Non disse niente e lo capì

30 Lug

L‘ho visto a Madrid. Primavera del 2007. Lui si aggirava con una gibson SG Diavoletto, lo stampino di J. P. Harvey appiccicato sulla custodia. Stava seduto su uno di quei dispositivi che si abbassano quando arriva una macchina autorizzata ad entrare in zona pedonale. Le due ragazze che erano in piedi di fronte a lui fumavano una sigaretta. Una aveva i capelli nerissimi, irregolarmente rasati sul lato sinistro. Sembravano conoscersi da una vita.
L’ho rivisto in un locale di Bulevard Magheru, nel centro di Bucarest. Sotto la giacca marrone portava una camicia a quadri, bianca e rossa e nera, e un cappello rasta in testa. Rasta non ne aveva più, ignoravo se li avesse mai portati. Stringendo i pugni nelle tasche passeggiava tra la folla delle sei del pomeriggio, senza inseguire nessun luogo specifico.
Ho saputo che è esistito anche su internet. Ancora oggi scrive sui blog, ma solo perché gli piace l’idea di non dover legare le parole ad un nome, o una faccia. Trascorre i suoi pomeriggi a commentare amaramente video in cui tutti gli altri parlano d’altro. Tre persone hanno comunque cliccato la manina verde, a lato del suo messaggio.
Esiste anche su internet, abita le stazioni, riempie ogni panchina, sporca le conversazioni di ragazze che non lo sentono da un po’, luce verde che nessuno oserà mai interpellare.
Perché ovunque passa lui è così, lascia l’immagine originale ma ne modifica la percezione, rovescia lo stesso colore su tutto, ed è un colore che dà fastidio, che non piace, che incuriosisce, che attrae. Si mimetizza e non ci riesce, porta a spasso un odore di disastro che incendia l’aria ovunque, si autoannulla nel flagello di essere tutto e il contrario di tutto, nella consapevolezza di riconoscersi solamente nel niente.

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Diary of a Baltic Man

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