Archive for giugno, 2017

A way to go


20 Giu

Sinners

Un personaggio sintetico si muove in un mondo reale.
Possiamo farlo correre, decidere che salti di fronte a un ostacolo sul cammino, possiamo immaginare che si fermi ad osservare quel che lo circonda.
Lo spazio che attraversa è frutto della sua esperienza, i diversi sentieri iniziano a ramificarsi mentre la storia scorre sotto i suoi piedi.
Possiamo decidere tutto di lui.

Il colore dei suoi capelli, la nobiltà della sua missione, il suo ruolo in questo mondo. Possiamo decidere tutto.

“Quanta autonomia permettere all’utente, in un universo narrativo altro?”
E dove muoiono, in quel mondo, le vittime che lasceremo sul terreno?

Immaginatevi di essere collegati a sensori di emozioni, di frequenze cardiache, di impercettibili sudorazioni incontrollate, e comunque lì, a piantare nella pelle il freddo.
Saranno le nostre emozioni a segnare il cammino. Il nostro inconscio a scegliere tra diversi finali.
E forse qualcun altro, là dietro, studierà il nostro cammino a sua volta, registrando ogni risposta.

“Possiamo decidere tutto di lui”.

Il linguaggio, diceva Borges,
“Il linguaggio è un’altra cosa”.

Sòta du lüv


03 Giu

 

Cammino dietro al suo profumo come inseguendo un ricordo. Animali e fragole, paesaggi primordiali da cui sono silenziosamente fuggito, qualche anno prima, tanti anni prima, quanti anni prima?
Il tempo non ha nessun lato bugiardo quando mi arrampico dietro di lei.
Le foglie crescono, si colorano, diventano la terra sotto i nostri piedi. Quando tutto è Foglia, lei pazientemente le mette insieme, come se fossero ricordi. Poi brucia tutto: a quel punto il tempo perde anche ogni consistenza.

Vista da lontano, vagamente ricorda una bambina invecchiata, un biscotto che si sbriciola nel latte del mattino, il tronco di legno quando è ancora nascosto nell’occhio dello scultore. Lei però non pensa minimamente a tutto questo. Lei pensa esattamente a tutto il resto, a quello che inizia e finisce nella Sòta du lüv. Mi parla di un fulmine che sessant’anni prima è sceso proprio lì, su quell’albero che ancora conserva la traccia del fuoco. Annuisce silenziosamente senza schiodarmi gli occhi di dosso, come a voler confermare il ricordo, come se lei stessa si stupisse non di quel che ricorda, ma dell’atto stesso di ricordare. In quello sguardo di temporale rimane solo lo stordimento del lampo, il suono di un tuono continuo.

Quanti bagagli, tra le rughe di questa donna. Quanto vento. Quanti attimi messi ad asciugare al sole. E io non posso fare altro che continuare a pensare al libro di Mircea Eliade, alla sua bella copertina arancione, sul mio comodino. Devo liberarmi dai feticci, mi dico. Devo liberarmi dai feticci. Devo essere come lei, anch’io sui miei vestiti voglio la musica delle campane, anch’io tra i miei capelli voglio il fumo dei seccatoi di castagne, anch’io tra le mie dita non voglio più niente e nessuno. Come lei che cammina veloce, la schiena curva verso l’erba e il muschio, gli occhi accesi su tutto quello che ha bisogno di essere visto. Trova i pensieri che aveva smarrito il giorno prima. Trova il tempo di stare a guardare.

Trova un fungo tra le foglie e me lo regala. Questo è buono con il limone e il prezzemolo, mi dice. Nella mia tasca però c’è ancora il biglietto d’ingresso del Museo Pompidou: chissà se potranno stare bene insieme, lui e il fungo.

Continuiamo a salire verso la Sòta du lüv, con il passo convinto di chi ha un luogo da raggiungere. Quando uno dei suoi animali devia verso un albero di pesche, lei lo richiama con un linguaggio misterioso, fatto di suoni ritmici e gutturali, un linguaggio spaventoso e bestiale, ma che al tempo stesso esprime tutto l’esprimibile, un linguaggio perfetto.

Su, verso la Sòta du lüv, come ieri, come l’altro ieri, come nell’idea che rimane in testa di un domani. E lei non dice niente, lei che ha imparato ad annullare anche il pensiero. La conoscono tutti la sua storia, giù in paese. La conoscono tutti, perché ognuno ne ha scritto un pezzo, ognuno ha ripetuto una verità fino a trasformarla in leggenda. La conoscono tutti questa vecchia contadina, ma nessuno le ha mai chiesto cosa sia successo veramente, su dalla Sòta du lüv, quando era giovane. Quando era bella. Quando suo fratello tornava dalla guerra. Quando il vino era il vino, cioè tutto ciò che rimaneva a chi tornava dalla guerra.

Non ho mai creduto alla storia della Sòta du lüv. Non ci ho mai creduto perché sapevo bene che era vera, e allora non mi interessava. Negli occhi della vecchia contadina, invece, c’è tutto quel che l’umidità deposita. Negli occhi della vecchia contadina c’è la Sòta du lüv, e non è più un punto da fuggire ma un rifugio in cui nascondersi, non è uno spazio in cui portare le capre ma un luogo in cui farsi trascinare dalle capre, non è quel che mormora il paese ma il suo esatto opposto: la Sòta du lüv è tutto quel che non è mai stato detto.

[Questo racconto ha ottenuto il primo premio al III Concorso Letterario “G. Bottero” di Mondovì (CN). Secondo la Giuria, “il racconto è condotto magistralmente sia per i tagli delle sequenze, sia per lo scavo interiore e la rara capacità di lasciare affiorare i dati sensoriali. Viene espresso il fascino del lirismo e la magia del mondo naturale].

Diary of a Baltic Man

Real Eyes. Real Lies. Realize.


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