Archive for the ‘Africa’ Category

Altre rovine. Rovine altre


26 Gen

Altre rovine. Rovine altre

Quel giorno il ragazzino tornò a casa e non trovò suo padre. Lo cercò ovunque, ma quando scese il sole ancora non aveva avuto sue notizie.
Così seguì gli uomini della comunità, i suoi fratelli maggiori, e li vide mentre uccidevano una pecora e versavano in un recipiente il grasso delle sue carni.
Quando gli uomini ripartirono, il ragazzino li seguì, e trovò suo padre, e vide come quelli spalmavano il grasso della pecora sul corpo del vecchio, che rimaneva addormentato.

Il ragazzino tornò a casa e prese la sua pelle di vacca, e seguendo un altro sentiero fece ritorno nel luogo in cui dormiva suo padre. Lo trovò che dormiva ancora, così sistemò al meglio la pelle di vacca sul terreno e si addormentò di fianco a lui.

Non riuscì a prendere sonno: si risvegliava continuamente con una strana sensazione, come di sguardi nel buio e strani sospiri puntati addosso.
Sentiva gli animali tutt’intorno: una iena, un’altra iena, forse anche un leone.
Le iene erano soprattutto una risata, un ghigno stridente che è voce di un altro mondo.

Nessun animale si avvicinò. Tutti avevano sentito l’odore della carne, ma avevano percepito anche la presenza del bambino.
Carne viva.

Quella stessa notte gli uomini e le donne della comunità, allarmati, ritrovarono il ragazzino.
Non voleva abbandonare quel luogo: sentiva il ghigno delle iene ancora vivo dietro la schiena.
Gli spiegarono allora che quando una persona muore, muore per davvero.
Solo la sua anima continua ad esistere, forse, da un’altra parte.
Ma la carne appartiene ad altra carne, e anche per questo ritorna alla natura.

Gli spiegarono che il loro popolo era un popolo nomade, e per questo la terra doveva rimanere leggera.

Il ragazzino lasciò indietro suo padre, lo lasciò indietro per sempre.
Tornò al villaggio con gli altri adulti e si chiedeva cosa ne sarebbe stato di lui, almeno fino al giorno in cui sarebbe stato circonciso.
Il giorno in cui anche lui sarebbe diventato un uomo, sarebbe diventato moràn.

16 giugno 1904


27 Dic

Post-Maasai War

Padre, ho viaggiato a lungo
attraverso deserti e città.
E’ stato un lungo viaggio, padre,
attraverso valli e montagne,
così lungo che ho dimenticato le mie tribù,
i miei cugini, perfino l’umanità.
Osama bin Laden [1996]

Cosa voleva dire con questa citazione, professore, che anche il diavolo può essere poeta?
Che anche il poeta può essere diavolo?

Lo stesso pianto di un neonato rompe il silenzio di mille luoghi del mondo;
le stesse voci e le stesse preghiere accompagnano ovunque il percorso del sole.

Il viaggio prosegue con l’Ulisse di Joyce
che nel disordine compresso di uno zaino
attraversa la soglia di una manyata maasai.

Il postmodernismo d’altra parte è già morto da tempo
e il protagonista della sua storia confusa, viaggiando, si costruisce la sua identità,
“arricchendosi delle diversità con cui entra in contatto,
senza risultarne distrutto o assorbito“.

Tuttavia, all’arrivo nella cittadina di Namelok, da qualche parte sull’altipiano,
una folla silenziosa si ammassa nei pressi di un cantiere.
Il corpo di un bambino è disteso di fianco a una pozza d’acqua sporca,
è coperto da un lenzuolo bianco.

Qualcuno dovrà dire a quella madre rimasta laggiù al mercato a vendere i suoi pomodori
che da qualche parte nel mondo, lassù sull’altipiano,
il mondo continua ad essere una questione terribilmente reale,
e il diavolo continua ad essere poeta,
e il poeta non ha mai smesso di essere diavolo.

Wherever you are. [However you feel].


21 Dic

Loitoktok

Tutto un profumo e odore di fumo
E case di legno e latte e caffè
E occhi curiosi e asini stanchi
e abiti bianchi
cotti dal sole cotti dal fumo
e mosche e galline e ragnatele e candele
e una pentola nera tre pietre sul fuoco
un momento per poco
un momento per gioco.

E’ un messaggio per te la marcia perpetua degli animali
il fischio silenzioso che li spinge via dai campi di manioca
le grida delle moto lontane sull’altipiano
è un fischio per te il fischio nel thé.

Ancora una volta è il mondo a portarti nel mondo
come una presenza silenziosa,
un magnete che provoca il succedere delle cose.
Si accumulano sui taccuini parole che non saranno mai lette
parole mai dette
bruciate in un fuoco che riporterà l’essenziale.

Cuociono il latte con la cenere i popoli nell’altipiano
un liquido solido che ha la consistenza dello yogurt, ed è buono,
è viola.

E i pastori
i pastori sono gente decisa
hanno solo ventidue anni ma hanno già vissuto,
hanno vissuto davvero
e parlano poche parole davanti al fuoco,
poi ognuno continua per sé.

Questa sera e ieri mattina le strade hanno una direzione nuova
e da qualunque punto la si guardi,
tutto sembra un cammino antico,
un luogo di partenza.

Parallax


23 Nov

La madonna della Meris

Seduto su un masso. Il gregge mi ha lasciato indietro.
Cinquecentonovantadue cilindri bianchi adesso sono laggiù in fondo, a trecento o forse quattrocento metri di distanza, un unico organismo liquido che scorre nell’erba, tra le pietre, sulle vecchie strade militari.
La nebbia sale dalla Meris, la montagna si fa fredda appena il sole sbiadisce.
La vita si allontana progressivamente, gli insetti spariscono e cala il silenzio, tutto si riduce a un’eco di latrati di cani, di campanacci e di belati osceni.
Il cielo non ha nient’altro da dire. Solo il rombo di un aereo.
Dal crinale di cresta, nella luce delle cinque e mezza del pomeriggio, scendono otto camosci, come angeli oscuri inviati per controllare che non sia rimasto più nessuno, che tutto sia effettivamente diretto verso il regno della notte e dell’inverno.

[Tratto da qui che è tratto da qui].

Lala salama


10 Mag

Fishermen

Locale sudato di vento notturno.
Secondo piano di una palafitta di legno, di fronte all’Acacia Hall del centro di Kampala.
Un ragazzo dà le spalle alla festa. Le ginocchia su una panchina e i gomiti appoggiati alla finestra.
E’ Rafael.

Osserva la città travolta dai lampi.
Alle sue spalle il legno è verde, il legno è viola, il legno è blu.
Anche la musica è stata verde, è diventata nera, adesso è blu.
La festa va avanti e va avanti per davvero.

Le tavole vibrano. Le donne scivolano contro, muovono. Grandi ventilatori laterali garantiscono un vento fresco che entra nella camicia e finisce tra i capelli degli altri.
Rafael continua a guardare fuori dalla finestra. Il vento gli arriva in faccia carico d’acqua.
Piove.
Laggiù in strada passano due individui con due lunghi pali di legno sulle spalle. Appena superano il fascio biancastro della luce pubblica si fermano, spostano il palo sull’altra spalla, riprendono fiato.
“Ladri”, pensa Rafael.
“Chissà dove hanno preso quel palo. Chissà cosa ne faranno”.
Trycha lo segue con la coda degli occhi, continua a ballare.
Anche per lei sono le cinque del mattino. Anche per lei sono cinque ore ballando.
Un paio d’ore prima Rafael e Rachid avevano spiegato che nella loro lingua “to dance” e “to fuck” sono un termine solo.
Poi avevano spento la sigaretta, e siamo tornati a ballare.

“Le uniche luci che vedi sono quelle dei ricchi”, dice Rafael.
“Ogni luce una casa. Ogni luce una casa. Ogni luce una casa. Sembra che tutt’intorno non ci sia nulla. Il nero più assoluto”.
Kampala è una distesa di colline di terra rossa.
Campi di manioca si alternano a officine meccaniche, palazzine e motel. Nelle intersezioni tra le colline sorgono i centri commerciali.
Di fronte a un centro commerciale c’è una finestra senza vetri con un ragazzo che guarda là fuori, e alle sue spalle, una festa.
Da un paio di minuti almeno i ragazzi sono diventati due.
Là fuori ha iniziato a piovere, e la pioggia del tropico è un discorso totale.
L’unico modo per non sentirla è trovarsi in una palafitta infarcita di musica, donne che scivolano, luci colorate, rhum.

Qualche secondo più tardi arriva un unico grido.
Tonalità infantili o femminili, una lama di suono che arriva da lontano e riempie le strade di queste colline.
E’ andata via l’elettricità e iniziano storie nuove.
Perché quando piove va via la luce, e le distese di colline rimangono al buio. E quando succede, si spengono prima di tutto le orecchie, sparisce una crosta di suono che non si ricordava nemmeno più di percepire.
Chi credeva di stare già sonnecchiando può ritrovarsi improvvisamente in movimento, come un gatto.
Per questo appare gente che tenta di fuggire, per strada, con due pali di legno sulle spalle.

Whiteless


07 Apr

Un incrocio deserto, nuvole e pecore.
Una chiesa bianca su sfondo bianco con passanti bianchi.
Luce bianca.

Il taxi si ferma per chiedere informazioni.
La venditrice di schede telefoniche abbozza un saluto.
“Where are you from?”, chiede.
Italy.

“Italy? Wait”.
E fugge di corsa, e rimane sua figlia.
Una bambina di cinque anni circa, treccine sparate verso l’alto e verso l’alto alza anche gli occhi.
Tutt’intorno l’incrocio tace, immerso nel suo bianco non esserci.

La signora torna con un cartoncino scritto a penna.
“Mezzo-carico”. “Colorato”. “Centrifuga”. “Che vuol dire?”
“Che vuol dire?”, chiede.
Nel frattempo le pecore invadono la strada.
Proprio lì, di fronte alla chiesa.

“Si tratta di una lavatrice”.
“Si tratta di una lavatrice, è vero, me l’ha comprata mia figlia”.
Sua figlia la bambina con le treccine sparate verso l’alto?
“La mamma della bambina.
La bambina è mia nipote”.

“Finalmente incontro due italiani.
Così potrete tradurre in inglese”.
Ma come si traduce in inglese centrifuga?
Prova a spiegare il concetto.
Prova a spiegarlo senza usare le mani.

Nella strada, nuvole e pecore.
Il gregge ha riempito anche l’asfalto.
L’incrocio non è più deserto.
Quel che era bianco, adesso è ancora più bianco.

African cities


30 Mar

Le reti alle finestre. I suoni di clacson per strada. Lamiere grigie sui tetti delle case. La domenica strade deserta, canti e tamburi in prossimità delle chiese. Venditrici di banana per strade. Donne ovunque, con qualcosa in equilibrio sulla testa. Una capra che si fa largo tra plastica e cemento. Cibi fritti, cibi freddi, cibi caldi. Mangiare con le mani un po’ dappertutto. Odore di gasolio bruciato da motori non catalitici. Le strade bloccate dal traffico alle 6 del pomeriggio. Insegne colorate, piene di dettagli e dense di scritte. Giardini tropicali protetti da filo spinato. Persone sedute ovunque, con il telefonino in mano e due cuffie nelle orecchie. Strade di terra rossa e strade d’asfalto, i segni della pioggia che rimangono impressi per mesi. Capitali finanziarie, centri industriali, mercati provinciali, capoluoghi regionali di popoli diversi. Le città d’Africa nella loro struttura si somigliano tutte. Quel che nascondono, inizia più in là.

Kumasi


23 Mar

Mezzanotte.
Suono di generatore elettrico.
Da sette ore manca la luce, e inevitabilmente la notte diventa più notte.
Voci di ragazzi e ragazze che gridano.
Ovattate, lontane.
Come se festeggiassero un gol davanti alla televisione, davanti a un bar per strada, là sotto.
Ma festeggiare un gol è impossibile: anche stanotte manca la luce, non c’è calcio e non c’è televisione.

E allora suono di generatore.
Viene di là, dietro il muro bianco, sotto la tanica dell’acqua.
La casa di fronte ha bisogno di luce, per i condizionatori d’aria, per la connessione wireless.
La connessione wireless serve anche di qua, e quando manca quella, inevitabilmente la notte diventa più notte.

Ecco cosa succede di notte, nella seconda città del Ghana.

Urban literature


17 Mar

Do you suffer sex dysfunctions?
Now everyone can afford a digital TV.
Jesus is the answer
to give a new softness to your skin
in the new maternity yard in Nairobi Hospital
just dial +522# to see your new incomings.

Don’t forget who is waiting for you at home
and bring us your toner, we will regenerate it.
Thank you for choosing to travel with us
soon 30 new modern comfortable flat will be released.
Color you world.
Color your world.
When you’ll order the next one, you’ll get 5% discount.

[interamente tratto dai cartelloni pubblicitari lungo le strade di Nairobi].

La banana


03 Mar

 

Lì sulla porta erano appesi dei frutti a me sconosciuti, simili per aspetto a cetrioli di media grandezza. La buccia, come nelle fave, in alcuni era verde, in altri gialla. “Che cos’è”, domandai. “Banane”, mi risposero. “Banane! Il frutto tropicale! Datemele!”. Mi diedero tutto il mazzo. Ne staccai una e la sbucciai: la buccia viene via quasi appena la si tocca; l’assaggiai e non mi piacque: non sa di niente, in parte è dolce, ma d’un dolce fiacco e smaccato, un gusto farinoso, simile un po’ alla patata e al melone, però non così dolce come il melone e senza aroma e con un profumo suo proprio, un po’ grossolano. E’ più un legume che un frutto, e tra la frutta è un parvenue.

I. A. Goncarov, Fregat “Pallada”

 

Diary of a Baltic Man

Real Eyes. Real Lies. Realize.


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