Archive for novembre, 2017

Homo / Homini / Lupus


30 Nov

La famiglia

Hoy
adelanté el invierno
desperté insumiso
escuché el cántaro de agua en la tubería
fría
artificial
de otro día en el planeta-1.

Hoy esperé a la serpiente de acero y lata
me asomé a sus entrañas de ballena roja
y encontré a un charango y a una flauta de pan
y encontré lluvia fina,
material para un “volver”.

Tomando jugo auténtico en las esquinas
buscándole al cónsul sus ganas de hacer
devolviéndole el jugo auténtico a la noche,
“no necesito veneno
veneno para lo que viene,
mas bien tráigalo usté”.

Tráigalo usted que sabe donde conseguirlo
y tráigalo usted que no deja de buscarlo
este engaño de papel tiza sombra y whiskey
este enredo de relatos, que nos tiene hambrientos y satisfechos
al final
al final de cada página
en el reflejo del papel.

Hey. Te traigo noticias de tu hermano.


02 Nov

E’ vivo e ha toccato il ghiaccio, questa sera all’ora del diluvio, ha sentito il ghiaccio nella schiena.
Con lui andava una cagnetta di cui aveva dovuto guadagnarsi il rispetto, la cagnetta della ragazza che poi è diventata la sua ragazza.
Li ho trovati tutti insieme nella Torre Sur, tuo fratello la ragazza e il cane – che nel frattempo aveva sostituito la cagnetta, perché il tempo passa anche qui.

Sono rimasti anche loro nell’arroyo, perché la notizia è che questa sera a Bogotà ha grandinato.
Le strade sono bianche da ore. Bianchi i giardini. Le aiuole. Le scuole.
Ho camminato nell’ora dell’arroyo, del fiume in piena, del grande diluvio.
Le strade sono diventate uno spazio osceno, così come lo avevi letto tu in un libro, ob-sceno. Fuori-dalla scena.
Un ruggito di Selva che invade il territorio dell’uomo, e viene dal monte, e viene dal Nord.
Un fastidio dell’uomo, nel riconoscersi nulla.

Ho attraversato l’Avenida Caracas, dal Paradero del Bus all’altro lato, e non c’era più nulla da fare.
La pioggia mi aveva già impregnato i pantaloni verdi, quelli del Mercato de Segunda, tu sai quali sono.
Più tardi ho visto come l’umanità intera, lì intorno, reagiva in due modi diversi al diluvio.
Eravamo in un incrocio sulla 85, tra eucalipti e scarichi di diesel, nell’ora di punta della notte che si accende.

La maggior parte delle persone cercava riparo.
Attendeva sotto un’insegna, sotto un balcone, sotto il nylon di un chiosco.
La pioggia diminuiva d’intensità poi cambiava direzione poi riprendeva più forte di prima.
E quel che ti indeboliva non era l’attesa, ma la cancrena della speranza.
Il tempo passava e ricominciava a piovere. Avrebbe potuto andare avanti così per sempre.

Così entra la seconda possibilità, quella di una repentina partenza.
“Alla prima diminuzione d’acqua mi muovo, e cercherò varchi asciutti tra gli interstizi della città.
Senza considerare che l’acqua in faccia, una volta ricevuta, non ammette debolezze.
E’ un elemento raro, ed è lì che sta scendendo per te.

Non rimane altra scelta che continuare a camminare, a camminare veloce.
La città si muove in un modo strano lì intorno.
Le strade imbottigliate mantengono un ordine.
L’ordine dell’uomo nel disegno di Darwin.

Poi sono arrivato da tuo fratello, non ci vedevamo da anni, e mi ha dato un paio di calze asciutte.
Un’accoglienza essenziale e perfetta. Non serviva nient’altro.
E abbiamo guardato avanti e abbiamo guardato indietro e ci siamo salutati di nuovo.
Fino alla prossima volta ognuno per la sua: è a questo che serve, in fondo, un fratello.

E trenta minuti di taxi nella città ormai vuota.
Queste strade potrebbero andare avanti all’infinito, e fa paura quando la vedi dall’aereo – anzi como dijo el doctor Reyes “no causa miedo, sino profundo respeto”.
Sulla navicella spaziale che la attraversa radente al suolo si aprono varchi per osservarla.
Un viaggio con i taxisti che lavorano di notte, que siempre tienen historias para contar.

Salire sulla macchina di uno sconosciuto, invadere il suo spazio, sottomettersi alla sua volontà.
Ancora una volta quell’Aria Selvatica, quella vibrazione animale, quel pulsare nel buio.
La grande metropoli che in fondo è fatta di angoli,
un collage di dimensioni spaventose, stordenti, e i racconti ascoltati.
Rapine sequestri coltelli ossidati, la tensione nell’aria de un cielo que no descansa.

Lì in mezzo ho visto tuo fratello, non importa che tu abbia o non ne abbia uno: ti porto sue notizie.
Come gli Apollo del Regno, o i Pony Express di Sua Maestà, che percorrevano cento chilometri con i cavalli più veloci del Paese e poi consegnavano il pacchetto al suo successore.
In questo modo le sue notizie ti raggiungeranno prima del mio ritorno e si inchineranno discrete al vostro incontro,
sinceramente incantate.

Ti porto notizie di tuo fratello, un petardo e uno specchio.
Per guardarti con gli occhi di un altro,
per fare esplodere il caos.

La patria sarà quando tutti saremo stranieri


02 Nov

A quanto pare, benché io abbia dichiarato espressamente che non intendevo firmare l’appello sullo ius soli, il mio nome vi è stato in qualche modo illegittimamente inserito.
Le ragioni del mio rifiuto non riguardano ovviamente il problema sociale ed economico della condizione dei migranti, di cui comprendo tutta l’importanza e l’urgenza, ma l’idea stessa di cittadinanza.
Noi siamo così abituati a dare per scontato l’esistenza di questo dispositivo, che non ci interroghiamo nemmeno sulla sua origine e sul suo significato.
Ci sembra ovvio che ciascun essere umano al momento della nascita debba essere iscritto in un ordinamento statuale e in questo modo trovarsi assoggettato alle leggi e al sistema politico di uno Stato che non ha scelto e da cui non può più svincolarsi.
Non è qui il caso di tracciare una storia di questo istituto, che ha raggiunto la forma che ci è familiare soltanto con gli Stati moderni.
Questi Stati si chiamano anche Stati-Nazione perché fanno della nascita il principio dell’iscrizione degli esseri umani al loro interno.
Non importa quale sia il criterio procedurale di questa iscrizione, la nascita da genitori già cittadini (ius sanguinis) o il luogo della nascita (ius soli).
Il risultato è in ogni caso lo stesso: un essere umano si trova necessariamente soggetto di un ordine giuridico-politico, quale che sia in quel momento: la Germania nazista o la Repubblica italiana, la Spagna falangista o gli Stati Uniti d’America, e dovrà da quel momento rispettarne le leggi e riceverne i diritti e gli obblighi corrispondenti.

Mi rendo perfettamente conto che la condizione di apatride o di migrante è un problema che non può essere evitato, ma non sono sicuro che la cittadinanza sia la soluzione migliore.
In ogni caso, essa non può essere ai miei occhi qualcosa di cui essere orgogliosi e un bene da condividere.
Se fosse possibile (ma non lo è), firmerei volentieri un appello che invitasse ad abiurare la propria cittadinanza.
Secondo le parole del poeta: “la patria sarà quando tutti saremo stranieri”.

Giorgio Agamben.

Diary of a Baltic Man

Real Eyes. Real Lies. Realize.


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