Archive for dicembre, 2015

16 giugno 1904


27 Dic

Post-Maasai War

Padre, ho viaggiato a lungo
attraverso deserti e città.
E’ stato un lungo viaggio, padre,
attraverso valli e montagne,
così lungo che ho dimenticato le mie tribù,
i miei cugini, perfino l’umanità.
Osama bin Laden [1996]

Cosa voleva dire con questa citazione, professore, che anche il diavolo può essere poeta?
Che anche il poeta può essere diavolo?

Lo stesso pianto di un neonato rompe il silenzio di mille luoghi del mondo;
le stesse voci e le stesse preghiere accompagnano ovunque il percorso del sole.

Il viaggio prosegue con l’Ulisse di Joyce
che nel disordine compresso di uno zaino
attraversa la soglia di una manyata maasai.

Il postmodernismo d’altra parte è già morto da tempo
e il protagonista della sua storia confusa, viaggiando, si costruisce la sua identità,
“arricchendosi delle diversità con cui entra in contatto,
senza risultarne distrutto o assorbito“.

Tuttavia, all’arrivo nella cittadina di Namelok, da qualche parte sull’altipiano,
una folla silenziosa si ammassa nei pressi di un cantiere.
Il corpo di un bambino è disteso di fianco a una pozza d’acqua sporca,
è coperto da un lenzuolo bianco.

Qualcuno dovrà dire a quella madre rimasta laggiù al mercato a vendere i suoi pomodori
che da qualche parte nel mondo, lassù sull’altipiano,
il mondo continua ad essere una questione terribilmente reale,
e il diavolo continua ad essere poeta,
e il poeta non ha mai smesso di essere diavolo.

Wherever you are. [However you feel].


21 Dic

Loitoktok

Tutto un profumo e odore di fumo
E case di legno e latte e caffè
E occhi curiosi e asini stanchi
e abiti bianchi
cotti dal sole cotti dal fumo
e mosche e galline e ragnatele e candele
e una pentola nera tre pietre sul fuoco
un momento per poco
un momento per gioco.

E’ un messaggio per te la marcia perpetua degli animali
il fischio silenzioso che li spinge via dai campi di manioca
le grida delle moto lontane sull’altipiano
è un fischio per te il fischio nel thé.

Ancora una volta è il mondo a portarti nel mondo
come una presenza silenziosa,
un magnete che provoca il succedere delle cose.
Si accumulano sui taccuini parole che non saranno mai lette
parole mai dette
bruciate in un fuoco che riporterà l’essenziale.

Cuociono il latte con la cenere i popoli nell’altipiano
un liquido solido che ha la consistenza dello yogurt, ed è buono,
è viola.

E i pastori
i pastori sono gente decisa
hanno solo ventidue anni ma hanno già vissuto,
hanno vissuto davvero
e parlano poche parole davanti al fuoco,
poi ognuno continua per sé.

Questa sera e ieri mattina le strade hanno una direzione nuova
e da qualunque punto la si guardi,
tutto sembra un cammino antico,
un luogo di partenza.

Benzina.


09 Dic

Santa Fé de Bogotà

“Cosa si potrebbe fare per sbatterli fuori”, chiese l’infermiera.
Erano lì con un microfono in mano, un proiettore appeso sul soffitto a lanciare sulla parete pattern di youtube. Stavano cantando da tre ore almeno, karaoke e sottotitoli e parole in inglese in spagnolo che si facevano largo tra i capelli di tutti.
Il ragazzo non sapeva cosa rispondere.
Poi disse: “benzina”. “Ci vorrebbe benzina”, ma non intendeva niente di preciso.
La ragazza che l’aveva portato lì stava ballando con un altro.
A un certo punto lei se l’era portato in bagno, quell’altro, e nel tragitto dalla sala alla porta del cesso aveva urtato una sedia mandando in frantumi un bicchiere.
Il ragazzo sospirò e si disse: “neanche questa volta avrò rimpianti”, poi si recò in zona cucina a cercare un pezzo di carne freddo in una ciotola arancione e unta.

La padrona di casa arrivò a lavare un biberon vuoto.
“Hai un bebé”, le chiese il ragazzo.
Lei sorrise e disse di sì.
Poi accese un aggeggio sullo schermo dove si vedeva una silhouette semplice e tondeggiante su sfondo nero.
“Ha un anno e mezzo”, disse la ragazza guardando lo schermo.
Tra i pixel si vedeva il bambino che dormiva tranquillo.
Il ragazzo le chiese se fosse preoccupata per la musica. La ragazza sospirò e non disse niente, poi fece un cenno verso l’alto e disse: “il bebé è abituato a stare con la musica. Si sveglierà solo quando sarà finita. Piuttosto, sono preoccupata per i vicini. Loro si lamenteranno”.

La ragazza era argentina.
Viveva in quel paese da dodici anni.
Lavava via il latte dal biberon e parlava del suo lavoro di infermiera.
“Ho dovuto incanalare il mio eccesso di altruismo”, diceva. “Il mostro incontrollabile che ognuno di noi si porta dentro. Ognuno in forma diversa”.
Il ragazzo ascoltava e non diceva.
Strappava pezzi di carne in silenzio, le dita unte e unte anche le labbra.
“E’ un eccesso di altruismo, che in fondo è un egoismo. E’ un egoismo nei miei confronti, qualcosa che non c’entra niente con gli altri”.
Il ragazzo ripensò a quel che aveva sentito la sera prima, quando era uscito sulla terrazza a fumare.
“C’è molta gente malata di una malattia nuova”, aveva detto un tipo che fino a quel momento non aveva preso parte alla festa. “Una malattia sociale”.
Salutò la ragazza argentina e se ne andò via.
“Neanche questa volta”, si disse chiudendo la porta, “neanche questa volta avrò rimpianti”.

Diary of a Baltic Man

Real Eyes. Real Lies. Realize.


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