L‘ho visto a Madrid. Primavera del 2007. Lui si aggirava con una gibson SG Diavoletto, lo stampino di J. P. Harvey appiccicato sulla custodia. Stava seduto su uno di quei dispositivi che si abbassano quando arriva una macchina autorizzata ad entrare in zona pedonale. Le due ragazze che erano in piedi di fronte a lui fumavano una sigaretta. Una aveva i capelli nerissimi, irregolarmente rasati sul lato sinistro. Sembravano conoscersi da una vita.
L’ho rivisto in un locale di Bulevard Magheru, nel centro di Bucarest. Sotto la giacca marrone portava una camicia a quadri, bianca e rossa e nera, e un cappello rasta in testa. Rasta non ne aveva più, ignoravo se li avesse mai portati. Stringendo i pugni nelle tasche passeggiava tra la folla delle sei del pomeriggio, senza inseguire nessun luogo specifico.
Ho saputo che è esistito anche su internet. Ancora oggi scrive sui blog, ma solo perché gli piace l’idea di non dover legare le parole ad un nome, o una faccia. Trascorre i suoi pomeriggi a commentare amaramente video in cui tutti gli altri parlano d’altro. Tre persone hanno comunque cliccato la manina verde, a lato del suo messaggio.
Esiste anche su internet, abita le stazioni, riempie ogni panchina, sporca le conversazioni di ragazze che non lo sentono da un po’, luce verde che nessuno oserà mai interpellare.
Perché ovunque passa lui è così, lascia l’immagine originale ma ne modifica la percezione, rovescia lo stesso colore su tutto, ed è un colore che dà fastidio, che non piace, che incuriosisce, che attrae. Si mimetizza e non ci riesce, porta a spasso un odore di disastro che incendia l’aria ovunque, si autoannulla nel flagello di essere tutto e il contrario di tutto, nella consapevolezza di riconoscersi solamente nel niente.
Archive for luglio, 2011
Non disse niente e lo capì
Scrìn seiver
…cà pito di fronte a certe interviste nei tiggì serali e concludo che il problema di fondo della televisione sta nel fatto che, alla fine, mostra la realtà .
Apagones
La vida es asì Tu te vas, y yo me quedo aquì. Tan bello y tan lejos. Tan blanco y tan vacìo.
Canta de apagones y de corazon esta cantante cubana. De añejo y amor blanco de vida extrana y de tiburòn.
Canta imagenes de fuego vivas y fuertes debajo de la piel superficial. Canta y escupe dolor y verguenza Escupe y canta promesas y desespero. Deja de llorar tus lagrimas burguesas el mundo se hunde sin solucion en pobreza... canta palabras de orgullo y prepotencia canta pedazos que alguna vez escribimos.
Senza continuità di soluzione
E’ una storia che passa, trasforma e ci trasforma.
E’ una storia a movimento ciclico, si muove come una spirale sotto i nostri piedi, ripropone gli stessi paesaggi, senza specificare che è la prospettiva, ad essere cambiata. Le figure sono sempre quelle, ma i colori sono ora leggermente più sbiaditi.
E’ una storia in salita e non concede attimi di tregua, lo sguardo incollato sull’asfalto e il sole aumenta la sua intensità , è una storia in salita e la vertigine è sempre più grande, i paesaggi e i livelli di lettura si accumulano sullo sfondo.
E’ una storia a senso unico perchè non conosce retromarcia: l’unica strada per tornare indietro è la caduta, l’unica direzione possibile è una freccia bianca su sfondo blu, e un po’ più in là c’è sempre un bivio, o una curva.
E’ una storia senza senso ma è tutto quel che abbiamo, tutto quel che vorremmo avere, e l’unica difesa è nel continuare a camminare.
Dromologia
Parole e sguardi di circostanza. Il tipo di quei lontani giovedì notte passati intorno al Risiko è apparso inaspettato in ultima fila. Giacca e cravatta, capelli impomatati. Chi l’avrebbe mai detto? Quattro anni almeno senza sapere nulla di lui, nient’altro che notizie di terza mano. Ha la faccia emozionata, pare perfino contento di rivedermi.
E adesso? Cosa farai? Quali progetti? Lo sai che il nostro vecchio amico si è trasferito a Londra?
Poi mi parla della sua tesi. Inspiegabilmente convinto che la questione possa rivestire una certa importanza.
Quando ormai ci siamo detti tutto lo vedo bisbigliare con un signore con il pizzetto e una donna con la piega sul lato sinistro. Anche loro sono emozionati, anche loro muovono gli occhi a destra e sinistra, nervosi.
Cinquantacinque minuti più tardi tutto è finito. Le notti dell’Amazzonia, la vecchia venditrice ambulante di Kaunas, il suono disordinato di una chiva, le melodie del tropico. Finite anche le scarpe, asfalto che non scorre più, sotto i piedi. Una storia iniziata cinquecentocinquantuno articoli fa, una storia disordinata e folle. Accademia itinerante. Universidad del Mundo. Lectio magistralis tra le puttane e i marinai filippini di Buenaventura. Laurea honoris causa al poeta seduto all’incrocio tra la carrera 45 e la calle 79 di Barranquilla. Libri e libri volati via tra i sedili dei bus, degli aerei, dei treni, degli alberi. Quaderni di appunti che sono nomi di persona e indirizzi mail, mappa mentale di un’avventura delirante.
Tutto finito.
La signora bionda ha detto la dichiaro dottore in.
Resta il mare, acqua grigia e sporca di sale.
Il vero colpo di genio è stato l’aver scelto una sede universitaria vicina al mare.
I bambini di Bucarest
Tra il marzo e il giugno 2011, l’Uomo Baltico ha pestato terra romena. Le tracce sono voci di bambini e colori pomeridiani, uno spazio di verde tra le strade secondarie della capitale. Creatività al suo stadio più autentico, quello racchiuso nella mente dei bambini, creatività sottoforma di gioco, filtro onnipresente nella lente che cattura il mondo.
Il “Progetto di Alfabetizzazione Audiovisiva” è un tentativo di giocare a fare cinema. [Di giocare a giocare]. I bambini ospiti di un Centro Diurno di Bucarest hanno fatto tutto: videocamera, audio, recitazione, trucco, regia. Un esperimento di gruppo, senza protagonismi nè pretese, senza un inizio nè una fine. Il risultato finale sono due cortometraggi di sette minuti circa, saturi di errori e imprecisioni. E proprio per questo, autentici.
Sonorità diverse
c’erano giochi di fuoco a immergere il verde. due clarinetti che suonavano weber, e qualcuno credeva veramente di essere nel settecento. musicisti indigeni con strumenti africani, a riscoprire le vecchie credenze dei sabba di san giovanni. un uomo raccontava una strana storia in lingua arcaica, nessuno ci ha capito niente, ma tutti ascoltavano in silenzio. c’erano i fagioli d’una volta e gente che parlava lingue straniere, c’era il pane cotto da lidia intorno al suo forno di pietra. c’erano luci che ballavano e accendevano il buio, e una musica morbida stretta intorno a sessant’anni di silenzio. c’era moncho che gridava il suo caribe lontano, tutti ascoltavano rapiti, il linguaggio universale era la musica. c’era christian che guardava tutto questo accadere sotto la montagna che fu di suo nonno, e non aveva più nient’altro da dire.