Archive for ottobre, 2010

Ode alla precarietà


29 Ott

Looking for a god

Non dipende da te, fratello. Dico, era inevitabile. Non ti sei accorto che il tempo è un vortice, una massa in costante movimento, e che negli ultimi cinquant’anni tutto si è accelerato irrimediabilmente?

Questa storia di pensare oggi che domani sarà migliore e saranno migliori anche gli scatti di anzianità e che prima o poi arriverà una pensione.
Questa storia di proiettarsi in un futuro sereno, orgogliosamente tronfi a lasciare in mano qualcosa ai figli dei nostri figli.
E ancora, questa storia di pensare che nel 2027 noi faremo.
Questa storia.
Preistoria.

La realtà si è definitivamente compromessa, e ha ceduto il passo a un’illusione usa-e-getta. Gli Dei di oggi domani dovranno essere sostituiti con nuove chimere in cui credere. Cadono i muri e si abbattono le barriere, impazzisce la logica costruita sui secoli, è il trionfo del caos. Niente più pianificazioni né certezze: la bilancia è minacciata da settemilamilioni di essere umani tutti impilati sull’altro piatto, contrappeso terribile. L’equilibrio è precario, non c’è domani possibile.

E allora difenditi, e gioca. (E allora prova a difenderti, a giocare). Perchè il mondo è diventato una roba tipo google earth, un luogo dove tu entri digiti navighi sorvoli e poi con colpo di mouse riduci drasticamente la scala. Con un colpo di mouse, tu scegli un angolo e clicchi e trascini e la mano stringe e quell'”altro mondo” di ieri improvvisamente ti si apre sotto gli occhi. Ci sei dentro. Altre facce e ambienti naturali, un universo di possibilità intrecciate tra loro, creano uno spettro potenzialmente infinito di vite possibili da inseguire. Allargano il vortice.

Ci sono aerei che ti portano dove vuoi; un inganno economico sociale a dirti che la tua moneta è ancora forte, e un libretto di trentadue pagine che riesce ad aprire altre porte. C’è una nuova dimensione che si è aperta all’improvviso, avvolge tutto in rete ed elimina il concetto di “spazio”. C’è una logica politica disegnata da un esercito di cocainomani, e prevede il “tutto e subito fino al collasso”. Non puoi combatterla.  Adeguati.

Non era esattamente il concetto di “libertà” che ti avevano messo in testa, d’accordo. Però, ci assomiglia. Con un solo colpo di spugna, hanno eliminato dalle tue caviglie quelle stesse catene in cui credevano di farti credere: lavoro, famiglia, futuro. Una generazione di disoccupati singles e disillusi, ecco cosa siete. Siatene fieri; siatelo fino in fondo. Cosa aspettate, per godervi fino in fondo i privilegi del nuovo status?

Il vortice si allarga. Ti immagino ebbro di adrenalina, cavalcandolo con una tavola da surf.

Contro le coverbands


27 Ott

Hot_Space_Queen_Tribute_Band.jpg.bigSe la musica può essere considerata uno strumento efficace per scattare una realistica fotografia sulla situazione culturale di un’intera società-, allora, ancora una volta, l’Italia è definitamente fottuta. Cinquecento anni più tardi di Palestrina, cent’anni dopo Verdi, la musica del cosiddetto “popolo” è ormai quella (scimmiottata) di altri, possibilmente in inglese.

E’ il fenomeno delle “cover-bands”, di quei gruppi di musicisti che si dilettano ad eseguire alla perfezione un pezzo scritto e interpretato, originariamente DA altri e/o PER altri. Con ambigue conseguenze, del tipo: “oh! Ho sentito una cover band dei Nirvana, tiggiuro che il cantante era uguale a Kurt Cobain. E pensa che dopo il concerto si è suicidato in un garage”.
Quando tende verso il parossismo, la cover band si propone addirittura di migliorare la versione originale, la qual cosa, si commenta da sola. (“oh! Ho sentito una cover band dei Led Zeppelin, pensa che il solo di Stairway to heaven era ancora più bello che nell’originale).

Il problema, effettivamente, sta proprio qui. Nel fatto che molte volte i membri delle varie cover bands sono veramente dei bravissimi musicisti, che per qualche inspiegabile motivo scelgono di ripetere all’infinito quattro accordi già ripetuti all’infinito, o, peggio ancora, salire su un palco vestiti come Freddy Mercury.

Perché? Bella domanda. Il fatto che così facendo si guadagni di più, è vero solo in parte. E comunque, ricordo bei tempi in cui i musicisti erano artisti, prima ancora che mercanti. Ma anche ammettendo il discorso del musicista-prostituta, trovo comunque molto più dignitoso ricoprire il ruolo fino in fondo, e suonare il genere meretricio per eccellenza, e cioè il liscio, piuttosto che atteggiarsi da star nelle varie festacce della birra locali per poi cantare Cicale-Cicale, o che so, qualsiasi canzone di Bob Marley o Jimi Hendrix, scritte per ben altri contesti.

La causa ultima, ovviamente, sta nel pubblico. Fedeli alla disgraziata linea del “si dà alla gente quel che la gente vuole” – che ci ha regalato perle come La ruota della fortuna o Il grande fratello, ricordiamolo –, musicisti e gestori di locali organizzano i loro spettacoli intorno alle covers, meglio se ascoltate e strascoltate, per consentire alla pollastra seduta in prima fila di ricavare soddisfazione dal muovere la testa e dire “ah si questa la conosco”, mentre la band suona Another Brick in the Wall, o Il cielo è sempre più blu, che poi viene riconosciuta come “quella della pubblicità”.

La conseguenza è piuttosto evidente. Un popolo che continua ad ascoltare le stesse canzoni, che si afferra al già esistente anziché sperimentare, un popolo che cerca conferme (conferme de ghe?) ed ha paura del nuovo, è un popolo fottuto. Definitivamente fottuto. Artisticamente estinto, culturalmente imbalsamato, socialmente ammuffito e politicamente retrogrado.

L’italia, insomma. L’italia e gli italiani. La più grande tribute-band dei Queen (come gli originali!) è italiana, i migliori scimmiettatori de U2 (meglio degli originali!) sono modenesi. Tutto questo, mentre a Kassel, una città qualsiasi in Germania, ogni sera si presentano in scena concerti rock inediti, e mentre a Bogotà il lunedì come il martedì o il sabato sera si può assistere a spettacolari combinazioni di rock e ritmi latinoamericani, flauti indigeni e musica elettronica, psichedelie audiovisuali miste a free-jazz.

Che fare quindi? Emigrare può essere una soluzione. Sottoscrivere una petizione a Napolitano, un’altra. Oppure presentarsi al prossimo concerto di una cover band dei Pantera, e sparare al chitarrista. Solo per dare un effetto ancora più realistico alla faccenda, ovviamente.

Le formiche del tropico


22 Ott

Segregazioni di classe

Là dove transitano, rimane una scia sulla terra a sottolineare il loro passaggio, un sentiero visibile dalla luna, così almeno dice chi è stato lassù. Da destra verso sinistra viaggiano in scioltezza. Da sinistra verso destra, dondolano sotto il peso di un frammento di foglia dieci volte più pesante di loro, barcollano pesantemente, eppure non mollano.
Le formiche si spostano, vagano. Si sbattono. Cercano decine di metri più in là il frammento di foglia migliore, quello che non esiste, vicino al loro buco. O credono di trovarne un pezzetto migliore, più verde o più buono, la foglia migliore del mondo. O ancora, chissà, semplicemente si muovono per dare un senso alle loro sei zampe, si muovono per non pensare, si muovono perchè così ha deciso il presidente delle formiche, o si muovono per fuggire da lui.

Garage


12 Ott

In bilico su un arpeggio costante, ritmico e cromatico. Hoppipolla. Polifonico. Astruso. Quasi inesistente. Indie, rock. Selvaggio e raffinato. Che esplode in un’apoteosi di violini, che scende giù dalle montagne come un pezzo di mitologia, l’esercito definitivo che ci spazzerà via tutti. Strappami via i pantaloni. Cerca con le tue mani, tra l’inconsistente buio, tutto ciò che ci rimane, una libidinosa voglia di volere. La musica continua, so che non esiste e so che la percepisci anche tu sotto di noi, e non ha niente a che fare con la musica degli altri, là sulla spiaggia. Il problema è la nostra capacità di sognare, di sognare con un domani, e non c’è altra possibilità se non cercarsela tra le tue gambe, quest’alba che non arriverà mai. Non è più tempo di ideologie, divagazioni su come distruggere il mostro che si rigenera, lettere scritte agli amici per comunicare che effettivamente dio non esiste. Tutto ciò che ci è rimasto è un buco lungo la strada verso il mare, un aborto di garage abbandonato a sè stesso, per cercarci in mezzo al buio. E un pezzo di stoffa bianca a separarti da me, a separarmi da te, a separarci da noi.

Ricordi d’ufficio


10 Ott

Storie lineari di vite degli altri. Quando ripartiva il nastro, la mia difesa naturale era un determinato isolamento, divagazioni sulla melodia della tovaglia di fronte o qualcosa del genere. D’altra parte, i loro racconti erano sempre gli stessi, e se variavano, era per scendere ancora di più nei meandri del grottesco. Si commentava – con toni animati – dettagli insignificanti di vita nel paese, ci si lamentava di condizioni di salute precarie, si annunciava in pompa magna una trasferta a parigi per il concerto “degli u due”, scopo celebrazione di due anni di fidanzamento tenace.
Non che mi molestasse, galleggiare in quel limbo di mediocrità. Si rimaneva aggiornati con le dinamiche sociali della cosiddetta italia, e poi la macchinetta automatica produceva caffè degni del miglior bar napoletano. Certo, era difficile spiegare alla collega Loredana che la completa impossibilità di aspirare ad un posto fisso non mi turbavano minimamente, anzi. Era convinta che sarei stato un buon potenziale impiegato, e non sapevo se si trattava di complimento o condanna. In ogni caso, come il miglior materialista nichilista odierno, clamorosamente disinteressato a tutto ciò che esula dal perimetro tracciabile dalle proprie braccia, tutto ciò che mi muoveva ad interrompere i miei sogni ogni mattina alle 7.35 erano quegli ottocentosettantasette euro mensili, che un giorno avrei potuto tranquillamente investire in bombe.

Humahuaca


06 Ott

Contrasto naturale

Senza far rumore fluivamo fuori dallo spazio e dal tempo, eravamo lontani anni luce dal ricordo di un’infanzia, estranei. Comete. Lentamente ci stavamo spegnendo, ma nell’accelerazione finale avremmo fatto mille volte ancora il giro del mondo, toccando ogni pietra senza perdere mai quota, eravamo nell’atmosfera e galleggiavamo leggeri in una nuvola d’amore, anche se avremmo avuto troppa paura di scriverlo anche solo sul vapore di un vetro. Eravamo due estranei in viaggio tra loro, un giga di foto da mostrare ad amici poco interessati nel remoto giorno del ritorno, eravamo qualcosa che non saremmo stati mai più.

Lunedi 4 ottobre


04 Ott

Profumo di donna, odore d’autunno, sapore di funghi, contatto di pietra e di legno, visibilita’ confusa, silenziosa nebbia, calde notti infinite, anziane compagnie, lingue straniere ormai endemiche e King Crimson in sottofondo.

Diary of a Baltic Man

Real Eyes. Real Lies. Realize.


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