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Sarayaku giorno 20 – La Verità


07 Gen

El canto del sabio

Sarayaku è una comunità indigena d’Ecuador, nascosta nella regione Amazzonica, a sei-sette ore di canoa dal centro urbano più prossimo. L’ambiente naturale è uno tra gli ecosistemi più ricchi del mondo, con centinaia di specie animali e vegetali protette.

La sua gente, fin dall’alba dei tempi, vive con l’ambiente circostante in un rapporto di equilibrio perfetto. Le decisioni vengono prese dai saggi, gli shamani, che tramandano il loro sapere per via orale, attraverso cerimonie che prevedono il dialogo con gli spiriti dei vari elementi naturali (acqua, aria, serpenti, pietre, cielo, eccetera). La gente di Sarayaku ha l’abitudine di svegliarsi di buon mattino, prima dell’alba, e intorno al fuoco ogni membro della famiglia racconta agli altri i suoi sogni, che vengono interpretati dai più saggi e investiti di un significato.

Anche l’organizzazione quotidiana è strutturata secondo tradizioni antichissime: gli uomini cacciano, pescano e costruiscono case, le donne si prendono cura della casa e della chakra, (l’orto), e preparano la chicha, una bevanda leggermente alcolica, che è la protagonista di ogni riunione sociale.

Nel 2003, alcune multinazionali del petrolio (tra le quali, AGIP) hanno tentato di invadere il territorio Sarayaku (135.000 ettari circa), supportate e difese dai soldatini dell’esercito ecuatoriano. Al contrario di numerose altri popoli indigeni locali, che hanno accettato gli inganni  di chi promuove una falsa ricchezza fondata sulla distruzione di un ecosistema e di una natura, Sarayaku ha scelto di combattere, di lottare “per l’unico patrimonio possibile”, il proprio territorio. Uomini, donne e bambini hanno abbandonato le loro case per quattro mesi, impegnati a respingere gli invasori stranieri e nazionali; i dirigenti comunitari sono stati accusati di terrorismo e sabotaggio.

Forti della loro consapevolezza e dell’appoggio ricevuto da numerose ONG canadesi ed europee, i Sarayaku hanno resistito. Nel marzo 2011, probabilmente, la Corte Interamericana dei Diritti Umani sancirà definitivamente il loro diritto all’autodeterminazione, e sarà una sentenza storica, in America Latina. Ma soprattutto, consapevoli della necessità di esistere anche fuori dalla Selva, la gente di Sarayaku ha intrapreso un cammino di organizzazione politica e comunicazione, e studia sul campo una proposta di sviluppo umano in equilibrio con l’ambiente e le tecnologie disponibili. Un modello di civiltà all’infuori del capitalismo.

2011 - Space Odyssey

A Sarayaku, oggi, la gente usa il Mac e trasmette dalla sua radio. L’elettricità è fornita da pannelli solari; la connessione al mondo, da antenne satellitari che portano internet wireless. I giovani studiano l’inglese e riprendono la coltivazione di piante medicinali amazzoniche, i più adulti organizzano la resistenza indigena pensando a un domani che prende forma tre, quattro, cinque generazioni più in là. Uno di loro, Marlon Santi, è Presidente della CONAIE. Tutti insieme, nei giorni di minga (lavoro collettivo), camminano svariati kilometri su e giù per montagne e fiumi, con il machete in mano.

Se il Futuro ha ancora un senso, si nasconde a Sarayaku.

Sarayaku giorno 11


29 Dic

Una tarantola gigante nella tenda. Gambe e muscoli spezzati inseguendo indigeni troppo veloci in camminate di sedici ore. Pelle annerita dal Witog. Allucinazioni di pastasciutta e birra e vino e robe dolci e in sostanza di tutto ciò che non sia pesce. Pesce fresco a colazione pranzo e cena. Lunghe camminate notturne in una selva che è un mondo indipendente dal nostro. “Anche il fiume è una città“, dice Josè Luìs. Discussioni su sistemi alternativi al capitalismo consumista. Un aereo-soccorso di primo mattino, perchè un serpente ha morso qualcuno. Il vecchio saggio che sembra essere la persona più bella del mondo. Verde espresso in centomila tonalità diverse. Undici giorni che già sembrano undici mesi. Sarayaku come alternativa.

Sarayacu giorno 6


24 Dic

Se i nostri governanti fossero “selvaggi amazzonici”.
Se per trovare una Comunità non fosse necessario uscire dal Mondo dell’Ovest.
Se l’unico sapore concesso sia quello dell’acqua dell’aria dei pesci e non quello dei soldi.
Se tutti imparassero a pretendere.
Se camminare e non guidare.
Se il giorno e la notte il buio e la luce la fatica e antiche leggende.
Se tutti usassero internet per entrare nel mondo e non solo fuggirci.
Se i vecchi fossero i saggi e non un cumulo di ossa da parcheggiare in un luogo che non consumi troppa pensione.
Se pensare nel “futuro” non fosse programmare “domani” ma lo spazio e l’ambiente di cinque generazioni più in là.
Se la politica fosse come a Sarayacu, “un qualcosa che serve per costruire pace e pensare all’ambiente e nient’altro”.
Se si sta nella selva lontano da tutti per imparare qualcosa.
Se tutti alzassero di qualche centimetro la linea dei loro orizzonti, allora avrebbe ancora un senso il vostro noioso, fottuto Natale.

Sarayacu giorno 2


20 Dic

Il fiume più secco del previsto, e un carico extralarge di benzina che la comunità impiegherà per cercare nell’interno-selva palme buone per costruirci tetti. Risultato: ritardo nei permessi per partire (e non essere arrestati per contrabbando di combustibile con Perù e Brasile), lunghi e frequenti incagliamenti (scendere e spingere, please), e il viaggio spezzato da una notte passata a riposare, in una capanna abbandonata. Venti ore di viaggio anzichè le cinque-sei previste.

Sarayacu però è una conferma. Le stesse facce di un anno prima, e una nuova generazione di neonati. La stessa, sorprendente organizzazione sociale di una comunità che sa perfettamente cosa vuole e come pretenderlo, e si oppone alla costruzione di strade ma vuole radio e internet veloce.

Quindici giga di immagini nei primi due giorni. Tutto è fotografia, cartolina, umanità in movimento. Sui tavoli di legno di una capanna equatoriale, un indigeno di quarant’anni chatta su msn e un paio di ragazzi ascoltano bob marley. Emancipate yourself from mental slavery.

Diary of a Baltic Man

Real Eyes. Real Lies. Realize.


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