Archive for the ‘Linguaggio [potere]’ Category

Controcorrente


06 Giu

Ma se c’è una destra che celebra il fascismo
che inneggia alla Decima Mas come altri inneggiano al mito di altre rivoluzioni sbagliate,
vissute sempre sulla pelle degli altri,
mai incarnarte

se c’è una destra di eroi da francobollo dal lato opposto della storia
una destra antiabortista che però taglia i posti negli asili nido nei paesi
se c’è una razza di italiani tutta nuova,
che non ha conosciuto le montagne
che non ha fatto i Partigiani

se c’è una destra tutta di slogan e vuoto,
come di slogan e vuoti è stata la sinistra
e una fiamma tricolore che è in parlamento dal 1947,
è perché evidentemente quella fiamma non si è mai spenta

e piace agli italiani
creduloni affabulati, sempre alla mercé di eroi romantici
puttanieri e benpensanti,
sempre lì a baciar la mano di dio, del padrone, di tutti i santi

se c’è una destra sovranista che non conosce più la terra di cui è sovrana
una destra antifascista, che va a prendere gli altri a mazzate
perché non arrendersi all’evidenza, e lasciar che scorrano i fatti?

Avremo discorsi capovolti, come capovolta è sempre la realtà.
Italiani delatori del vicino di casa, come forse è successo già.
La memoria cancellata dalla storia, offuscata da tutti gli -ismi e dalle simbologie

e un’Italia che cola a picco trascinata via dalla corrente
mentre fuori piove e tutto frana
e chiamano i soccorsi ma nessuno risponde
impegnati nei dibattiti e nelle ideologie.

Buonanno


31 Dic

Le parole sono chiodi a cui appendere idee
giocare sentiero rivolta femmina destino
luce attesa etica epica cammino
chiodi nel muro a sorreggere un’ipotesi
buchi nel legno, tracce di dio.

E il fine giustifica i mezzi ma rimane pur sempre un fine
la morte del percorso, l’antitesi del desiderio.
Rimane materia morta a ricordare l’agguato
rimane l’amaro in bocca, nello scoprirsi già lì.

La -n finale è l’esito di un’antica -t-


16 Dic

Nevica.
Nevica là fuori.
È notte ed è bianco ed è pieno di neve.
La strada che porta a casa,
la strada che porta alla mia casa,
non la riconosco più.

Ho viaggiato per il giorno e per la pioggia
ho viaggiato nelle terre del mare, dall’altra parte della montagna.
Ho inseguito le tracce di tutto quel che son stato
Ho inseguito le tracce di te.

C’è un pezzo di vita appeso intorno alla casa di un gigante
e una bidella in una scuola media, che mi offre il caffè.
C’è l’altra parte di me che cammina in un libro
e le verità più profonde che non scriverà mai.

Oggi ho insegnato ai ragazzini di una scuola media il succo del mio segreto
ho detto loro che per parlare davvero occorre prima perdere la voce,
rimanere muti di fronte al rumore degli altri.
Hanno riso sono rimasti sospesi sono diventati improvvisamente seri.
Hanno scritto su un foglio quel che si sente in un minuto
e poi sono stati loro a insegnarmi come si accende un fuoco:
con i detriti del tempo,
le macerie del Noi.

Nel frattempo ho un fratello in viaggio su un furgone,
da 14 ore,
sotto la neve.
Dorme nella piazzola di un autogrill con la febbre a 38, ma nemmeno questo interessa a nessuno.
La storia degli altri importa finché è parte del sé.

Nicola intanto risolve ogni dubbio e conferma che nella lingua violese c’è un fenomeno strano:
alle -i finali del piemontese, dopo una E aperta, corrisponde sempre una -n.
Ecco perché burài, “fungo”, diventa buràen.
Ecco perché quài, “quelli”, diventa quàen.

È la -T- che diventa -n- ed è una roba senza riscontri,
non accade così da nessun’altra parte.

Da nessuna parte, tranne nel dialetto mentonasco di Sainte Agnais.
Chissà  se c’è la neve.
Chissà se c’è una strada,
laggiù.

Acquiescenza


18 Nov

acquiescènza s. f. [der. di acquiescente]. a. Consenso tacito o non pienamente espresso; condiscendenza inerte, remissività: a. a una decisione, a. a una imposizione; a. rispettosa e pavida dei suoi sottoposti alimentava in lui la vanitàabusi commessi grazie alla a. delle autorità localib. Atteggiamento passivo, carattere remissivo: la sua naturale aera stata interpretata come ipocrisiac. Nel linguaggio giur., accettazione espressa o tacita, totale o parziale, della sentenza del giudice, in processi civili.

Questa parola formidabile comunica un concetto con una sfumatura di un’esattezza prodigiosa. Quando si dice che la nostra è una lingua raffinata parliamo anche di casi come questo.

Per apprezzare questa raffinatezza va notato che l’acquiescente (è difficile anche scriverlo) ha una galassia di sinonimi: remissivo, accondiscendente, arrendevole, conciliante, accomodante, docile, sottomesso, e via e via. Ma il remissivo si rimette al volere altrui, l’accondiscendente vi aderisce, l’arrendevole alza le mani e cede, il conciliante e l’accomodante ne convengono, il docile e il sottomesso vi ubbidiscono. L’acquiescente ci parla invece di quiete.

Ce ne parla in una maniera precisa: il verbo latino quiescere è un incoativo, cioè descrive l’iniziare di un’azione – in questo caso l’acquietarsi, il calmarsi. Così l’acquiescente si presenta come la qualità  di chi si sta volgendo alla quiete, e in particolare di chi, entrato in contatto con una volontà esterna, ne è tranquillamente persuaso, serenamente convinto, senza l’increspatura di un’obiezione, senza un pensiero ruvido o dissonante.

Un factotum acquiescente ai capricci dell’artista serve a costruire il personaggio; ci mostriamo cortesemente acquiescenti a una decisione, intendendo scambiare il nostro favore presente per un altro futuro; l’erede si dichiara acquiescente a volontà  testamentarie bizzarre; per la piacevolezza della compagnia siamo così poco interessati al menu che ogni vivanda proposta ci trova acquiescenti; e dopo tanto crucciato pensare optiamo acquiescenti per l’articolo che ci ha consigliato il commesso suadente.

Nel bene o nel male, l’acquiescente è uno specchio d’acqua che si calma come se un immissario ne smorzasse l’agitazione. Non è certo un’immagine grossolana. E si vede in maniera lampante quale sia la differenza con ogni altro suo sinonimo.

Tratto da: https://unaparolaalgiorno.it/significato/acquiescente

Il caffè


12 Apr

Piero

Il sogno finisce quando lui si ritrova in una moschea.
È tutto bianco intorno,
È tutto caldo,
È tutto ovattato e tutto è lontano.

C’è un pezzo di plastica collegato ad un filo. Una freccia verso l’alto e una freccia verso il basso. Un puntino nero in mezzo.
Premendo il polpastrello su una di quelle frecce, si muove la tenda che nasconde il cielo e sparisce la moschea.

Adesso tutto ha a che fare con la guerra e con le cose del mondo.
I ragazzini nelle case, fino a quel momento pacifici e disinteressati, hanno imbracciato i loro fucili virtuali e si confrontano in un videogioco con la distruzione del nemico. Ecco il ritorno del maschio virile, ecco la fine dell’epoca fluida, ecco dunque realizzato quel che voleva il presidente dell’urss.
Ma anche le ragazze non scherzano: ragazze di vent’anni con le trecce e con i maglioni colorati, eccitate dalla retorica della guerra, realizzano fiori di carta per sostenere da lontano i movimenti di truppe là  al fronte.

Anche il gatto si chiama “Guerra”.
Si chiama “Guerra” o si chiama “Guerro”, perché è nato il 24 febbraio e non è ancora chiaro se si tratti di maschio o di femmina.
In ogni caso Guerra – o Guerro – guarda tutti con quella faccia che hanno i gatti quando non si capisce se stanno con i russi o con i cinesi.

La vita, insomma, procede come sempre
tra vecchi estremismi e il desiderio di prendere parte a qualcosa di più grande, un sogno collettivo.
Nell’illusione del giusto e nella certezza di poter individuare, con scientifica chiarezza, il profilo di un “nemico”.

Quando tutto è finito,
alla fine del grande sogno,
ho acceso la videovisione e ho visto un’esperta governativa parlare del suo programma contro le droghe.
Mentre esponeva il suo piano, con asfissiante supponenza,
sorseggiava beata la sua tazza bianca e rossa,
senza sapere che lì  dentro conteneva il narcotico più potente del mondo,

il caffè.

Avete Ragione Voi


29 Ott

Avete ragione voi.
Vi aspetto.

Dall’altra parte della barricata.
Vi accolgo.
Dalla stessa parte della barricata.
Vi voglio.

Voglio il sapore amaro della vittoria.
Il sapore dolce della rivalsa
Il sapore inutile di un giorno vero
il sapore folle di un anno intero
el sabor amargo del parrandero.

Avete ragione voi.
Vi invidio.

Voi nel lato giusto della risposta
voi nella battaglia eretica del securista
voi nel gorgo cieco dell’iconoclasta.

Domani sarà  un altro giorno e inizierà alle sette del mattino e sarà fatto di niente.
Arriverà il trattore per quel lavoro arcaico, e andrà fatto e lo faremo.
Decine di quintali di materia sulle nostre spalle, la polvere e la materia della nostra essenza.

Nel frattempo voi,
dall’altra parte della barricata,
in un sapore languido.

Avete ragione anche voi.
Vi accolgo.

Il nuovo modello


24 Set

Spirit Crusher

Sono passato da Anselma, 90 anni compiuti, per cercare di capire cos’aveva il televisore.
Ho chiamato il call center e mi hanno detto che è proprio così.
Bisogna buttare via tutto perchè è cambiato il sistema.
È cambiato il sistema di trasmissione televisiva, bisogna buttare via i vecchi apparecchi e adeguarsi.
Butteranno via anche i motori a diesel, li butteranno via perchè inquinano. Butteranno via automobili vecchie di 5 anni, butteranno via le persone, butteranno via anche noi.
Anche le persone dovranno adeguarsi: il nuovo modello dovrà avere un codice a barre. Tecnicamente si chiama “green pass”. Sono stato recentemente a valle, sono stato in città, e ho già visto alcuni luoghi in cui viene richiesto. Alcuni tra i nuovi modelli dotati di codice QR erano gli stessi che cinque anni fa dicevano ‘beh queste cose accadono solo in Asia; mica abitiamo in Asia noi’. Ora lo usano.
Nel frattempo mi chiederanno di lavorare a un progetto sul bullismo nelle scuole. A quel punto potrei portare l’esempio di una ragazzina di 15 anni, che non è dotata di codice a barre in una scuola aperta, accogliente e inclusiva. Potrei immaginare i suoi compagni di classe, i suoi professori, riversarle addosso tutto l’odio possibile.
Non servirebbe a molto.
Non servirebbe a niente.
Le maggioranze rimarrebbero le maggioranze, e si guarderebbero nello specchio come hanno sempre fatto, e sarebbero contente di quel che vedono,
come hanno sempre fatto.
Domani scenderemo a valle e andremo a comprare il decoder.
Bisogna buttare via tutto perché è cambiato il sistema.

La diversità della gente da conoscere


09 Ott

What remains unseen

Guido veloce nell’autostrada notturna.
Poche ore più tardi, due cinghiali attraversano quella stessa autostrada, e tre ragazzi muoiono nello schianto.

Il giorno successivo mia nonna, che conserva memoria selettiva di ciò che per lei è importante, ascolta la notizia al telegiornale, e torna con un foglio di carta. È una pagina de La Stampa di domenica 28 novembre 2004: riporta l’articolo di quelle due ragazze morte per un cinghiale contro un’auto, proprio lì dove passavamo sempre, lì dove passavamo anche noi.
Il nome di una di quelle due ragazze è sul mio portachiavi d’argento, che porta appresso i graffi del tempo ma non si ossida.

Nel silenzio del mattino guardo quel foglio che inizia a ingiallirsi, esplorando quella cronaca di provincia che riporta nomi ed età. Ricordo la voce di Barbara, una delle due ragazze, e ricordo la faccia assonnata di Nicoletta, che il giorno prima del disastro era lì a vendere focacce, come tutti i giorni, nell’intervallo della scuola superiore.

Sollevo il foglio del giornale, osservando il segno del tempo sulla memoria e sulle cose.
Nel retro del foglio c’è una notizia importante, sballottata in secondo piano dalla tragedia notturna.
“Apre oggi il primo centro commerciale in Provincia di Cuneo”. Un inizio importante, a cui ne seguiranno anche altri.Lì accanto, sulla destra, c’è un editoriale, a firma di Gianni Vercellotti, Presidente A.T.L.
Lo leggo con superficialità, poi qualcosa mi colpisce, poi ritorno a rileggerlo.

Lo trascrivo su questo spazio, perché non rimanga soltanto materia morta sulla spiaggia degli archivi.

Ho sempre considerato sciagurata la scelta della grande distribuzione.
Sotto il profilo economico la filosofia del carrello, con una sola scelta superflua, il modico vantaggio sul prodotto necessario.
Ma c’è di più: rinunciamo alla nostra filosofia, al nostro stile di vita, ad una opportunità per riaffermarci diversi, e – quindi – gente da conoscere. Ci siamo adeguati ad una legislazione miserabile anziché crearci la fama di essere i soli ad opporsi: e l’avremmo spuntata proprio in nome della libertà di scegliere.
Avremmo conservato un patrimonio di negozi di altissimo livello, necessitati ad essere ancora di maggiore livello per voglia di concorrenza, ma in una battaglia ad armi pari, non in un gioco al massacro.
Avremmo potuto essere quei vecchi, soliti testoni (ma tanto ammirevoli) che preferiscono conservare quello che c’è di buono nella tradizione per dimostrare di essere, in fondo, più umani e quindi più moderni.
Cominceremo ad accorgerci che la scelta di vita di Pittsburgh o Dallas (città senza storia e senza centro) costruisce periferie anonime e toglie anima alla comunità; potevamo diventare un simbolo, una bandiera, un esempio e abbiamo perso un’occasione, e forse, anche l’anima.

Arde


14 Giu

Arde.
Arde di materia e carne viva.
Un uomo con la camicia rosa e suo figlio con lo sguardo allucinato, persi nel Cimitero delle Balene Cadute, percuotendo grossi alberi cavi, come fossero  – perché sono – materia viva.

Cercano il suono e inseguono il sogno.
Una chiara visione confusa, un’idea di armonia. Un sogno che è bisogno di suono, percuotere gli alberi per ricavarne del suono, trasformare quel che esiste per creare un qualcosa di nuovo. Procedono disordinati tra le foglie secche e le ortiche, nella luce già calda del mattino alle sette, la luce già calda di un mattino di giugno, lui con la camicia rosa e suo figlio con una videocamera grossa come un altro bastone, una videocamera che si può tenere in una mano sola e non è il caso di guardare quel che riprende, e così con il baricentro si può esplorare il terreno, e così con l’altra mano si può suonare un castagno che sembra un dinosauro dormiente.

 

Il figlio ha trentaquattro anni e il padre oltrepassa i sessanta,
nel mezzo del cammin di nostra vita si ritrovaron in una selva oscura,
e la retta via non era mai esistita.

 

 

Ricordi quando ti dicevano, alle scuole elementari, con sguardo severo

“bambini, bambine, ognuno a sedersi al proprio posto?”

Non avevano capito un cazzo,
o forse avevano capito tutto, e continuavano a perpetrare il messaggio sbagliato.

E come la mettiamo se il mio posto in fondo è un altro, se i miei posti son tutti?
Oggi voglio sedermi sul bordo. Oggi voglio sedermi sul banco. Oggi voglio sedermi sotto il tavolo, e guardarvi dalla prospettiva dei piedi, e immaginare che ogni scarpa sinistra si inventi un suo linguaggio per parlare con la scarpa destra e con quella soltanto, un linguaggio fatto di parole inventate, sciaqquicciate, ingialluntite, parole che costruiscano concetti che nelle lingue esistenti in effetti non esistono, come per esempio

 

“camminare arrampicandosi su un terreno scosceso in salita”
oppure
“la sensazione che si prova dopo sette ore davanti a uno schermo, quando la mente avrebbe voglia di continuare a rimanere in quel trip ma il corpo ha bisogno di altro, ha bisogno di movimento, perché è fatto di muscoli e carne e la carne e i muscoli sono indolenziti”.

Oppure il bisogno di amore,
quel bisogno di amore che avviene per un momento soltanto ma che ti lascia dentro come una fitta
quelle cellule che si spostano e rimbombano e muovono
il tocco del bastone sulla risonanza del legno
un uomo con una camicia rosa e suo figlio percuotendo castagni,
sotto la luce del mattino, la prima luce del mattino,
un padre e un figlio in un cimitero che è anche un giardino.

 

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Le cose non sembrano come sono


06 Giu

Itself is Nature

Le cose non sembrano come sono,
dice l’autista alla finestra
dice la chiapula che sfrigola
nel frastuono sordo del rio d’Armella laggiù.

Le cose non sembrano come sono,
caro artista alla finestra
le cose son fatte di sangue, di pane, di silenzi d’intesa e di ciapastre
le cose son fatte di cose
son fatte di cose che accadono e spostano
le cose son fatte di cose,
non son quel che sembrano.

E tu di là, del otro lado del charco, tu altro me, che hai detto ‘mai’ e hai detto ‘sempre’
le cose non sembrano come sono
le cose sono,
le cose non sembrano.

Y yo de este lado del charco,
en un dilema que no es culpa
las cosas no son como parecen.
Las cosas no son.
Parecen.

Yo nossé, querido Dios De La Culpa.
Ho amato, vissuto, vivido, vivo.
Ho amato, vivido, giocato alle carte, vinto.
Ho detto ‘mai’, ho detto ‘sempre’, ho rigiocato alle carte, ho perso.
Eravamo nel vento come coriandoli?
Eravamo nel vento.

Le cose non sembrano come sono.
Le cose non sembrano.
Sono.

Diary of a Baltic Man

Real Eyes. Real Lies. Realize.


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