Domenica mattina

26 Mar

Si parlava di caffé, di questo strano mondo che esige visti alle persone ma consente alla carta igienica di viaggiare in lungo e in largo, di borse di studio per l’universitá in Canadá e del trio jazz della serata precedente. Disegnando nell’aria progetti irrealizzabili, pregustando il sangue in bocca di chi si butta a testa bassa nello stretto sentiero tra fantasia e “realtá”. Messa tra virgolette perché cosí dice il grande scrittore, una delle poche parole che non hanno e non possono avere un senso né logico né semantico né letterario.
Tutto sui nostri documenti significava differenza, il colore della pelle, il continente di legale cittadinanza, il sesso, perfino l’etá. E tutto mostrava, ancora una volta, come i documenti non hanno nessun senso, pezzi di carta utili su cui scrivere poesie o in alternativa pulirsi il culo, o scrivere poesie per poi pulirsi il culo, e rinnegare ogni significato romantico al bisogno d’espressivitá come forma d’arte in stato fetale. Volavamo nei cieli bassi dei nostri amori impossibili, soli di fronte ad uno specchio appannato dai nostri respiri. Il tuo artista di strada, la mia chimera lontana, il flirt con il giornalista portoricano, le lunghe mani della tentazione in un film di Fellini. E quello scrittore messicano, ascoltavi le mie storie di mondo e rileggevi nella tua mente vecchie pagine lontane, oggi navigo tra le sue parole ed in silenzio penso a te. Tutt’intorno si aggiravano poliziotti con il mitra sulla schiena, eravamo nella capitale di un paese in guerra e l’indifferenza con cui li sopportavamo era il testamento delle nostre speranze verso un mondo migliore. Era il nostro domenica mattina, tutto ció che avevamo, tutto ció che avremmo voluto avere.

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Diary of a Baltic Man

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