Archive for the ‘Cuentos’ Category

This beautiful world


05 Nov

Rimani un attimo distratto,
ti assenti un momento dallo schermo,
ed ecco che tutto si riempie y se llena otra vez.

Funzionano così i flussi e i riflussi del tempo
a uno sembra di guardare il paso delle stagioni
autunno, inverno, primavera, estate,
– e nuovamente autunno –
e invece si potrebbe osservare ogni aspetto da una scala più grande,
una valle per esempio,
o forse una vita
e la valle si riempie e si svuota
anche la vita si svuota e si riempie di nuovo
e così avanti con il ritmo delle pulsazioni e del respiro
fino alla fine del tempo,
o forse anche prima,
chissà.

Dicono che il nostro Sole ha una vita media di cinquecento miliardi di anni
insomma il tempo è limitato,
presto finirà.
Cinquecento anni, cosa vuoi che siano cinquecento miliardi di anni.
Ogni giorno accadono le stesse quantità di tempo.
Cinquecento milioni di secondi. Moltiplicati per la gente che vive quaggiù.

Senza contare i gatti, i tassi, i canarini e anche le quaglie.
C’è una volpe che gira attorno a casa mia, ha sentito l’odore del formaggio.
Rimani un attimo distratto,
ti assenti un momento dallo schermo,
ed ecco che tutto si riempie y se llena otra vez.

Questa mattina mi sono svegliato e mi sono accorto che stavo sognando Piero.
Insieme prendevamo un autobus diretto verso il Belgio,
chissà cosa andavamo a fare, lassù?
Sull’autobus non c’era nessuno: solo io, Piero e l’autista.
Così quando mi sono svegliato ho scritto a Piero e gli ho detto: potevamo andare in macchina.
Non abbiamo nemmeno dormito,
perché è bello viaggiare con Piero,
è bello anche nei sogni.

Ma adesso è notte fonda ed è dall’altra parte dello specchio.
Una giornata intera è accaduta,
una giornata intera attraversando le valli, le stagioni e i continenti.
Nel lato mediteranneo del mondo festeggiavano la fine della guerra, ma era un’illusione.
Festeggiavano il quattro novembre, di centosei esatti anni fa.

I bambini cantavano, c’era anche il prete che benediva.
Ecco come sono andati alla guerra,
ecco come siamo partiti tutti.
C’era chi ci faceva cantare,
chi ci faceva benedire.

I più coraggiosi si distraevano guardando i raggi del sole colpire il metallo
i più curiosi scrutavano le facce degli adulti, ne ricavavano mostri.
È bello lavorare con i ragazzini di dodici anni perché non sembra che credano a tutto, anzi: forse sono gli unici che non si bevono davvero tutte le stronzate che gli raccontiamo.
I ragazzini e le ragazzine di dodici anni sono gli adulti dei bambini, conoscono la magia di raccontare storie e la reazione isterica che ne può derivare quando le storie si fanno vere.
Non ha troppo senso cercare la comprensione reale della gente, ragazze e ragazzi.
Meglio rimanerne alla larga. Restate nei boschi.

Appeso al muro c’era un articolo di giornale locale, diceva “riaperta la scuola per sei bambini di montagna”.
Il messaggio conteneva anche una nota triste, diceva: ma in quel dato sobborgo di mare, ai confini della cittadina di provincia, un’altra scuola chiude, perché gli iscritti bambini sono sette, e sei di loro sono stranieri. Non ci può essere integrazione possibile.

Ci può essere integrazione possibile quando tuo figlio è uno e gli altri cinque sono stranieri?
Chissà, forse così funzionano le strade del mondo.
Uno solo è la sua casa, gli altri cinque son stranieri.
Rimani un attimo distratto e ti si riempie d’estranei la vita.
Ma ti volti dall’altra parte e c’è Piero sul bus, in viaggio verso il Belgio.
Cosa andremo a fare, poi, laggiù.
Ci sono solo pianure.

Man at work


08 Nov

Secondo episodio.

Siamo in un ufficio affollato. È l’infermeria dell’aeroporto di Duna Caliente, il cui nome i colonizzatori di queste terre hanno trasformato in: Duna Caliente.

Arde


14 Giu

Arde.
Arde di materia e carne viva.
Un uomo con la camicia rosa e suo figlio con lo sguardo allucinato, persi nel Cimitero delle Balene Cadute, percuotendo grossi alberi cavi, come fossero  – perché sono – materia viva.

Cercano il suono e inseguono il sogno.
Una chiara visione confusa, un’idea di armonia. Un sogno che è bisogno di suono, percuotere gli alberi per ricavarne del suono, trasformare quel che esiste per creare un qualcosa di nuovo. Procedono disordinati tra le foglie secche e le ortiche, nella luce già calda del mattino alle sette, la luce già calda di un mattino di giugno, lui con la camicia rosa e suo figlio con una videocamera grossa come un altro bastone, una videocamera che si può tenere in una mano sola e non è il caso di guardare quel che riprende, e così con il baricentro si può esplorare il terreno, e così con l’altra mano si può suonare un castagno che sembra un dinosauro dormiente.

 

Il figlio ha trentaquattro anni e il padre oltrepassa i sessanta,
nel mezzo del cammin di nostra vita si ritrovaron in una selva oscura,
e la retta via non era mai esistita.

 

 

Ricordi quando ti dicevano, alle scuole elementari, con sguardo severo

“bambini, bambine, ognuno a sedersi al proprio posto?”

Non avevano capito un cazzo,
o forse avevano capito tutto, e continuavano a perpetrare il messaggio sbagliato.

E come la mettiamo se il mio posto in fondo è un altro, se i miei posti son tutti?
Oggi voglio sedermi sul bordo. Oggi voglio sedermi sul banco. Oggi voglio sedermi sotto il tavolo, e guardarvi dalla prospettiva dei piedi, e immaginare che ogni scarpa sinistra si inventi un suo linguaggio per parlare con la scarpa destra e con quella soltanto, un linguaggio fatto di parole inventate, sciaqquicciate, ingialluntite, parole che costruiscano concetti che nelle lingue esistenti in effetti non esistono, come per esempio

 

“camminare arrampicandosi su un terreno scosceso in salita”
oppure
“la sensazione che si prova dopo sette ore davanti a uno schermo, quando la mente avrebbe voglia di continuare a rimanere in quel trip ma il corpo ha bisogno di altro, ha bisogno di movimento, perché è fatto di muscoli e carne e la carne e i muscoli sono indolenziti”.

Oppure il bisogno di amore,
quel bisogno di amore che avviene per un momento soltanto ma che ti lascia dentro come una fitta
quelle cellule che si spostano e rimbombano e muovono
il tocco del bastone sulla risonanza del legno
un uomo con una camicia rosa e suo figlio percuotendo castagni,
sotto la luce del mattino, la prima luce del mattino,
un padre e un figlio in un cimitero che è anche un giardino.

 

follow me up

Post-punk Dilemma


27 Mag


 

Butta la buta
Buttalabuta
Getta via la bottiglia,
Smetti di bere.

Stop Drinking.

Butta la buta
La buta non è il cammino, compagno di strada
Buttalabuta che non serve più a niente
Butta la buta,
il vento ci sente.

“Non butto la buta perché là dentro c’è il mare”,
dice el viajero mentre è seduto e guarda il sole
Non buttolabuta, non è cosa da buttare
Non butto la buta perché dopodomani tornerà la carestia
la notte si farà lunga, e allora la buta potrà servire.

Buttalabuttala buta la buta.
Rotolano le pietre sulla Valle dell’Inferno.
Sono i camosci, cercano il sale sulle rocce del mare.

È un mare glaciale,
che conserva il ritorno di qualcosa di grandioso,
qualcosa che rimane.

Butta la buta e buttati tutta
c’è riparo e c’è posto per tutti lì sotto
buttalabuta la buta la buta
c’è posto per tutti, c’è posto per noi.

Ma sì, buona fortuna


04 Apr

“Guardali là, quelli sono i miei compari”.
Si son costruiti il buio per nascondersi meglio.
Si sono cercati una luce, perché anche una fiamma è un discorso.

Li riconosci, sono facce strane, superfici d’ignoto in cui non hai mai smesso di perderti.
Cercando le loro tracce hai tracciato la rotta.
Seguendo il loro fiuto hai creato il destino.

Così li guardi ancora una volta, quei loro occhi del viaggio
e riconosci le pietre e riconosci la steppa.
Cadranno anime nell’erba, là fuori nel mondo
cadranno rami secchi e ponti di cemento
cadranno le case nei villaggi ma non importerà davvero
perché avrai in mente quegli occhi,
quei loro sguardi diversi,
volersi prendere il cielo.

Voler prendere il cielo e scavare nel fango
cercare nel buio, smuovere pietre, esplorare gli anfratti.
Ritrovarsi distrutti, ferite aperte, fratelli distratti
Lo que no me esperaba es lluvia, y llueve fuerte agua frìa.
“Tal vez este es el cielo”, dice el coronel bajo el paragua
“Tal vez es un sueño”, dice la foglia gialla, travolta dall’acqua.

E allora aguardiente y cumbia e avanti, si cambia
l’unica costante è il tempo, e non esiste, e forse non è nemmeno costante
e graffia i vetri con le unghie, e nel silenzio tace
e allora aguardiente y cumbia,
e avanti così,
si balla.

Diary of a Baltic Man

Real Eyes. Real Lies. Realize.


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