Chiunque in preda al panico alla curiosità o perchè autista dei furgoncini Bo-frost  abbia percorso qualche kilometro sulle strade delll’Italia odierna, soffermandosi non tanto a Torino Bologna o Palermo quanto a Romagnano al Monte, Coccomaro Di Sotto e (tutti no, son più di 7000) quegli altri paeselli lontani dalla grazia d’Iddio, lo sa.
Sa che, nonostante l’Italia sia bbbella perchè varia, sono presenti ovunque quelle caratteristiche tipiche del borgarello italiano che costituiscono un basilare punto d’appiglio in caso di smarrimento, sacrali totem esenti da leggi e balzelli proprio perchè pilastri dello Statuto di ogni infinitesimale frazioncina:
– il Bar Sport. Apatico e pacioso, brulicante di pensionati in canottiera.
– i pensionati in canottiera.
– insulti a sfondo calcistico su muretto.
– Sagra/Fiera del più improbabile alimento.
– Chiesa/chiesetta/cappella/pilone dedicato a una versione della Madonna.
– Negozio di alimentari con fastidiose pseudo-tende all’ingresso.
Bene. Quello che sfugge, quello che unifica, quello che davvero è immancabile dalla confine alpino alla lontana Lampedusa è però tutt’altra cosa. Irrinunciabile. Il manifesto del circo di Moira Orfei. Talvolta sbiadito, solitamente arancione, quasi sempre ciclopico. Ebbene sì, è lei il simbolo di unità di quest’Italia del XXI secolo, è lei il trait-d-union tra le mille culture e i milioni di dialetti. E’ lei che Bossi deve combattere, altro che quel Garibaldi.