Archive for aprile, 2012

No tu rno


29 Apr

Chocolate Mountain

Le mutande sporche. Il telefono da ricaricare. Una sostanziale indifferenza verso le faccende del cosmo. Anche oggi è finito, anche oggi è andato.

Nebbia primordiale sugli avvenimenti della giornata. Lasciatemi la sera, l’ultimo momento di anestesia, l’ultimo momento di lucidità prima dell’anestesia. Un altro pezzo è andato. Un altro scalino su una superficie così ripida che vista da qui sembra quasi piana, orizzontale.

Quante cose si possono condensare, in 24 ore. Lasciatemi soprattutto gli attimi più inutili, quelli più stupidi. Sono loro che adesso si trasformano in macchie d’inchiostro.

Nel mezzo, pura illusione. Tanta fantasia. Mio nonno che mette da parte le patate che potranno fiorire e diventare altre patate. Le luci rosse delle macchine, da lontano. Gli uomini e le donne che si inseguono, che si annusano, che si perdono. Centinaia di parole intorno al nulla, una massa di persone senza voce per lo sforzo di gridare il vuoto, simulacri di resistenza alla grande anestesia, anestesia di resistenza di un movimento inerte, superiore. Le faccende del cosmo che d’improvviso si fanno concrete, l’illusione di distrarsi con una nuova verità.

E lasciatemi dormire, domani non svegliatemi, ho cose più importanti a cui pensare, domani.
Le mutande sporche.
Il telefono da ricaricare.

Un’unghia


25 Apr

“Alza il dito verso il cielo”, gli disse.
“Vedi la tua unghia? Copre un pezzo di cielo.
In quello spazio di cielo, ci sono 200.000 galassie”.

Il festival


23 Apr

Dalle mie parti si faceva un bel festival.
“Come a Woodstock, ma si mangia meglio”, era il sottotitolo.
Tanta gente, musica, qualcosa da fumare, birre. Musica. Molta buona musica.
Un gruppo di ragazzi ci si metteva giù d’impegno, lavorava un anno intorno a questioni burocratiche e artistiche (soprattutto burocratiche), coordinava e mediava con tutto ciò che c’era da coordinare e mediare, stringeva tra le mani le redini di infiniti fastidi. [nella settimana successiva al festival, questi volontari rastrellavano metro per metro boschi e prati, perchè nessuno poteva permettersi un sistema migliore per ripulire il mondo da bicchieri di plastica e rifiuti vari].

Io ho conosciuto il festival in una delle sue prime edizioni. Era una piazza di paese con una tensiostruttura verde, qualche bancarella qua e là, salsicce e birre artigianali vendute da quattro o cinque porchettari, poche persone il giovedì notte alle 2. Ci sono ritornato qualche anno più tardi. La piazza è diventata l’intero paese, la bancarella è un’area enorme di scambio e ricambio, e per mettere qualcosa sotto i denti era necessario aspettare 40 minuti, anche perchè i cibi funzionavano secondo la logica del “chilometro zero”. Il festival è diventato il festival gratuito più importante d’italia, e chiamava persone di ogni tipo e provenienza – includendo famiglie con bambini al seguito.

Semplicemente, il senso stesso del festival è esploso. Decine di migliaia di persone hanno iniziato a frequentarlo, un po’ per noia un po’ perchè ci van tutti, forse per la musica e forse perchè le belle figliole. Il festival è esploso, ed era la cosa migliore che potesse accadere. Perchè il festival significa soprattutto “condivisione”. Aria buona, un po’ di ore – o un po’ di giorni – da trascorrere in mezzo a stimoli e iniziative, avanguardie musicali e librerie indipendenti, venditori di marmellata artigianale e sconosciuti o conosciuti da incontrare.

Le autorità hanno reagito con autorevolezza: cagandosi addosso. Tutta questa gente che si riunisce e si diverte, hanno pensato, potrebbe diventare pericolosa. Qualcuno potrebbe drogarsi, qualcun altro potrebbe fare danni, la situazione potrebbe diventare ingestibile. Potrebbe: terrorismo preventivo. Da un paio d’anni almeno i signori Autorità hanno tentato in ogni modo possibile di mettere paletti burocratici sui fogli in cartabollata che legalizzano il festival. Quest’anno sono stati più risoluti: quel festival non si può più fare, hanno detto. Qualsiasi cosa, ma non più quel festival. Vi daremo soldi per fare laboratori e piccoli eventi. Vi sosterremo se vorrete creare un “parco a tema”. Ma tutti insieme, così tanti, così insieme, perdio, non trovatevi più. Ci fate paura.

Ci fate paura.

I scream, you scream, icecream


19 Apr

La foto di un sole infuocato messo insieme da una serie infinita di pixel. In televisione una serie di cotechini imbellettati parlano di politica e di scandali politici. Mia madre ascolta attenta preoccupata dalla crisi, le mie gambe invece sono stanche dopo una giornata di deambulazione sul cemento. Sul cemento.

Leggo di Fabri e dei suoi capelli di bellezza che si porta dietro sulle rive del mediterraneo. Nelle orecchie c’è ancora la voce di Sol, le sue modulazioni del sud su testi in jam session. Ieri sera c’era chi scattava foto a un gatto esistenzialista e chi raccontava di una carovana itinerante sulle strade del mondo. C’era anche il suono di un contrabbasso costruito con una cassa di vino barolo e con una gamba del tavolo. “Ha ragione fini o beppe grillo? Le primarie o i candidati in parlamento?”

E’ un discorso di improvvisazione? E’ un discorso di improvvisazione. Non riesco a concepire la mia vita scritta in uno spartito, legata a un ritmo o un movimento predeterminato. M’immagino piuttosto un assolo stonato e scoordinato, un fraseggio senza fantasia né genialità, una melodia che si allontana dalla logica del sound. Ma un assolo che rimane iscritto in un’armonia superiore, che cammina insieme al groove di un basso sporco e quasi assente, un basso costruito con una cassa di vino barolo e la gamba di un tavolo.

Voglia di un sorso di meraviglia.

Bah


18 Apr

Solo per il gusto di graffiare la carta di sporcare il bianco di non avere niente da dire di abbassare la testa e riuscire a non vedere di sottolineare il nulla di svuotare uno spazio pieno di dare un seguito alle paranoie di non pensare a lei di non pensare a loro di uscire dal mio me di divertirmi di incuriosire con un’immagine strana quella ragazza dalla gonna verde che con fastidio mi evita, in gimcana sul marciapiede.

Back (after readin’ Jamaica Kincaid)


05 Apr

Raccolgo quattro libri, infilo il biglietto del treno nell’agenda, metto il bicchiere di plastica nel contenitore della plastica, metto il fazzoletto di carta nel contenitore dei fazzoletti di carta, metto la bottiglia di vetro nel contenitore del vetro, guardo la televisione che mi mostra angela merkel e nikolas sarkozy, apro la porta alla signora che vuole entrare dove io penso di uscire, il tardo pomeriggio è freddo, il metallo delle monete è freddo, i colori nel loro insieme sono freddi, freddi come un’umidità sottile che s’insinua da dentro, una giovane donna seduta al tavolino scrive cose con un dito, il furgone del macellaio passa in strada inseguito da una nuvola bianca, l’asfalto si muove sotto i piedi e sembra composto dallo spazio esistente tra le sue diverse pietre, una signora legge il suo nome nello spazio riservato ai manifesti dei morti, la famiglia della casa gialla non ha ancora disfatto l’albero di natale sul balcone, le montagne all’orizzonte sono diventate più alt, il cane legato alla catena ha voglia di abbaiare, la signora sul balcone forse ha voglia di abbaiare, gli immigrati sulla costa di lampedusa hanno voglia di raccontare il deserto, giusy calzature svende tutto al cinquanta per cento, l’erba è addormentata sotto i piedi del gatto, il gatto è disinteressato al movimento del vento, il vento è disinteressato alla traiettoria del sole, la serratura del cancello scatta solo se sollevi leggermente la porta sinistra.

Sono tornato.

C……….E


01 Apr

Condivisione di elementi inscindibili.
Condivisione, mettere tutto su uno stesso nastro, annullare gli spigoli tra le superfici.
Con divisione, unità unite da imprescindibili differenze.
Con di visione, allucinazione organica di un’entità macrogigante.

Spazio di speranza tra necessità e desiderio.

Diary of a Baltic Man

Real Eyes. Real Lies. Realize.


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