Archive for the ‘Libri’ Category

Mai dei vostri


04 Dic
beppe fenoglio, ‘La paga del sabato’

Internet mi dice cose strane


15 Apr

Internet mi dice cose strane
tipo che a Castelnuovo di Conza, in una regione che si chiama Irpinia ma che con quel nome non esiste sulle mappe,
un artista e un poeta hanno tracciato un murale in cui c’è traccia di me

C’è è un murale ed è scritto giusto, senza s alla fine.
Por fin una buena noticia, in questo dolor que es el mundo.

Una buona notizia e uno spiraglio di luce e una notizia
sui marmi antichi del mondo, una notizia.
Le fotografie sgranate per mettere insieme i ricordi.
Ogni momento pesa, ogni momento vuelve, ogni momento importa.

Vorrei dire che siamo tutti vicini perché lo penso davvero
vorrei dire “vicini” così come dice Kiki quando dice amigues per dire amigos y amigas,
plurale inclusivo che mette insieme tutte/i (todes) quelle e quelli che hanno qualcosa da dire.

Ogni cosa riposa in questo ineluttabile senso dell’andare.
Ogni vita si spegne.
Ogni vita risplende.
Ogni vita palpita e suda, e non muore e si difende, scalpita e scalcia per rimanere per sempre presente.

Siamo parte di un insieme e non c’è insieme senza le singole parti.

Oggi ho anche scoperto che l’osso sacro si chiama così per una probabile traduzione errata dal greco per cui la parola che significa sacro in greco significa anche grande e perciò l’osso sacro avrebbe dovuto essere l’osso grande. L’ho scoperto perché me lo hanno detto, e ogni vita palpita e suda, e non muore e si difende.

Come Anita Garibaldi nella canzone di Davide Riondino, che cammina dentro un sogno, dentro un mistero

bella come i disegni dell’avventura
bella come morire senza paura
bella come un’idea che diventa vera
Anita Garibaldi la guerrigliera.

Come Anita Garibaldi nella canzone di Davide Riondino, di cui esiste solo una registrazione sommaria:

guardali come sognano addormentati
cullati da una barca lì in mezzo al fiume
guardala come abbraccia la sua sfortuna
avrà  vent’anni appena l’appassionata
Anita Garibaldi innamorata

guardala con le febbri sotto la luna
nelle paludi di quella ritirata
quando moriva sola ed abbandonata
nel buio senza fine della laguna
Anita Garibaldi la sventurata

guardala attraversare le notre strade
l’innamorata giovane l’italiana
la libertà  più bella la più lontana
guarda come sorride dietro la spada
Anita Garibaldi la partigiana

Dedicata a les Anitas Garibaldi todes.

A mi, en cambio, me interesan las rutas


29 Lug

Hemingway: Io penso che l’amore vero, autentico, crei una tregua dalla morte; la vigliaccheria deriva dal non amare o dall’amare male, che è la stessa cosa, e quando un uomo vero e coraggioso guarda la morte dritta in faccia è perché ama con sufficiente passione da fugare la morte dalla sua mente, finché lei non ritorna, come fa con tutti. E allora bisogna di nuovo far bene l’amore. Devi pensarci.

 

Sogno
un corpo di donna
le dita umide
le mani piene e calde.

Sogno una donna senza corpo
un’anima straniera
un’idea che vola leggera
un filo rosso che conduce all’oscurità.

Sogno
una donna che si muove
che telefona dall’aeroporto, che sta andando di là.
Sogno una donna che sta ferma e si lascia accarezzare
un oggetto folle da capire
a volte sogno le donne degli altri
ne vorrei cento così.

Ma sogno
un sogno che non è bisogno
una notte come questa,
in cui una donna non c’è.

 

Come foglie


13 Ago

Una costante che regola il rapporto tra l’Italia-che-fu e il nostro immaginario odierno trova una felice rappresentazione in letteratura. Al di là delle facili retoriche, negli arditi tentativi di reincarnarsi e capire – spesso sulle basi di testimonianze lasciate in eredità dall’uno o dall’altro avo – emerge un desiderio insaziabile di passato prossimo, di scovare quelle tracce del tempo nel tempo che ancora resiste.

Si direbbe che “Come foglie“, l’ultimo romanzo di Alessandro Marenco (Pentàgora Editore), si inserisce appieno in questo filone.
Il libro, che ricostruisce tre cammini biografici “minori” negli anfratti più inaccessibili dell’alta Valle Bormida, è costruito a partire da testimonianze concrete e documenti ritrovati, fatti accaduti o raccontati; insomma è “tratto da una storia vera”.
Si tratta di una vicenda (quasi) tutta al femminile, perché, come scrive l’autore, “le donne hanno un destino, ed è tutto e niente. Non basta fare volume, fare peso. Le donne fanno cose che non pesano”.

Teresa, classe 1889, viene al mondo “nel quieto ripetersi dei giorni e delle stagioni, nella speranza quotidiana di sopravvivere al tempo, di superare un altro giro di macina indenne”, in un contesto destinato a cambiare, e a cambiare per sempre. La sua figura, che rimanda all’immagine di antiche donne rimaste nebbiose nei ricordi d’infanzia, pare ancora visibile dietro le finestre chiuse e sulle soglie vuote delle case abbandonate, in quelle borgate che non sono campagna e non sono montagna e semplicemente non sono più - anche se nel frattempo sono state recuperate da svizzeri, tedeschi o nuovi abitanti, il mondo di Teresa, buono o cattivo che fosse, è scomparso per sempre.

Poi un giorno, mentre era al pascolo, “sola, come fosse una capra”, Teresa ha dato alla luce Anna.

Anna era stata buona fin da subito. Certo aveva pianto e urlato, ma non più di tanto.

E nella storia di Anna c’è tutta la maledizione e la fortuna dell’Uomo (e della Donna) Nuovo, lo stupore passivo di fronte a “un secolo che iniziò con un’esplosione: il lampo della fotografia”. Spinta ai margini della comunità dall’assenza di un padre (svanito in America), Anna insegue i mirtilli (frutti senza padrone) per cercare, in realtà, la fabbrica. Nuova, scintillante, pulita, ordinata, organizzata. La maledizione e la fortuna della Donna Nuova, che può perdersi tra le altre, anche se si porta appresso il frutto della vergogna.

Teresa sapeva bene che a lavorare in fabbrica, le donne diventano mosse, si scaldano, diventano sfrontate, pretendono sempre di più. Ma soprattutto non sono più niente.

Nel mondo ricostruito dall’autore, la fabbrica si sovrappone al fascismo. E’ la Valle Bormida negli anni Venti del secolo Venti, è la Ferrania, con il suo tentativo di avanguardia produttiva e sociale. E in questo laboratorio viene forgiato soprattutto l’Uomo (e la Donna) Nuovo, produttivo e moderno, disciolto in un insieme collettivo in cui oneri e onori sono scritti nel cemento.
L’Italia che diviene fascista, raccontata dalla prospettiva di una città del futuro sorta dal nulla in mezzo ai boschi, assomiglia in maniera disarmante ad Anna, che non comprende ma condivide, che resiste, ubbidisce e viene ricompensata con il suo “alloggio moderno con latrina al piano”.

Al di là dei testi e dei sottotesti, ancora una volta il libro racconta della grande sensibilità del suo autore, che riesce a ricostruire un mondo solo apparentemente vicino (e solo apparentemente lontano) a partire dal linguaggio. Viaggiando tra il detto e non detto, sulla base di un fatalismo antico che tiene insieme, nonostante tutto, le pietre e gli uomini, Alessandro Marenco ci restituisce una fotografia in movimento di quell’Italia al femminile che solo l’omologazione e il nuovo fascismo pasolinianamente inteso riusciranno a cancellare.

En busca de nuevas formas


08 Mar

 

Schermata 2017-03-07 alle 23.00.57

8.3.2010 – 8.3.2017. Colombia.
Secondo gli esperti, le cellule umane si rinnovano ogni sette anni.

 

Agua del cielo. Il diluvio. La città lavata via da una prospettiva liquida.
Scorre il veleno il fango il pus.
Questa carta è fatta di freddo. Quest’inchiostro contiene la pioggia, tutta la pioggia
mentre là dietro, dietro la Cordillera
il triangolo delle montagne cade nel vapore della città bagnata che libera al cielo
la sua illusione di caldo.

Non c’è alternativa al racconto quando el entorno si fa violento e ruba la volontà e la costringe a muoversi sotto la pioggia,
passi indiavolati tra giorni tutti immobili,
per seccarsi in un insieme di parole
che conduce da te.

Torno a casa, trovo i fiori, “feliz cumpleanos”.
Nijole mi guarda, sorride, è una gatta nel buio.
Accendo il computer e ci trovo un’amica.
“Arriva da Bogotà“, mi dice, “arriva da te”.

Apro il link che mi manda, ed è questo pezzo.
Parla di Antanas, leggendo il libro su di lui.
La radio d’Italia ne racconta la storia
Nijole si fa seria, e chiede: “che c’è?”.

Così son le cose, a Bogotà all’otto di marzo.
Nijole è sua madre, e io son qua con lei.
“Questa (apparentemente) semplice chiave di lettura dei decisionali politici rappresenta il perno dell’azione di Antanas Mockus e costituisce l’avanguardia di una politica orientata verso la costruzione di un nuovo paradigma”.
Lo dice la radio, ma a lei tutto questo non importa.

“E com’era il cielo? Il rumore della strada?”
Il cielo era fradicio, e l’aria profonda.
Il fango sull’asfalto giù dalle montagne d’eucalipti.
Ancora una volta l’aguacero ha confermato arcaiche consapevolezze:
non c’è alternativa al racconto,
quando gli eventi si impossessano delle cose.

Qué bonita es Bogotà
de la América es la Atena
la sangre que va en tus venas
es lo que te hace marchar
en busca de nuevas formas.
Tu eres bella, Bogotà.
[dal min. 28.02 del podcast]

Cormac McCarthy


16 Nov

Highway to hell

Ascolta. Credi. Crepa. Fuggi. Lo sferragliare del treno. Breaking news on time sugli schermi lì fuori nelle stazioni. “Election day: in vantaggio Trump”. La mattina livida del mare di novembre. Giù la testa nella storia. “E che storia”,  dice l’uomo – il protagonista – al figlioletto. Che profumo ha la cenere bagnata? Il solito McCarthy, ma questa volta ha qualcosa di diverso. Il solito McCarthy,  meraviglia maledetta. Le pagine scorrono senza un motivo. Le parole e le azioni, che ancora una volta si sublimano in immagini. “Come un orfanello fermo di fronte alla stazione, in attesa di un autobus che non arriverà mai”. Ecco dunque come si immagina tutto, McCarthy. Un libro scritto in chiave futura, ma le tinte fosche sono quelle di un tempo che è una condanna. Fuori dal finestrino altri maxischermi. “Trump sarà il 45° presidente degli u.s.a.”. Le pagine si avviano verso la fine. Come può finire un libro del genere? Come è potuto iniziare tutto?
“E’ proprio così, figlioletto. Noi portiamo il fuoco”.

Al destino


21 Giu

Schermata 2012-10-20 a 02.34.08

Si muoveva sui treni fra voci e città
tra lembi di grigio e località
rispecchiandosi nelle pagine dei libri leggeva che la paura degli altri
“la paura degli altri è paura di se stessi”.

“Asfaltano le strade per lavar via il sangue degli investiti”, diceva C. sul sedile lì accanto, e la città si presentava a frammenti e si presentava a momenti e tutto diventava parte di un unico archivio.

Era un ticchettio di tasti e di dita sulla plastica
era qualcuno che aveva qualcosa da dire,
e lui si fermava ad ascoltare.

Là intorno si spiegava un’epoca e si spiegavano tutte le epoche
come un ventaglio al vento, e si innalzava,
e volava.

Le pietre nei muri raccontavano storie che non raccontavano,
le conservavano nascoste,
sommerse per sempre nella storia delle storie.

Si spostavano i continenti, si spostavano le lingue, ci si allontanava dalla terra, ci si avvicinava sempre più.

Le parole non bastavano e le parole non servivano e qualcuno le metteva lì in ordine e qualcun altro le abbatteva, e il risultato finale è che c’erano parole  che prima non esistevano, adesso erano lì e tutte insieme e formavano un muro. Qualcuno ci si riparava contro, altri semplicemente lo ignoravano. I ragazzini costruivano scale per saltare di là.

“Non serve nient’altro che una birra fresca”, disse C.
“Una birra fresca, dopodiché sarò pronto per partire”.

16 giugno 1904


27 Dic

Post-Maasai War

Padre, ho viaggiato a lungo
attraverso deserti e città.
E’ stato un lungo viaggio, padre,
attraverso valli e montagne,
così lungo che ho dimenticato le mie tribù,
i miei cugini, perfino l’umanità.
Osama bin Laden [1996]

Cosa voleva dire con questa citazione, professore, che anche il diavolo può essere poeta?
Che anche il poeta può essere diavolo?

Lo stesso pianto di un neonato rompe il silenzio di mille luoghi del mondo;
le stesse voci e le stesse preghiere accompagnano ovunque il percorso del sole.

Il viaggio prosegue con l’Ulisse di Joyce
che nel disordine compresso di uno zaino
attraversa la soglia di una manyata maasai.

Il postmodernismo d’altra parte è già morto da tempo
e il protagonista della sua storia confusa, viaggiando, si costruisce la sua identità,
“arricchendosi delle diversità con cui entra in contatto,
senza risultarne distrutto o assorbito“.

Tuttavia, all’arrivo nella cittadina di Namelok, da qualche parte sull’altipiano,
una folla silenziosa si ammassa nei pressi di un cantiere.
Il corpo di un bambino è disteso di fianco a una pozza d’acqua sporca,
è coperto da un lenzuolo bianco.

Qualcuno dovrà dire a quella madre rimasta laggiù al mercato a vendere i suoi pomodori
che da qualche parte nel mondo, lassù sull’altipiano,
il mondo continua ad essere una questione terribilmente reale,
e il diavolo continua ad essere poeta,
e il poeta non ha mai smesso di essere diavolo.

Parallax


23 Nov

La madonna della Meris

Seduto su un masso. Il gregge mi ha lasciato indietro.
Cinquecentonovantadue cilindri bianchi adesso sono laggiù in fondo, a trecento o forse quattrocento metri di distanza, un unico organismo liquido che scorre nell’erba, tra le pietre, sulle vecchie strade militari.
La nebbia sale dalla Meris, la montagna si fa fredda appena il sole sbiadisce.
La vita si allontana progressivamente, gli insetti spariscono e cala il silenzio, tutto si riduce a un’eco di latrati di cani, di campanacci e di belati osceni.
Il cielo non ha nient’altro da dire. Solo il rombo di un aereo.
Dal crinale di cresta, nella luce delle cinque e mezza del pomeriggio, scendono otto camosci, come angeli oscuri inviati per controllare che non sia rimasto più nessuno, che tutto sia effettivamente diretto verso il regno della notte e dell’inverno.

[Tratto da qui che è tratto da qui].

La banana


03 Mar

 

Lì sulla porta erano appesi dei frutti a me sconosciuti, simili per aspetto a cetrioli di media grandezza. La buccia, come nelle fave, in alcuni era verde, in altri gialla. “Che cos’è”, domandai. “Banane”, mi risposero. “Banane! Il frutto tropicale! Datemele!”. Mi diedero tutto il mazzo. Ne staccai una e la sbucciai: la buccia viene via quasi appena la si tocca; l’assaggiai e non mi piacque: non sa di niente, in parte è dolce, ma d’un dolce fiacco e smaccato, un gusto farinoso, simile un po’ alla patata e al melone, però non così dolce come il melone e senza aroma e con un profumo suo proprio, un po’ grossolano. E’ più un legume che un frutto, e tra la frutta è un parvenue.

I. A. Goncarov, Fregat “Pallada”

 

Diary of a Baltic Man

Real Eyes. Real Lies. Realize.


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