Archive for the ‘Potere [Linguaggio]’ Category

Immagine e Azione.


02 Mar

Kibera Masks

Stazione di polizia di Kibera, lo slum di Nairobi.

Tensione nell’aria
eccitazione diffusa
vibrazione collettiva.

Dopodomani ci saranno le elezioni.

E volano gli elicotteri sulle nostre teste.
E squilla la tromba dalla guardiola.
Un centinaio di adolescenti armati battono i tacchi e saltano sull’attenti.

Arriva il comandante, arriva il generale, arriva il colonnello.
Tutto questo sembra il set di un film con dittatori anni 70.
Nell’architettura del contesto
nell’arredamento degli uffici
nell’abbigliamento dei presenti
leggi il fascino perverso di un mondo Altro.

Tutto questo è il set di un processo elettorale particolarmente importante, nell’Africa Orientale dell’anno 013.
Cosa succederà dopodomani?

Nel 2008, alle ultime elezioni, il disordine e la violenza etnica sono esplosi a fondo in tutto il paese, provocando un centinaio di morti e migliaia di problemi.
A Kibera, la baraccopoli più grande di Nairobi, la rabbia è esplosa contro la polizia.
Il novanta percento degli abitanti di Kibera è di etnia Luo (candidato Raila Odinga).
Il novanta percento dei poliziotti è di origine Kikuyu (candidato Uhuru Kenyatta, figlio d’arte).

Il sessantacinque percento dei kenioti vive negli slum.

Altre considerazioni qui.

Camerata


18 Gen

Sul treno.
Sale un tipo con gli occhiali scuri (nevica), gli abiti scuri, il cappotto scuro, e anche la pelle scura (questo è un dettaglio interessante).
Non c’è posto a sedere, rimane in piedi.
Mima una telefonata, non credo che telefoni veramente.
“Sì, camerata. Ci vediamo davanti alla casa di quegli schifosi, camerata. Ho portato anche il libro su quei bastardi ebrei, camerata. E’ sempre il solito discorso, il solito problema con i sionisti, camerata. Ho letto anche quello che avevi detto di leggere su Benedetto Croce, camerata. E’ giunto il momento di fare qualcosa, Monti è uno di quelli, è un amico dei sionisti, camerata. Ma ne parliamo più tardi. Heil, camerata [con annesso gesto del braccio]. Onore e rispetto. A dopo”.
La gente solleva gli occhi, qualcuno ascolta. Qualcun altro continua a leggere “Alla fine di un giorno noioso”, di Massimo Carlotto. Io smetto di scrivere questo testo e inizio a scrivere questo testo. Il nazista meticcio probabilmente non sta telefonando veramente, probabilmente c’è qualcuno con una telecamera nascosta che sta filmando la scena e le reazioni – o le non-reazioni – della gente.

Ecco, sì, dev’essere così.
Non sta telefonando veramente.
Dev’esserci qualcuno con una telecamera nascosta che sta filmando la scena e le reazioni – o le non reazioni – della gente.

Il buon vecchio giornalismo di domani


08 Mar

Esisteva il giornalismo, una volta. Quello buono. Quello serio. Quello riservato a una schiera di pochi eletti (che avevano la scritta “Press” sul cappello), uomini chiaramente consapevoli del proprio ruolo e dei limiti che questo comportava.

Poi venne il giornalismo. Quello spettacolare. Quello da grandi tirature. Quello innescato dal ruolo primario dei mezzi di comunicazione nelle sorti dei governi e degli uomini, quello da superstar che potevano permettersi il lusso di salire sullo stesso piedistallo degli oggetti dei loro servizi (Pinco Pallino intervistato da).

E infine, fu il tempo del giornalismo. Inteso come sportivo, gossipparo, popolare, zerbinizzante. Volti imbellettati utilizzati come amplificatori per trasmettere e inculcare un messaggio ben preciso: quello del datore di lavoro. Di un datore di lavoro che è anche politico che è anche opinion leader che è anche a capo di una holding che è anche te.

E adesso, è il tempo del giornalismo. Artigianale, esaustivo, direttamente dal produttore al consumatore. Di fronte ai principali quotidiani nazionali (tutti uguali: La Stampa è esattamente identica al tg delle 20.30, La Repubblica esiste tale e quale anche in Colombia, il taglio è quello trito e ritrito e viene messo insieme da stagisti sottopagati), appare ridicolo, una volta di più, il linguaggio dei cosiddetti “media”. Ci sono i blogs, ci sono movimenti d’opinione d’ogni sorta, ci sono esseri umani (i giornalisti) che non possono più materialmente raggiungere ogni notizia, e per ogni notizia ci sono centinaia di esseri umani che la vivono in prima persona – e hanno iniziato a esprimerla. Quando sfoglio uno qualunque di questi giornali, quando leggo questi patetici articoli messi insieme con lo schema tradizionale, provo un sentimento di autentica pena per questi costruttori di nulla, impegnati a tenere in piedi un anacronismo fatto di carta catrame e pubblicità, un unico giornale che parla le cinquemila lingue senza dire veramente niente.

La buona notizia, però, è che il giornalismo siamo anche noi. Con le nostre fotocamere, con i nostri frullatori che fanno video in full hd, con skype che permette di chiedere a un amico a fukushima di che colore è l’insalata da quelle parti. Tecnicamente non sarebbe troppo difficile attendere il sindaco di fronte al municipio, con il dito pronto sul tasto “rec”, e chiedergli “e quindi dottò, questo nuovo ospedale da cinquemilamilioni, a che cosa servirebbe?” Anche per questo, non è facile non incazzarsi di fronte a chi parla di “censura”, di “ai giornali però questo non interessa”, di “questo sì che andrebe detto in televisione”: la vera censura la operiamo noi, se continuiamo a comprare il giornalone da novanta pagine, se clicchiamo l’articolo sul vicino di casa del marito di garlasco, se condividiamo su facebook le foto dei nostri figli ancora feti e non quelle poche notizie che potrebbero interessare a qualcun altro.

Ah. A proposito: il reportage che segue l’abbiamo messo insieme – in due giorni – a Quito. Una conoscente parla di questo drammatico fenomeno silenzioso che coinvolge Haiti ed Ecuador, internet ti dice chi può spiegarti qualcosa, una videocamera e un po’ di montaggio fanno il resto. Costo totale: 10 euro (includendo due ottimi succhi di mango e maracuya con latte). La Stampa, Repubblica, Rai, Mediaset, Corriere & Co. continuano a mantenere inviati a Londra, per raccontare la pelliccia della regina.

Nel rispetto della migliore tradizione


11 Dic

Allora, la sequenza, suppergiù, è questa:

1- La famiglia è ossessionata dall’idea della figlia casta e pura fino all’altare.
2- La figlia, sedicenne, ha un rapporto sessuale.
3- La figlia, sedicenne, che ha appena avuto un rapporto sessuale ma anche una famiglia ossessionata dall’idea della verginità (e dell’altare), sa che presto sarà spinta verso il consultorio per il solito “controllino”.
4- La figlia si inventa di essere stata violentata.
5- Chi erano? Erano in due. “Capelli neri. Ricci. Uno dei due aveva una cicatrice sul volto. Puzzavano”.
6- Di fronte alla realtà della fimmina aggredita, i maschi con la clava gridano vendetta.
7- Un campo rom bruciato da una folla indiavolata.

Chi ha scritto l’ennesima sceneggiatura? Il prete e la sua paranoia di verginità? I giornali e i loro rom che esistono solo quando stuprano? Duemila anni di cultura machista, per cui le donne vengono violentate e gli uomini condannano NON lo stupro in quanto tale, ma l’idea che LA NOSTRA FIMMINA è stata violentata, l’affronto alla tribù va vendicato con il sangue?

Carne fresca nel congelatore


15 Nov

‎”In Italia, data la maggiore influenza avuta dalla cultura marxista e la quasi assenza di una cultura liberale, si è protratta più a lungo, in una parte dell’opinione pubblica e della classe dirigente, la priorità data alla rivendicazione ideale, su basi di istanze etiche, rispetto alla rivendicazione pragmatica, fondata su ciò che può essere ottenuto, anche con durezza ma in modo sostenibile, cioè nel vincolo della competitività. Questo arcaico stile di rivendicazione, che finisce spesso per fare il danno degli interessi tutelati, è un grosso ostacolo alle riforme. Ma può venire superato. L’abbiamo visto di recente con le due importanti riforme dovute a Mariastella Gelmini e a Sergio Marchionne. Grazie alla loro determinazione, verrà un po’ ridotto l’handicap dell’Italia nel formare studenti, nel fare ricerca, nel fabbricare automobili.” [Mario Monti 2 gennaio 2011]

Berlusconi siamo noi


09 Nov

Maschere e identità

Quel che dispiace è sapere che non è servito a niente, che da domani ci sarà comunque sempre qualcuno più furbo e più bello, che dopodomani i colpevoli saranno stati gli altri, che tra dieci anni berlusconi non l’avrà votato mai nessuno. Non saranno serviti a niente le contraddizioni tra puttane e vaticani, l’uso criminoso della televisione giustificato dai milioni di italiani che hanno continuato a subirlo in silenzio, il bieco razzismo e l’evidente presa per il culo collettiva. Tra dieci anni tutto sarà parte di folklore nazionale, berlusconi sarà diventato un sorriso e un “io l’avevo detto che”, ogni tipo di prostituzione etica sarà giustificato in cambio di 3000 euro al mese, il suo modello di “classe dirigente” continuerà ad essere l’unico esistente, agli italiani non importerà sapere che le loro “forze dell’ordine” continuano a commettere omicidi di stato ma continueranno ad interessarsi di partecipazione politica solo quando vedranno minacciato il portafoglio. Non saranno serviti a niente questi ennesimi anni di mediocrità culturale, l’evidente caricatura che siamo diventati, di fronte alle nuove generazioni degli altri europei. Il pubblico continuerà a parlare come parlano sui treni oggi, la cosiddetta “critica” non faticherà ad adeguarsi ad un nuovo leader da adulare (presentando fattura), e continueranno ad essere pochi quelli che hanno realmente frequentato Pasolini. Non servirà a niente pensare che è stato solo uno sbaglio: la storia si ripete, e difficilmente agli italiani capita di volerci mettere le mani sopra, per migliorarla.

“Dunque siate radicali: voi lo sapete, tra i vostri conoscenti, tra i vostri amici, tra i vostri parenti, chi ha supportato il Sultano. Non dimenticatevene: quando non comanderanno più, non ci dovrà essere compassione per queste persone, che sono responsabili fino alla loro ultima azione pubblica (compiuta per convenienza, per malafede o per ignoranza – non c’importa). La democrazia sembra funzionar meglio laddove è coadiuvata dalla riprovazione etica verso i suoi pervertitori, no?”

(Il Professor Morte)

Comunicato stampa del comitato per l’indipendenza della Tanaria


15 Set

In occasione del malcapitato Giro della Padania, transitato a Mondovì in data 6 settembre, abbiamo rilevato un certo sentimento di sorpresa e stupore, da parte dell’opinione pubblica, nei confronti della nostra presenza. Si rendono quindi necessarie alcune precisazioni, non sufficientemente chiare, nonostante gli esaustivi titoli dei giornali.

In primis, occorre evidenziare l’errore storiografico che impedisce alla verità della Tanaria di trovare spazio, nel panorama politico nazionale. Un falso geografico storico. Infatti, essendo il fiume Po considerato come tale fin dalla sorgente, al momento della confluenza con il Tanaro millanta di essere più lungo, arrogandosi così il diritto di affibbiare il suo nome al fiume che sfocia nell’Adriatico, e conseguentemente all’intera pianura cosiddetta “padana”. Lo stesso trattamento non è riservato al fiume Tanaro, la cui lunghezza è conteggiata a partire dalla confluenza tra il Tanarello e il Negrone, anziché dalla sorgente. I motivi politici sono evidenti: si dovrebbe ammettere che il Negrone è il vero padre della Nazione.
Il nostro movimento trova la sua ragione d’essere proprio in questo falso clamoroso, con l’obiettivo di affermare la realtà della Tanaria e proporre Ulmea Capitòa, anche in virtù di essere stato fondamentale crocevia del sovrano e militare Ordine dei Cavalieri di Malta, già Ordine di San Giovanni di Gerusalemme.
Principale promotore della protesta è il coniglio Lapo, che precisa ancora di non ragionare in termini di “destra” o “sinistra”, bensì in “anteriore” e “posteriore”, rivelando una certa lungimiranza politica.

Il coniglio Lapo

P.S.: la stampa nazionale ha finalmente rotto la censura nei confronti della causa Tanàra. In quest’articolo si parla di Lapo.

Scrìn seiver


25 Lug

…càpito di fronte a certe interviste nei tiggì serali e concludo che il problema di fondo della televisione sta nel fatto che, alla fine, mostra la realtà.

Dislivelli


03 Lug

Una recensione di Autunno Viola su Dislivelli, a firma di Irene Borgna.

Un documentario viola


22 Mag

Si era parlato di questo documentario nato per gioco sulle montagne conosciute.
Beh, la gestazione è ormai conclusa, il figlioletto è nato e ha una faccia simpatica.

Venerdì 1 giugno, in quel di Viola (Viola? Dov’è Viola?) la presentazione.

(il tecnico del suono del documentario mi dice che volendo ci sarebbero anche i dvd. Che si potrebbe mettere un link che va sulla pagina ebay. Che in questo modo, dice, metti che uno che è in Francia e legge questo articolo vuole il dvd. Come farebbe ad averlo? Metti un link, lui va sulla pagina di ebay, clicca e lo compra. O no. Non è una buona idea? Perchè non mi rispondi? Starai per caso scrivendo quello che sto dicendo?)

Diary of a Baltic Man

Real Eyes. Real Lies. Realize.


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