Strane meccaniche assurde.
Accadevano nel tempo in cui sulla terra c’erano ancora le rane, e gli uomini si nascondevano dentro gusci di plexiglass.
Sotto la carezza della rugiada si annusavano i maschi e le femmine, si annusavano e si scoprivano così diversamente simili nei loro gusci d’antipodi.
Bagnavano la lingua nel tè, s’inumidivano le labbra secche attraverso sorgenti sotterranee.
Come neonati si toccavano, si studiavano, riconoscevano nell’odore dell’altro le stesse stigmate dello stesso spettro introspettivo, e si chiudevano il naso e si tappavano gli occhi per non vedersi percorrere la giusta via.
Ancora esistevano spettri d’irrazionalità in quelle epoche confuse, e nessun circuito e nessuna meccanica sapeva opporsi al disordine apparente.
Gli uomini e le donne, sdraiati sull’erba, si fondevano in un destino non ancora scritto e lo facevano arbitrariamente. Uno con l’inchiostro e l’altra col papiro, componevano poemi a quattro mani dove il filo logico inevitabilmente si spezzava là dove la poesia si trasformava in prosa.
Morivano e nascevano sempre e solo e comunque nel nome di questo dio inclemente.
Erano i tempi delle rane, e gli uomini e le donne molto spesso si nascondevano dalla rugiada e da loro stessi, sotto gusci asfittici di plexiglass.