Sarayaku è una comunità indigena d’Ecuador, nascosta nella regione Amazzonica, a sei-sette ore di canoa dal centro urbano più prossimo. L’ambiente naturale è uno tra gli ecosistemi più ricchi del mondo, con centinaia di specie animali e vegetali protette.
La sua gente, fin dall’alba dei tempi, vive con l’ambiente circostante in un rapporto di equilibrio perfetto. Le decisioni vengono prese dai saggi, gli shamani, che tramandano il loro sapere per via orale, attraverso cerimonie che prevedono il dialogo con gli spiriti dei vari elementi naturali (acqua, aria, serpenti, pietre, cielo, eccetera). La gente di Sarayaku ha l’abitudine di svegliarsi di buon mattino, prima dell’alba, e intorno al fuoco ogni membro della famiglia racconta agli altri i suoi sogni, che vengono interpretati dai più saggi e investiti di un significato.
Anche l’organizzazione quotidiana è strutturata secondo tradizioni antichissime: gli uomini cacciano, pescano e costruiscono case, le donne si prendono cura della casa e della chakra, (l’orto), e preparano la chicha, una bevanda leggermente alcolica, che è la protagonista di ogni riunione sociale.
Nel 2003, alcune multinazionali del petrolio (tra le quali, AGIP) hanno tentato di invadere il territorio Sarayaku (135.000 ettari circa), supportate e difese dai soldatini dell’esercito ecuatoriano. Al contrario di numerose altri popoli indigeni locali, che hanno accettato gli inganni di chi promuove una falsa ricchezza fondata sulla distruzione di un ecosistema e di una natura, Sarayaku ha scelto di combattere, di lottare “per l’unico patrimonio possibile”, il proprio territorio. Uomini, donne e bambini hanno abbandonato le loro case per quattro mesi, impegnati a respingere gli invasori stranieri e nazionali; i dirigenti comunitari sono stati accusati di terrorismo e sabotaggio.
Forti della loro consapevolezza e dell’appoggio ricevuto da numerose ONG canadesi ed europee, i Sarayaku hanno resistito. Nel marzo 2011, probabilmente, la Corte Interamericana dei Diritti Umani sancirà definitivamente il loro diritto all’autodeterminazione, e sarà una sentenza storica, in America Latina. Ma soprattutto, consapevoli della necessità di esistere anche fuori dalla Selva, la gente di Sarayaku ha intrapreso un cammino di organizzazione politica e comunicazione, e studia sul campo una proposta di sviluppo umano in equilibrio con l’ambiente e le tecnologie disponibili. Un modello di civiltà all’infuori del capitalismo.
A Sarayaku, oggi, la gente usa il Mac e trasmette dalla sua radio. L’elettricità è fornita da pannelli solari; la connessione al mondo, da antenne satellitari che portano internet wireless. I giovani studiano l’inglese e riprendono la coltivazione di piante medicinali amazzoniche, i più adulti organizzano la resistenza indigena pensando a un domani che prende forma tre, quattro, cinque generazioni più in là . Uno di loro, Marlon Santi, è Presidente della CONAIE. Tutti insieme, nei giorni di minga (lavoro collettivo), camminano svariati kilometri su e giù per montagne e fiumi, con il machete in mano.
Se il Futuro ha ancora un senso, si nasconde a Sarayaku.