…e dimmi la verità : quella ragazza che è scesa all’ultima stazione, ho visto che la guardavi.
Piera abbozza un sorriso insinuato.
Non c’è neutralità possibile quando si parla di queste cose.
Non guardavo lei, guardavo le sue mani, guardavo il modo silenzioso con cui sgranocchiava i suoi biscotti, guardavo il suo imbarazzo quando si scopriva a guardare me.
ll sorriso di Piera si fa evidente.
E poi?
E poi ha aperto la borsa e ne ha tirato fuori uno smartphone gigante, e anche questa volta mi sono detto “è tempo di dirci addio”.
Il sorriso di Piera adesso si è trasformato in un sorriso diverso, contrito.
Uno di quei sorrisi che si portano via scorie e travestimenti, che mostrano il mondo per quello che è.
Il treno adesso viaggia tra prati colorati di rosso, ogni paesaggio si sovrascrive su quello precedente.
Ai campi di lavanda si aggiungono i cipressi.
A fianco dei cipressi appaiono rocce scure.
Nella mia mente si forma un’immagine, ma non fa in tempo a svilupparsi.
Rimane lì nel regno delle possibilità , insieme alla ragazza seduta sul treno.
Qualche minuto più tardi è Piera a parlare.
Non ti sembra che io e te siamo come madre e figlio?
Io non so se potrei essere tua madre. Ma tu potresti essere mio figlio.
Mi viene spontaneo ridere, e forse è perché ha ragione.
Ma cosa vorrebbe dire essere tuo figlio? Cosa cambierebbe?
Piera mi guarda mentre il treno entra in una galleria.
La luce scompare solo a metà .
“Essere un figlio…”, dice.
Dice qualcosa che in realtà non dice.
Ecco, vedi… un genitore deve insegnare tutto.
Un figlio deve prendere solo quel che gli serve.
Sul sedile di fianco, là dove c’era la ragazza, un tipo con la camicia a righe siede tranquillo, e legge un libro che si intitola “In pregnancy with yogaâ€.