Archive for agosto, 2018

La Volpe e il Mirtillo


27 Ago

 La Volpe e il Mirtillo

Venerdì 24 agosto, mentre i ministri da bettola rimanevano concentrati sulle loro questioni di principio, una cooperativa sorta grazie a una corretta, sacrosanta e lungimirante gestione della manodopera migrante ha intrapreso un’opera storica, recuperando una vecchia vigna in frazione Eca, ad Ormea.

La migrazione, come l’agricoltura, può essere un problema o una risorsa. È tuttavia curioso notare che, mentre molti italiani della Val Tanaro rimangono a pontificare, polemizzare e inveire contro i negri seduti davanti a un bianchetto al bar, i cosiddetti negri recuperano i boschi lavorati dai loro avi e abbandonati dai loro genitori, contribuendo a una trasformazione del paesaggio che, se non cambierà la storia, cambia almeno la geografia.

L’ombra lungo i muri


11 Ago

“Splende la piazza già tranquilla di cielo e di botteghe
ma quei ragazzi andati al Venezuela
hanno scritto la loro ombra lungo i muri”.
Francesco Costabile

Sulle pareti di Castelnuovo di Conza, alta Irpinia al triplice confine tra Campania, Calabria e Lucania, c’è spazio per la poesia.
“Vedi questo palazzo abbandonato, al centro della piazza”, dice Tina. “In occasione della presentazione del tuo libro di stasera, avremmo voluto decorarlo con un grande murale, un’opera d’arte per omaggiare la vicenda dei fratelli Di Domenico, i nostri concittadini illustri. Purtroppo è stato impossibile, perché abbiamo scoperto che gli eredi dell’immobile sono 36, sparsi in tutto il mondo, in tutto il mondo davvero. Nessuno sa più chi siano. E loro non sanno più dov’è Castelnuovo di Conza”.

Castelnuovo di Conza è il paese degli emigrati.
Quattrocento sono i residenti in paese, tremila e cinquecento i castelnuovesi iscritti all’AIRE. Sono discendenti di chi partì centoquaranta anni fa, vendendo il corallo ai francesi o i prodotti italiani ai lavoratori del canale di Panama. Oppure sono partiti loro stessi negli anni Sessanta, Settanta o Ottanta, perché l’emorragia non si è fermata con l’illusione del boom economico d’Italia. “La nostra principale tradizione è l’emigrazione”, dice ancora Tina, e c’è ironia e c’è consapevolezza nelle sue parole. Tina è l’unica rappresentante della sua classe anagrafica ad aver scelto di vivere al paese.

Tra questi professionisti della fuga, il libro “A raccontar la luce” recupera la straordinaria vicenda dei fratelli Di Domenico, che negli anni Dieci del Novecento divennero, un po’ per scelta e un po’ per caso, pionieri del cinema in Colombia. Per loro l’idea del cinematografo nacque come un’idea commerciale tra le altre, fino a quando il gioco divenne serio e iniziarono a produrre film. Oggi le loro vistas, filmate a partire dal 1915, rappresentano il materiale filmico più antico nella storia cinematografica del Paese sudamericano.

A Castelnuovo qualcuno si ricorda ancora di loro. “Lu millunario”, veniva chiamato Francesco, il maggiore dei due fratelli. Negli anni Trenta fece ritorno in paese con “la scatola parlante”, il primo apparecchio radio a raggiungere quelle montagne. L’entusiasmo fu tale che la scatola parlante non veniva mai spenta; gracchiava dal balcone di casa Di Domenico 24 ore al giorno. La madre di Tina invece ricorda il profumo dei glicini che correva su quel balcone. Quando lei nacque Francesco se n’era già tornato definitivamente in Colombia, che era divenuta, come per molti altri castelnuovesi, la nuova patria adottiva.
L’emigrazione, dopotutto, è un gioco che va giocato fino in fondo.
Una volta abbandonato, al “maledetto paese” non si torna più.

Ma nel tardo pomeriggio del 23 novembre 1980, il paese è divenuto maledetto per davvero. Una scossa sismica durata un paio di minuti ha azzerato il paese, e decimato ulteriormente chi è rimasto. Sono morti soprattutto i bambini, più reattivi a fuggire per strada alle prime avvisaglie del tremore. Castelnuovo di Conza oggi sorge più in basso, in un improvvisato dialogo architettonico tra le abitazioni d’emergenza che poco alla volta divennero definitive e le nuove case. Il centro storico è stato in buona parte ricostruito, tale e quale a come si era sviluppato a partire dal secolo XII. Sono uguali le forme delle case, la loro disposizione e anche i colori sono gli stessi. L’unica differenza è che non ci abita più nessuno: i castelnuovesi hanno sviluppato un comprensibile senso di terrore verso il borgo che ha seppellito i loro cari. Nella graziosa piazza del paese, di fronte alla casa dai 36 eredi ignoti, sorge un efficace monumento alle vittime del sisma. I figli di Tina giocano tra la simbolica porta dalle catene spezzate. Mentre osserviamo la scena nelle ultime luci del giorno, un impiegato del comune scaccia i fantasmi del passato. Aveva diciott’anni quando si ritrovò ad estrarre con le proprie mani, pochi minuti dopo il crollo, il cadavere della prima piccola vittima del sisma.

“Splende la piazza già tranquilla di cielo e di botteghe,
ma quei ragazzi andati al Venezuela
hanno scritto la loro ombra lungo i muri”.
Tra il terremoto e l’emigrazione, l’emorragia dei castelnuovesi ha segnato l’intero Novecento. Eppure il paese non si arrende, come conferma il grande lavoro svolto dalla neo-ricostituita pro-loco “a Chianedda”. Nel centro del nuovo paese sorto giù in basso c’è una piazza dal nome significativo, “piazza dell’Emigrante”. Tra ius soli e ius sanguinii, in un’Italia incapace di fare i conti con il proprio passato transnazionale e precario, chissà che non arrivi proprio da lì un messaggio per il futuro.

Diary of a Baltic Man

Real Eyes. Real Lies. Realize.


Ricerca personalizzata