Archive for maggio, 2013

L’abisso non ci spaventa, l’acqua è più bella quando cade dall’alto


29 Mag

Danza

 

Se nella favola avessimo avuto
anche solo un sussurro di voce in capitolo
forse
avremmo evitato il tentativo
di questa poesia
forse
avremmo abbozzato un finale più stanco
forse
avremmo deviato verso ambienti più sordidi
inseguendo la linea delle nostre visioni
abbracciando il coraggio di guardarci allo specchio
ritrovandoci nelle decisioni
di quel magnete primordiale
che ci muove e ci sposta
al di là dell’ostacolo
di un pezzo di carta.

 

Ma se in questa favola avessimo avuto
anche solo un sussurro di voce in capitolo
allora il fallimento sarebbe oggi definitivo
il peso del fato non avrebbe più consistenza
e nemmeno gli errori
sarebbero più poesia.

 

Dove scorre allora
la linea dell’arbitrio?
Dove muove la vibrazione
tra verità e istinto?

 

Ed ecco che forse in questa parvenza di favola
avevamo per davvero un’intuizione
forse solo un sussurro
un miraggio di voce in capitolo.

 

 

Hobohemia


24 Mag

Perro silbando

Tutto nasce per sbaglio, tutto cresce per gioco.
Hobohemia è  un esperimento che non vuole provare niente, semplice incrocio di casualità.

E’ una storia dell’estate scorsa.
Kiki scende da un treno a Genova Principe (“biglietto non convalidato!”), un abbraccio sincero, quanti anni sono che non ci vediamo?
Kiki. Impossibile presentarlo. Sarebbe il personaggio perfetto per un film.
[Hobohemia, appunto].

Andiamo in macchina verso Viola.
Arriviamo di notte.
Kiki è venuto da queste parti per vivere queste parti, vorrebbe lavorare nei boschi e dividere pane e formaggio con vecchi pastori, ma vecchi pastori non ce ne sono più.

Inizia la notte.
Sono cinque anni che non ci vediamo.
Io e Kiki ci siamo conosciuti in Colombia, poi ci siamo ritrovati in Cile, quando faceva il badante dei suoi anziani e meravigliosi nonni materni.
“Sai, finalmente ho trovato un popolo, un qualcosa con cui identificarmi”.
Mi parla degli Hobo, lavoratori migranti, romantica realtà dell’America dei pionieri.
Mi descrive il loro linguaggio, cerchiamo insieme su internet traccia delle loro simbologie.
Io intanto accendo la videocamera. Non si tratta di immortalizzare il momento, di renderlo in qualche modo eterno. Accendo la videocamera perché quello è il modo migliore per vivermi a fondo quel momento.

Due mesi più tardi, decido di iscrivermi a un dottorato.
Kiki è ancora a Viola, ogni tanto andiamo a lavorare insieme nei boschi.
Per scandire il ritmo dei colpi di rastrello, lui canta, e scrive i testi sul momento.
In un certo senso, sembra di essere nelle piantagioni di cotone. America anni Venti.

Vado a trovare il mio professore, anche lui non lo vedo da tempo.
“Vorrei qualche consiglio su manuali di sociologia, qualcosa di stimolante e nascosto”.
Il mio professore mi consiglia tre titoli appassionanti.
Uno di questo è “The Hobo. Sociology of the homeless man“.
Lo prendo come un segno del destino: a quel punto abbiamo una storia.

Hobohemia era il quartiere dove si ritrovavano, tra un movimento e l’altro, le decine di migliaia di Hobo che vagabondavano per gli Stati Uniti.
Hobohemia è film che prende corpo intorno a Kiki, è il mondo popolato dai personaggi che lui incontra.
Ci sono vecchi contadini, giovani occupanti di case sfitte, riciclatori di eccedenze alimentari, custodi di castagneti millenari. E tutti galleggiano in un mondo di monumenti che crollano, di linee ferroviarie che chiudono, di una “precarietà occupazionale che è figlia del sistema economico in quella specifica epoca”.
E’ la realtà del mondo quotidiano, condensata nelle piccole storie di chi costruisce castelli di grande dignità, “negli spazi vuoti lasciati liberi dalla società dominante”.

Hobohemia, quindi, contiene tutto e non abbraccia niente.
E’ uno sguardo partecipato, come partecipato era il ruolo di Anderson, nel redigere l’etnografia scritta nel 1923.
Il gioco del montaggio ha seguito lo stesso approccio degli Hobo, che scrivevano poesie per poi abbandonarle sui treni, poesie che venivano scritte per il solo gusto di scriverle.
Hobohemia contiene livelli narrativi diversi, che lungo i 59 minuti del film si annullano da sé.
Ma allo stesso tempo – inutile negarlo – Hobohemia gioca a saltellare tra documentarismo urbano, osservazione antropologica, esplorazione biografica (Kiki),  finzione narrativa e sperimentazione audiovisiva, anche grazie alle musiche del maestro Pier Renzo Ponzo.

Sociologia visiva?
Molto di più, qualcosa di meno.
Uno sguardo Hobo.

He went there to found a nation


18 Mag

Broken flowers

Qua
il viaggio è molto più intenso
che altrove.

Forse perché
si conoscono le strade.

Stephen Dedalus


15 Mag

Ti dirò cosa farò e cosa non farò. Non servirò ciò in cui non credo più, si chiami casa, patria o chiesa: e cercherò di esprimere me stesso in qualche modo di vita o di arte il più liberamente e il più compiutamente possibile, usando a mia difesa le sole armi che mi concedo di usare: il silenzio, l’esilio e l’astuzia”.

[Joyce – ritratto dell’artista da giovane]

…quand j’étais grand


12 Mag

Left

Fili d’erba sulla pelle.
Guarda il disegno, osserva la trama.
Piccole filature che rompono di giallo il verde.

Guarda il disegno, osserva la trama:
tra poche settimane questo fieno non ci sarà più.

Guarda il disegno, osserva la trama:
sono passato di lì l’altro giorno, e tutto era ancora terra e solo terra.

Quanto tempo è passato dall’ultima volta in cui ho sentito la tua voce?
Tu adesso sei terra viva, dentro di te crescono fili d’erba,
piccole striature che colorano di giallo il verde.
Tu adesso sei primavera.

L’ultima volta in cui ho sentito la tua voce
parlava di fallimenti e insensibilità,
di giochi d’azzardo e scarsa responsabilità,
era uno sguardo ferito di sincera pietà.
Parlava di me, ma era un’altra lingua,
una lingua straniera, e non sempre capivo tutto.

E allora, quanto tempo è passato?
Anche l’ultima volta, poco prima dell’ultima volta,
siam passati di qua.
Guidavamo di notte ascoltando De André
e io ti traducevo ogni canzone in quella lingua che non ci apparteneva
e chissà se capivi, se capivi tutto.

Quindi, la tua voce. E questi fili d’erba.
Chissà se erano già qui, in quelle notti di tanti anni fa.
O forse sono le parole che mi dici in questo telefono,
che creano e ridisegnano la sostanza delle forme,
che scrivono una storia ancora troppo grande da capire.

Chissà se un giorno racconterai a tuo figlio di noi.

Diary of a Baltic Man

Real Eyes. Real Lies. Realize.


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