Voglio una lesbica come presidente.
Voglio uno con l’aids come presidente e voglio un frocio come vice-presidente
e voglio qualcuno senza assicurazione per le malattie
e voglio qualcuno cresciuto in un posto dove la terra è così zeppa di rifiuti tossici
che non ha avuto scampo dalla leucemia.
Voglio un presidente che abbia abortito a sedici anni
e voglio un candidato che non sia il minore tra due mali
e voglio un presidente a cui l’aids ha portato via l’ultimo amore
e che rivede ancora tutto questo ogni volta che si stende a riposare,
che abbia tenuto il suo amore tra le braccia sapendo che stava morendo.
Voglio un presidente senza aria condizionata,
un presidente che abbia fatto la fila in clinica, alla motorizzazione, all’assistenza sociale,
e che sia stato disoccupato e licenziato e molestato sessualmente e attaccato perché gay ed espulso.
Voglio qualcuno che ha passato una notte tra le tombe e a cui abbiano bruciato una croce in giardino
e che sia sopravvissuto a uno stupro.
Voglio qualcuno che è stato innamorato e poi ferito, che rispetta i sessi,
che abbia fatto errori e ne abbia tratto una lezione.
Voglio una donna Nera come presidente.
Voglio qualcuno che ha i denti guasti e se la tira, qualcuno che ha mangiato quello schifo di cibo all’ospedale,
qualcuno che si traveste e si è drogato ed è stato in terapia.
Voglio qualcuno che ha disobbedito.
E voglio sapere perché tutto questo non è possibile.
Voglio sapere perché a un certo punto abbiamo cominciato a credere che un presidente è sempre un buffone:
sempre il cliente e mai la puttana.
Sempre capo e mai lavoratore, sempre bugiardo, sempre ladro e mai beccato.
Archive for novembre, 2016
Sempre il cliente e mai la puttana
Cormac McCarthy
Ascolta. Credi. Crepa. Fuggi. Lo sferragliare del treno. Breaking news on time sugli schermi lì fuori nelle stazioni. “Election day: in vantaggio Trump”. La mattina livida del mare di novembre. Giù la testa nella storia. “E che storia”,  dice l’uomo – il protagonista – al figlioletto. Che profumo ha la cenere bagnata? Il solito McCarthy, ma questa volta ha qualcosa di diverso. Il solito McCarthy,  meraviglia maledetta. Le pagine scorrono senza un motivo. Le parole e le azioni, che ancora una volta si sublimano in immagini. “Come un orfanello fermo di fronte alla stazione, in attesa di un autobus che non arriverà mai”. Ecco dunque come si immagina tutto, McCarthy. Un libro scritto in chiave futura, ma le tinte fosche sono quelle di un tempo che è una condanna. Fuori dal finestrino altri maxischermi. “Trump sarà il 45° presidente degli u.s.a.”. Le pagine si avviano verso la fine. Come può finire un libro del genere? Come è potuto iniziare tutto?
“E’ proprio così, figlioletto. Noi portiamo il fuoco”.
Castagna’s time
Il sesto senso è la propriocezione. La percezione del sé.
Le dita delle mani collegate a tutto il resto. Il baricentro orientato sul versante della montagna.
“Nell’anno in cui sei nato queste piante erano state abbattuteâ€.
Era l’epoca delle distrazioni e degli abbagli.
L’uomo nuovo se ne andava in giro per i boschi in motocross, inneggiando a tutto ciò che non sarebbe più stato.
Il settimo senso ha l’armonia del fumo.
Non è odore non è sapore non è colore, ma sa accendere di strana vita l’intero organismo.
“Questo mestiere è il mestiere della libertà . E’ il mestiere di chi non vuole un mestiereâ€.
Raccogliere i frutti del cielo e del suolo.
Una missione primitiva continua ad alimentare la civiltà del tutto e del niente.
Visti dalla nebbia del bosco nel novembre di mattina, gli uomini e le donne, laggiù in basso, sono algoritmi virtuali privi di ogni minima eleganza.
L’ottavo senso è il senso delle cose.
Ogni castagna una moneta. Ogni frutto, parte dell’insieme.
Cercare canali per valorizzare l’intero lavoro.
Uomini e donne insieme in natura, ad ascoltare il silenzio, a parlare la musica.
Cade il mezzogiorno sulla logica del banchetto.
Le luci del tramonto sono i fari di un fuoristrada, un altro raccolto affidato al criterio del middle man.
Il nono senso s’accende solo di notte.
Accade e non si vede, muove il mondo nei sogni.
Hanno abbattuto le piante ma non le radici. Trent’anni dopo, ecco i nuovi frutti.
“La vostra generazione dovrà ricostruire ciò che noi abbiamo distrutto e distruggere ciò che noi abbiamo costruito. La vostra generazione dovrà imparare a discernereâ€.
Il nono senso ha a che fare con il tempo.
Il decimo senso non può essere raccontato.
E’ un discorso intimo, che si sviluppa nell’umido.
E’ osservazione ed energia vitale, altruismo e disprezzo, un rapporto di scambio in cui l’uomo non ha voce in capitolo.
Il decimo senso è un discorso d’autunno e di primavere, ma soprattutto d’autunno.
Il decimo senso è la sinestesia del bosco.