Dame la formula
La canciòn la poesìa
Hazme canciòn, hazme poesìa
Para borrar tu melancolìa
Para no ser tu soledad.
Archive for dicembre, 2012
26 XII 1988 – tiempo después
Wordless
Una settimana con la tastiera rotta.
L’interazione con il mondo
[l’interazione con questo mondo]
affidata unicamente al mouse.
Ascoltare quel che gli altri hanno da dire,
come un barone decaduto nascosto dietro il vetro della sua finestra,
vedere questi altri dialogare, esprimersi, contorcersi, litigare
e tu, outisider superpartes del linguaggio,
lì a tenerti per te stesso i giudizi morali e ogni commento.
Senza tastiera, con la paranoia della connettività .
S’illumina skype. “Posso parlarti?”
Impossibilità di replica.
Cosa penserà di me?
Cosa penserà di me?
Senza tastiera sei colpevole a prescindere.
Con il mouse puoi navigare, leggere, anche scrivere, lettera per lettera, a copia-incolla.
Puoi dir “mi piace” e puoi anche condividere.
Hai la bocca ma non c’è la lingua, si può aspirare e respirare, ma non parlare,
e neanche leccare.
Senza lettere non puoi spiegare perché vorresti che qualcun altro ascoltasse qualcosa.
E’ un piatto fumante che offri a tutti sulla pubblica tavola,
ma non può competere con qualcun altro che spiegherà meglio.
Senza la possibilità di produrre parole, sei completamente dipendente da quelle degli altri.
Sofferenza atroce.
Shaken Ice
Rimane incollato ai vetri, questo senso di fibrillazione esasperata che smuove le ragazze sui bus, e lascia indifferenti i pensionati, il venerdì mattina.
Una patina bianca a coprir la trasparenza, memoria del vento che costruisce nel buio un’immagine e una trama.
Un sentiero su cui si scivola perchè ci si rimane incollati.
Rimane incrostata ai vetri questa voglia insana di stringerlo tutto
sentirsi come un’ombra che incombe su un’entità immobile, indifesa.
sentirsi come quell’entità immobile, indifesa, riconoscersi lì.
Lì, nell’inganno di un fuoco di ghiaccio, di un gelo che scalda
di un vetro che non è più trasparente da quando c’è questa patina bianca.
A leccare il fondo del bicchiere per inventarsi finalmente un sapore.
A leccare il fondo del bicchiere per aggrapparsi al retrogusto di un’idea.
Rimane stampato sul vetro questo inganno della materia.
E se lo guardi in controluce
ha la stessa consistenza
[lo stesso colore]
del granello di sale che lo scioglierà .
Di un vecchio cinema
Velluto rosso sospeso sul tempo.
Separa il marmo dalla gomma, la luce dal buio, il suono dal silenzio.
Al di là del velluto, il cinema.
Al di qua del velluto, la realtà .
Un velluto rosso per separare il cinema dalla realtà .
Locandine antiche appese ai muri scrostati.
L’angolo in alto a destra è muffa. Probabilmente si infila sotto un balcone, là dietro.
E’ vietato introdurre apparecchi di registrazione analogica o digitale, è vietato consumare bevande e alimenti all’interno della sala, è vietato fumare.
E’ consentito schioccare la lingua e stupirsi dell’effetto d’eco. E contare le aste metalliche della ringhiera.
Spostando la prospettiva del riflesso sul vetro, poi, si riesce a inserire Clint Eastwood nella cornice della finestra della Trattoria del Peso, lì di fronte.
Illusioni ottiche autoprodotte.
Al di qua del vetro, il cinema.
Al di là del vetro, la realtà .
Un gioco di prospettive per infilare il cinema nella realtà .
La fotografia del fondatore della società operaia un po’ sbiadita, vicino all’ingresso.
Un cartello che dice la pro loco vi augura una buona serata. Quale carattere avranno usato per scriverlo? Bernard MT Condensed. E chissà com’era il mondo quando non avevi ancora la stampante.
Un cane che abbaia insistente, copre la musica.
Viene dal vetro, o viene dal velluto rosso?
Scende dal cinema, o arriva dalla realtà ?
Non si fa più il buon vecchio cinema di una volta.
Oggidì le poltrone sono scomode.
Tutte le cose iniziarono cantando
Tutte le cose iniziarono cantando
canzoni di culla dalla consistenza della lana grezza.
Lana grezza che stabiliva un confine.
Al di là della filatura, la mano dell’uomo.
Al di là della mano dell’uomo, la pelle dell’animale.
Un solo fuoco a scaldare tutto.
Ricordo le strade arancioni, la città delle quattro del mattino.
Il freddo a congelare le vibrazioni appese alle mie labbra.
Possibilità di esprimermi limitata, coscienza a briglie sciolte.
“Quella notte hai parlato di me come se mi conoscessi da una vita”.
Quella notte ti conoscevo da tutta una vita.
Attraversare l’oblio in retromarcia.
Le illusioni e i desideri che si trasformano in certezze.
L’abbraccio del vento che diventa concreto
Cosa diventerò domani?
Quale pezzo di me ormai abbandonato mi accoglierà ?
Stamattina ho spaccato legna per tre ore con mio nonno.
Poi quando la brina si è sciolta lui è partito con un bastone.
E’ tornato mezz’ora più tardi, poco prima delle campane di mezzogiorno.
Mia nonna come al solito è uscita incazzata a cercarlo, quando il sugo era già in tavola.
“Lavati le mani”, mi ha detto mio nonno.
“quella che rimane la spacchiamo domani”.
Ieri invece, dov’ero ieri.
Ieri è un concetto ancora un po’ difficile da ubicare.
C’è uno “ieri” fatto a linea continua e un altro sempre più piccolo, laggiù in fondo.
C’è uno ieri anche in questa notte, qui a Viola.
C’è uno ieri in quel che verrà .
Poi il patio di Kiki, una coperta di scritte, Granada.
La fisionomia di un sentiero, intravisto dall’alt(r)o.
La geografia di un’anima, i suoi elementi naturali.
Sei tu il padrone del tuo destino. Prenditelo.
Sei tu il padrone del tuo destino. Prenditelo.
E così tutte le cose iniziarono cantando
e non era la voce di tua madre, quella che sentivi, là dietro.
Non sei neppure sicuro che fosse, in fondo, una voce.
Ma tutte le cose iniziarono cantando.