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Come la mettiamo con l’usura?
Archive for luglio, 2010
Timcula
Continuidad de los parques
Adri è una di quelle persone che, qualsiasi cosa propongano, è impossibile dire di no.
E il problema sta proprio qui, nel costante bombardamento di idee che la contraddistingue, progetti incrociati tra musica e letteratura, tra documentari e festival di ogni tipo, tra inviti per un gelato alla panna fatto apposta per passare un pomeriggio insieme ed infinite conservazioni intorno al tutto ed basate sul nulla.
L’ultima, poi, è geniale. Un blog sottoforma di “conversazione infinita”, due o tre persone sedute intorno ad una panchina, alle quali se ne aggiungono altre, ed altre, ed altre ancora. Gente di ogni lingua, genere ed età , che abbia qualcosa da dire, o semplice voglia di stare ad ascoltare. Continuidad de los parques, si chiama il blog, dal titolo di un racconto di Julio Cortà zar. E funziona così: ogni post è una continuazione indipendente di quello precedente; aggiunge un’opinione al già detto ma sposta la converesazione su un altro argomento, che può essere completamente trasversale o riprendere considerazioni di chi ha parlato dieci minuti prima. Semplice no?
Tutti invitati, quindi. A sedersi sulla panchina e non andar più via, o anche solo a fermarsi un momento per dire, ognuno, la sua, e poi continuare a navigare in solitaria. L’idea nasce in spagnolo, ma è necessario che si sposti presto all’italiano, all’inglese ed al tagiko. I parchi sono ormai abbandonati ai vagabondi, ai disperati, a chi ha ancora qualcosa da dire.
Sul concetto di “arte”, in Provincia
Come difendersi da un luogo in cui gli unici segnali di passaggio del tempo sono rappresentati da Pasquette Capodanni e Feste delle Birre spesi ad annebbiarsi, dove la vitalità si misura sugli ettolitri di alcol vomitati o dai record di coma etilico segnati nella festa di compleanno del ’95, un luogo dove i gggiovani votano in massa leganord e riescono a dimostrare una qualche forma di interesse solo di fronte ad oggetti che si muovono da soli, nei quali investono anni di sudati stipendi e, a volte, muoiono?
Semplicemente, fuggendo.
E’ la Provincia, la provincia di sempre, raccontata dai ligabue, dai vaschi, dagli storici finti maledetti di sempre. Dai maledetti di provincia. Ma è anche una provincia che significa, vagamente, “casa”, e che rappresenta un baricentro costante tra il romanticismo bucolico e l’isteria postmoderna, tra la genuina grezza semplicità e le dinamiche ipocrite del mondo degli altri.
E c’è anche una Festa della Birra, nella mia Provincia. O meglio: c’è SOLO una Festa della Birra, nella mia Provincia. Le maiuscole sono d’obbligo. Storica, rassicurante, devastante, anestetizzante, alcolizzante, massiva, identitaria, eccetera. La Festa della Birra è semplicemente “la festa”, “l’evento” intorno a cui tutto ruota. E’ il “soma“, la droga ideale descritta nel romanzo di fantascienza Il mondo nuovo (Brave New World) di Aldous Huxley. Capace di bandire qualsiasi forma di sofferenza, di annullare la percezione dei propri bisogni ed in particolare, delle necessità umane. Prima su tutte, quella espressiva. Attiva o passiva che sia.
Sì, perchè il problema sorge nel momento in cui, nei giorni immediatamente successivi alla Festa, con gli ospedali ancora caldi di barelle da coma etilico ed i carabinieri che si fregano le mani per le quantità di punti decurtati, gli iscritti al gruppo su facebook ricevono un messaggio tipo questo: “Centinaia di fotografie raccontano 5 giorni di un’avventura alcolica…gli stati piu’ pietosi sono diventati arte per mano della nostra “anima dei ricordi” che non ringrazieremo mai abbastanza….soprattutto per quello che NON ha pubblicato! Cercatevi e taggatevi…se nn siete sicuri di essere PROPRIO VOI…ricordatevi che con ogni buona probabilita’ eravate abbastanza ciukki da prendere quella forma!!“.
“Gli stati più pietosi sono diventati arte”. Ora: è proprio questo il problema. Considerare “arte” l’immagine di se stessi claudicanti e deliranti, così fantasticamente, artisticamente ciukki come Bukowski, o Bon Scott. Una notevole ammissione di decadenza nel Paese di Michelangelo e Pasolini, perbacco. Ma soprattutto, una notevole occasione sprecata per canalizzare la naturale (e legittima! Sacrosanta! Ammirevole!) voglia di evasione di un’intera popolazione giovanile verso qualcosa di più profondo, ed “evasivo” per davvero (Concerti seri. Installazioni artistiche. Proiezioni video. Notti di musica elettronica vera. Danze tribali africane. La discografia di Albano trasmessa in loop per cinque giorni consecutivi. Qualsiasi cosa che non sia una coverband, per favore).
Viene in mente la mail di un caro amico, un osservatore professionale. Curioso di conoscere la famosa Festa della Birra, quest’anno ha partecipato in prima persona. La sua mail “a freddo”, in parafrasi della sopracitata Soma: “Curioso come, attraverso l’alcool distribuito con grande generosità da capitalisti parassitari, si riesca a trasformare un parcheggio nell’evento mondano più importante di un’intera vallata“.
Detto questo, andate in pace. Cercatevi e taggatevi.
Indicazioni di v(u)oto continua
SolidarietÃ
…ad un Compagno di Viaggi, che è corso dietro alle strade fino a laggiù dove finisce l’asfalto. Dove la coscienza dei “giusti” solitamente spinge una mano sul naso e l’altra sugli occhi, c’è chi sceglie di agire, di mettere pezze là dove “la democrazia” sono bombe che cadono su artigiani, taxisti, studenti e disperati.
Perchè c’è una guerra.
E noi siamo “il nemico”.
Considerazioni sociologiche da postino part-time
..una figura in netta decadenza, si sa. I postini, ma anche i preti, non sono più quelli di una volta. Eppure continuano ad essere – entrambi, indiscriminatamente – l’ultimo ponte di collegamento tra intere comunità di anime abbandonate a se stesse ed entità (Dio, Stato…) che un poco alla volta paiono dimenticarsi di loro.
Il postino di un paesello X in una provincia X a bassa densità abitativa, per esempio, inerpicandosi su per quelle stradine dal classico “qui ci passa solo il postino”, scopre un mondo fatto di cascine abbandonate, pietre di Langa gettate alle ortiche, stoiche vecchiette dal fazzoletto in testa e lo sguardo duro che ancora resiste, e non si piega alla logica illogica di un Paese che costruisce e distrugge, là dietro il campo d’orzo ormai cotto dal sole di luglio.
Un paio di chilometri più in là , invece, lo sguardo è spento. Il signor C. ha smesso di camminare e anche di parlare, e d’altra parte, lui non sa il bielorusso e Tatsiana non parla piemontese. L’italiano è lingua straniera per tutti e due, e comunque non ci sarebbe più niente da dire. Entrambi aspettano il giornale del venerdì, e forse anche qualcosa di più.
Il postino continua ed è insensibile, è un pezzo qualsiasi di un ingranaggio che va avanti comunque. E si arrampica per le colline, a portar cartoline e bollette ad un paesino che nessuno sa più dove sia. Cent’anni qua ci vivevano cinquecento persone, gli dice la segretaria comunale. E lui pensa al condominio anni settanta, laggiù in città , il primo del lungo giro. Tutta la posta del paesino anoressico starebbe nelle sue buche delle lettere, strano ma vero.
I giornali. Settimanale cattolico-ecclesiastico. Settimanale cattolico-bigotto-locale. Settimanale cattolico-nazionale, un pezzo di storia nazionalpopolare. Un quotidiano nazionale qua e là , nei ristoranti. Svariati magazine di agricoltura. Un nome femminile abbonato a Umanità Nova, settimanale anarchico. Chissà se un’anarchica accetta inviti a cena dai postini.
I colleghi. In buona parte, gente repressa. Gente frustrata. Gente che ascolta tutte le mattine lo stesso cd, per di più, un pessimo cd. Gente che aspira ad un briciolo di potere in più per riversare la loro mediocrità sugli altri, e vive di intrighi. Qualcuno – pochi – aspetta in serena meditazione il momento della fuga. Gli altri s’incazzano, berlusconi ha aumentato ancora l’età della pensione.
Tanti stranieri, ovunque. Quelli buoni, che comprano le case di pietra, tirano giù l’intonaco che qualche genio appiccò negli anni cinquanta, e si nascondono tra faggi e vigne, parlano tedesco. Quelli cattivi, che hanno i nomi pieni di “h”, e ricevono solo atti giudiziari perchè rubano e violentano neonati. Tutti, buoni e cattivi, sono “stranieri”, e continueranno ad esserlo sempre. Anche dopo vent’anni.
Senso di abbandono. Nessuno scrive più cartoline, solo i bambini ai loro nonni. La signora Franca, vedova, ogni giorno si affaccia e chiede “c’è qualcosa per me”. Ogni tanto arriva una bolletta. Al venerdì, il giornale. Nei giorni di vacche magre, deve accontentarsi dell’immondizia pubblicitaria dei grandi magazzini. Sei bottiglie d’acqua a un euro e quarantanove, bisogna accontentarsi.
Caprioli. Cinque, piccoli, bellissimi. Una madre spaventata, i cuccioli che non hanno ancora capito bene che esistono rumori amici e rumori nemici, e quello del motore, è sempre nemico. Rimangono storditi, scivolano, si rialzano. Poi scappano giù, nel loro angolo di selva, nella loro valle ancora selvatica, nella terra sacra che si incunea tra l’acciaieria, l’autostrada e la civiltà .
Molteplici altri di noi stessi
In un bel giorno di sole del duemilacinquantatre, quando leggerai che la popolazione umana ha toccato quota dodici miliardi di esemplari, ti verrà un colpo. Poi ti avvicinerai verso lo specchio, e cercando tra i cassetti della memoria, ricorderai che nel vicino 2000 si superarono i sei miliardi. Farai un rapido calcolo, e scoprirai che nel corso della tua misera vita, l’essere umano ha raddoppiato se stesso. Come una cellula, come una piaga. E ancora una volta il tuo essere materialmente presente su questo pianeta subirà un inevitabile attacco alle radici; e finalmente, morirai.
Mater
Si muovono a piccoli passi tra la folla accelerata, braccio sotto il braccio e sole con se stesse. Due vite agli antipodi tra le pietre della citta’ millenaria; donne palesemente sole schiacciate da  un mondo di esuberanza maschile all’ora di pranzo. Splende il sole sui vicoli del porto, splende il sole piu’ in su delle case piu’ in su del cielo, splende il sole la’ nello spazio e nel tempo perduto.
Si muovono a piccoli passi con gli occhi fissi nel vuoto, cercando tracce di un passato, di un paese, di un figlio. Di un uomo. Donne sole abbandonate alla deriva. Occidente dimentica in fretta le sue madri; le terre dell’est non ne hanno mai avuta una. Entrambe si incontrano in un tacito compromesso. Un pezzo di carta e duecento euro al mese, via western union. L’illusione di morire un po’ meno sola. Ma entrambe sanno che non puo’ servire a nulla, che non e’ mai servito a nulla, i sacrifici rimangono impressi sul ventre materno ed i figli crescono infastiditi da una madre che ha abbandonato periferie e famiglie per umiliarsi al servizio di vecchi d’altri popoli. I figli possono essere crudeli, si prendono la vita e ti lasciano la morte, te la lasciano in compagnia di una sconosciuta moldava.
Si muovono a piccoli passi, cosi’ uguali e cosi’ diverse. Si appoggiano una sull’altra senza incrociare mai gli occhi, e nessuno sguardo si posa su di loro, esseri invisibili da evitare con un dribbling. Solamente le prostitute zittiscono un momento, quando passano di fronte ai loro portoni. Verrebbe da chiedersi che cosa pensino mentre camminano, quelle due donne cosi’ forti, quei due esseri umani cosi’ fragili.
Poi se ne vanno in fondo alla darsena, la’ dove non si siede piu’ nessuno.
Ad osservare il mare.
Un sms da Bucarest
…sono nel cimitero “Genchea”, di fronte alla tomba di Ceausescu. Nella terra, piccola lapide con stella rossa e dedica, ormai sbiadita, del PCR. Accidenti che effetto! L’uomo che ha tiranneggiato il Paese dal 65 all’89, che ha costruito un palazzo più grande di Versallies è lì, meno di un pensionato povero.
G.