Archive for the ‘Cuentos’ Category

Man at work


08 Nov

Secondo episodio.

Siamo in un ufficio affollato. È l’infermeria dell’aeroporto di Duna Caliente, il cui nome i colonizzatori di queste terre hanno trasformato in: Duna Caliente.

Arde


14 Giu

Arde.
Arde di materia e carne viva.
Un uomo con la camicia rosa e suo figlio con lo sguardo allucinato, persi nel Cimitero delle Balene Cadute, percuotendo grossi alberi cavi, come fossero  – perché sono – materia viva.

Cercano il suono e inseguono il sogno.
Una chiara visione confusa, un’idea di armonia. Un sogno che è bisogno di suono, percuotere gli alberi per ricavarne del suono, trasformare quel che esiste per creare un qualcosa di nuovo. Procedono disordinati tra le foglie secche e le ortiche, nella luce già calda del mattino alle sette, la luce già calda di un mattino di giugno, lui con la camicia rosa e suo figlio con una videocamera grossa come un altro bastone, una videocamera che si può tenere in una mano sola e non è il caso di guardare quel che riprende, e così con il baricentro si può esplorare il terreno, e così con l’altra mano si può suonare un castagno che sembra un dinosauro dormiente.

 

Il figlio ha trentaquattro anni e il padre oltrepassa i sessanta,
nel mezzo del cammin di nostra vita si ritrovaron in una selva oscura,
e la retta via non era mai esistita.

 

 

Ricordi quando ti dicevano, alle scuole elementari, con sguardo severo

“bambini, bambine, ognuno a sedersi al proprio posto?”

Non avevano capito un cazzo,
o forse avevano capito tutto, e continuavano a perpetrare il messaggio sbagliato.

E come la mettiamo se il mio posto in fondo è un altro, se i miei posti son tutti?
Oggi voglio sedermi sul bordo. Oggi voglio sedermi sul banco. Oggi voglio sedermi sotto il tavolo, e guardarvi dalla prospettiva dei piedi, e immaginare che ogni scarpa sinistra si inventi un suo linguaggio per parlare con la scarpa destra e con quella soltanto, un linguaggio fatto di parole inventate, sciaqquicciate, ingialluntite, parole che costruiscano concetti che nelle lingue esistenti in effetti non esistono, come per esempio

 

“camminare arrampicandosi su un terreno scosceso in salita”
oppure
“la sensazione che si prova dopo sette ore davanti a uno schermo, quando la mente avrebbe voglia di continuare a rimanere in quel trip ma il corpo ha bisogno di altro, ha bisogno di movimento, perché è fatto di muscoli e carne e la carne e i muscoli sono indolenziti”.

Oppure il bisogno di amore,
quel bisogno di amore che avviene per un momento soltanto ma che ti lascia dentro come una fitta
quelle cellule che si spostano e rimbombano e muovono
il tocco del bastone sulla risonanza del legno
un uomo con una camicia rosa e suo figlio percuotendo castagni,
sotto la luce del mattino, la prima luce del mattino,
un padre e un figlio in un cimitero che è anche un giardino.

 

follow me up

Post-punk Dilemma


27 Mag


 

Butta la buta
Buttalabuta
Getta via la bottiglia,
Smetti di bere.

Stop Drinking.

Butta la buta
La buta non è il cammino, compagno di strada
Buttalabuta che non serve più a niente
Butta la buta,
il vento ci sente.

“Non butto la buta perché là dentro c’è il mare”,
dice el viajero mentre è seduto e guarda il sole
Non buttolabuta, non è cosa da buttare
Non butto la buta perché dopodomani tornerà la carestia
la notte si farà lunga, e allora la buta potrà servire.

Buttalabuttala buta la buta.
Rotolano le pietre sulla Valle dell’Inferno.
Sono i camosci, cercano il sale sulle rocce del mare.

È un mare glaciale,
che conserva il ritorno di qualcosa di grandioso,
qualcosa che rimane.

Butta la buta e buttati tutta
c’è riparo e c’è posto per tutti lì sotto
buttalabuta la buta la buta
c’è posto per tutti, c’è posto per noi.

Ma sì, buona fortuna


04 Apr

“Guardali là, quelli sono i miei compari”.
Si son costruiti il buio per nascondersi meglio.
Si sono cercati una luce, perché anche una fiamma è un discorso.

Li riconosci, sono facce strane, superfici d’ignoto in cui non hai mai smesso di perderti.
Cercando le loro tracce hai tracciato la rotta.
Seguendo il loro fiuto hai creato il destino.

Così li guardi ancora una volta, quei loro occhi del viaggio
e riconosci le pietre e riconosci la steppa.
Cadranno anime nell’erba, là fuori nel mondo
cadranno rami secchi e ponti di cemento
cadranno le case nei villaggi ma non importerà davvero
perché avrai in mente quegli occhi,
quei loro sguardi diversi,
volersi prendere il cielo.

Voler prendere il cielo e scavare nel fango
cercare nel buio, smuovere pietre, esplorare gli anfratti.
Ritrovarsi distrutti, ferite aperte, fratelli distratti
Lo que no me esperaba es lluvia, y llueve fuerte agua frìa.
“Tal vez este es el cielo”, dice el coronel bajo el paragua
“Tal vez es un sueño”, dice la foglia gialla, travolta dall’acqua.

E allora aguardiente y cumbia e avanti, si cambia
l’unica costante è il tempo, e non esiste, e forse non è nemmeno costante
e graffia i vetri con le unghie, e nel silenzio tace
e allora aguardiente y cumbia,
e avanti così,
si balla.

Diary of a Baltic Man

Real Eyes. Real Lies. Realize.


Ricerca personalizzata