse, di Tiziano Terzani. Per qualcuno un semplice libro, per qualcuno un insieme di sogni per i momenti di svago tra cumuli di stress, per qualcuno la Bibbia.

Per me, la forza che fa scattare la molla.

7 Responses

  1. Anonymous ha detto:

    un indovino ti prevede che la sindrome che ti sta colpendo si chiama dromomania….

    anoninimo indovino del presente

  2. stefy_kn ha detto:

    Questa volta ti sono proprio entrata nel cervello.
    Nella tua stanza, a Kaunas, nella tua mente. perche hai spiegato esattamente quello che succede anche a me, purtroppo in ambienti diversi e soliti ma succede anche a me…

    yak sandro!

  3. bunja ha detto:

    Uno dei post migliori! Giaggiggia… la racconti bene la tua turbolenta notte interiore mio caro…!
    Cammina piu’, adesso che sei li!

  4. Anonymous ha detto:

    Grande.

    Anonimo estimatore di storie di fuga

  5. il senso dell'effimero ha detto:

    Niente da dire, è un po’ che ti seguo e devo dire che questa volta sei arrivato alla meta. Non voglio dirti chi sono nemmeno io, non prendertela a male, ma potresti fare una faccia strana se lo sapessi.
    Ti dico solo: continua così!
    Sei una persona sensibile, e tra chi ti legge ci sono sicuramente un bel po’ di persone sensibili; loro riusciranno ad arrivare nel vero significato di ciò che traspare e ciò che non traspare. Certi commenti lo testimoniano appieno.
    vai così

  6. illuca ha detto:

    “…non dirmi che non ci sei stata mai…che non vorresti esserci andata mai…che preferisci rimanere qua, nella provincia…denuclearizzata…a sei kilometri di curve dalla vita…”

  7. zand ha detto:

    Aciu a tutti.

    Luk di chi è quella citazione? Una tua frase mitica con qualche svegliona?

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Diary of a Baltic Man

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