Archive for the ‘Mount’ Category

Controcorrente


06 Giu

Ma se c’è una destra che celebra il fascismo
che inneggia alla Decima Mas come altri inneggiano al mito di altre rivoluzioni sbagliate,
vissute sempre sulla pelle degli altri,
mai incarnarte

se c’è una destra di eroi da francobollo dal lato opposto della storia
una destra antiabortista che però taglia i posti negli asili nido nei paesi
se c’è una razza di italiani tutta nuova,
che non ha conosciuto le montagne
che non ha fatto i Partigiani

se c’è una destra tutta di slogan e vuoto,
come di slogan e vuoti è stata la sinistra
e una fiamma tricolore che è in parlamento dal 1947,
è perché evidentemente quella fiamma non si è mai spenta

e piace agli italiani
creduloni affabulati, sempre alla mercé di eroi romantici
puttanieri e benpensanti,
sempre lì a baciar la mano di dio, del padrone, di tutti i santi

se c’è una destra sovranista che non conosce più la terra di cui è sovrana
una destra antifascista, che va a prendere gli altri a mazzate
perché non arrendersi all’evidenza, e lasciar che scorrano i fatti?

Avremo discorsi capovolti, come capovolta è sempre la realtà.
Italiani delatori del vicino di casa, come forse è successo già.
La memoria cancellata dalla storia, offuscata da tutti gli -ismi e dalle simbologie

e un’Italia che cola a picco trascinata via dalla corrente
mentre fuori piove e tutto frana
e chiamano i soccorsi ma nessuno risponde
impegnati nei dibattiti e nelle ideologie.

Brigata Anaís


08 Mar

Hanno cambiato le luci elettriche. Hanno una luce più gialla adesso, una luce più calda. Ho visto il furgoncino, era messo là dove di solito si parcheggiano i gatti, là  nella conca in cui scalda più il sole e da lì si controlla tutto. Così hanno cambiato le luci e nel frattempo torna quell’odore di primavera, terra bagnata e calda, odore di primule.

Oggi ho perso il cappello e cercato una capra. Ho cercato una capra con le ragazze e i ragazzi di una banda partigiana, gente sveglia con cui ci si intende al primo minuto. Ho cercato la capra sui luoghi della Resistenza. L’ho cercata mentre l’Italia cambia forma, mentre l’Italia tutto intorno non esiste.

Teresa dice che dovrei viaggiare, dice che dovrei tornare a viaggiare.
Ma viaggiando, dico io, ho perso il cappello nero e non ho trovato una capra.
Però viaggiando ho trovato le tracce di un branco di lupi, e ho visto un ubriaco gettarsi in un pozzo.
Ho conosciuto le Settimine, bambine nate al settimo mese. È rimasto loro un dono speciale addosso.

Una di loro, Emma, è rimasta lassù dietro la Cuštera degli Argentini.
Riceve per venti euro o una forma di pane, ma il pane dev’essere buono, una forma intera.
È capace di leggere quel che non va e di esaminare la morte. È in grado di dire dove sono rimasti nascosti i segreti di chi è rimasto incastrato nel mondo delle tenebre. È in grado di dire dove sono rimasti nascosti i soldi nel muro.

Nelle cascine lì accanto può capitare di trovare un madama che organizza una bisca.
Giocano di giorno, giocano tutto a carte, perché i soldi di notte non esistono.
Gliene sono piombati tanti addosso, tutti insieme dai sogni degli altri, ma loro di tutti quei soldi non hanno bisogno perché è gente che coltiva la campagna e prende da lì tutto quel che serve, e allora il resto dei soldi se lo giocano.

È tutto sospeso ed è tutto selvaggio ed è tutto aggrovigliato ed è tutto in rovina.
Ma allo stesso tempo è tutto incarnato ed è tutto sublime ed è tutto inutile ed è tutto facile.
Hanno cambiato le luci elettriche ma la sostanza non cambia.
Per un’ora o per sempre, tutto questo è esistito davvero.

Do everything feel nothing


04 Gen

I segni più antichi lasciati dall’uomo in the Tanaro Valley
sono queste incisioni su roccia in viaggio lungo i millenni,
a bordo di una delle tante strade che salgono verso il Bric del Monte.

Un richiamo alla Dea Madre
Un’invocazione di fertilità
Un alfabeto per segni.

Nel nulla del nulla dell’antico pantheon.

runaway


15 Dic
Il sacro segna la luce.
La luce segna il sacro.
Il sacro segna il cammino.

Chi ‘u muèra d’avrí­ ‘u muera d’invàrni


10 Apr

Chi ‘u muèra d’avrí­ ‘u muera d’invàrni,
dice la vecchia alla finestra,
chi muore d’aprile muore d’inverno,
la valle è verde ma sa ancora di neve,
sa di neve al crepuscolo,
quando le cose si raccolgono e solo l’essenza rimane.

Sembra vento del Nord là fuori dalla porta
sembra di essere nel faro sul golfo,
lassù sullo scoglio e sul giardino,
a contemplare l’evento mentre l’evento accade.

E invece è vento della sera,
brezza d’oriente e invito al cammino.
No Mad Lands c’è scritto sul cartello, ed è un cartello che non esiste.

Chi ‘u muèra d’avrí­ ‘u muera d’invàrni,
la stessa voce che mi annunciava la nascita di tuo padre.
Seasons are rolling down, ogni primavera il sorgere di un fiore.
Laggiù nella piana, quando arriva il freddo, li innaffiano nel pomeriggio,
questi fiori troppo delicati per resistere all’inverno.

Laggiù nella piana ogni cosa è diversa, dicevano i vecchi che avevano provato, cosa vuol dire laggiù.
Laggiù nella piana ogni cosa è diversa.
Benvenuto e bentornato,
y buena onda pa  ‘l camino se deciderai di partire.
Buena onda pa’ ‘l camino, compadre,
figlio di fratello e della vita,
di questo andare in aprile, che non è aprile ma è andare,
andare lontano sempre,
No Mad Lands.

Campane Tibetane


19 Mar

Una casa enorme.
Già vecchia quando è stata costruita, negli anni novanta.
Il padre di famiglia si muove lentamente nell’ampio cortile.
Là sotto non c’è più traccia di ogni elemento naturale: tutto è stato imbrigliato, ricoperto, asfaltato.
Il padre di famiglia chiude la portiera del grande camion, nel sole freddo dei giorni più freddi dell’anno.

Nel giorno più corto dell’anno in questo luogo il sole scende dietro il monte alle tre e ventisette.
Dev’essere così anche oggi, giorno di Santa Lucia, patrona dei camionisti che hanno imbrigliato il cortile e controllano la vita.

Il padre di famiglia è soddisfatto: suo figlio prosegue le sue orme, ha in mano le redini dell’azienda.
Il camionista può vedere la lunga linea tracciata tra i territori del passato e quelli del futuro, e in mezzo a tutto ci sono due camion giganti, uno rosso e uno blu, che simboleggiano un tempo presente solido e lucente.

Saliamo in casa insieme, a bere un cordiale, dice il padre al figlio e a me.
Saliamo in casa insieme, è quasi natale.

Lassù, nella casa quadrata e immobile,
tutto è stato imbrigliato, ricoperto, asfaltato.
Ma sulla pietra del camino è appoggiato un recipiente metallico e cilindrico: una campana tibetana.

Una campana tibetana, la conosci? L’ho comprata al mercato dei popoli di Genova.
Funziona così, guarda, ti faccio ascoltare.
E il figlio del camionista prende la campana e la suona, e poi depone il mazzuolo e si pone all’ascolto, e tutta la famiglia si pone all’ascolto, mi pongo all’ascolto anch’io.

Un suono sottile e continuo, che ondeggia nella luce ormai elettrica del giorno più corto dell’anno.
Rimane lì e non si muove. ‘Eppur si muove!’, gridò Galilei.
Il suono si muove ma non perde d’intensità, come una stella cometa impazzita, recalcitrante all’arrendersi.
Rimane la scia nel cielo, entra il suono fin dentro le cellule.

Il suono dura cinque minuti almeno, e cinque minuti sono tanti, in una famiglia di camionisti nel lato buio del mondo.
È stato bello rivederti, dice il padre camionista, abbagliato dalla scia della strada.
È stato bello rivedervi, gli rispondo io sulla soglia, ricordando paesaggi d’infanzia.
È stato bello ascoltarti,
suono infinito del cosmo,
graffio denso sul foglio, Campana Tibetana.

Segui la bestia, stana la bestia


08 Dic

Tra Purple Castle e Garessio non c’è niente.
Spazio bianco sulla mappa.
Le porzioni di mondo fuori dalle direttrici dall’asfalto sono ingombri da evitare, sono fastidi da circumnavigare, sono la distanza che separa dall’arrivare.

Tra Purple Castle e Garessio c’è una valle.
Passando da sotto, dalla Statale, sono due cartelli blu.
Uno dice “Piangranone” e l’altro “Deversi”, e quasi nessuno ormai ricorda che quei Deversi erano stranieri forestieri esseri umani diversi, importati da chissà dove nell’alto Piemonte per le operazioni di ingegneria etnica di casa savoia.
Tra Purple Castle e Garessio ci sono i Diversi, ma quei diversi sono ormai uguali a tutti gli altri, a tutti quelli che non ci sono più.

Tra Purple Castle e Garessio c’è il monte.
C’è il monte ed è pieno di neve.
È pieno di neve, e sotto la neve c’è Piangranone e ci sono i Deversi.
Ci sono i Deversi e ancora più in là, nell’uvi della valle, nella parte umida a ridosso del ruscello, ci sono i Cunni.
Un gruppo di case di cui non esiste memoria.
Per arrivare ai Cunni non ci sono strade ma solo antichi sentieri.
Per andare via dai Cunni, sotto la neve, non bastano nemmeno gli antichi sentieri.
Occorre attraversare il ruscello, risalire la valle, cercare una traccia nell’abbandono totale.

[fotosi]

Tra Purple Castle e Garessio, nella zona dei Cunni, non ci sono più tracce.
Ma là sotto, nel bianco, una linea concreta.
Una strada che avanza, linea dritta nella neve, una traccia che è un solco che è indicazione di cammino che segna la strada.

Tra Purple Castle e Garessio, nella zona dei Cunni, è pieno di lupi.
E i lupi, si sa, razionalizzano ogni movimento.
Non stanno mai fermi e non sprecano un passo.
I lupi, come gli uomini, cercano la strada più diretta ma meno faticosa (o pericolosa) per cambiare crinale.
I lupi, come gli uomini antichi, non cercano la linea verticale ma inseguono direttrici verticali, eventualmente oblique, per andare e arrivare.
Al contrario dei cani, i lupi, come gli uomini, non camminano a zig-zag. Non si perdono, nel loro cercare.
Così, dove non ci sono più uomini, dove non ci sono più strade, basta seguire la traccia del lupo per superare la montagna.

Tra Purple Castle e Garessio,
nella zona dei Cunni,
è terra di lupi.
Camminano in direttrice obliqua, senza fare rumore, perché la loro unica speranza, per sopravvivere, sta nel sorprendere una preda molto più veloce di loro.
Quando il monte è gonfio di neve, partendo da Purple Castle per arrivare a Garessio, basta seguire le loro tracce nella neve, per sperare di arrivare.

Foto di Simone Rossi

Blockbau


22 Lug

Erano soldati abruzzesi. Mandavano gli abruzzesi perché sapeva che la gente di qui non avrebbe mai sparato al di là della montagna. Quelli di là dalla frontiera erano loro parenti.

Gli abruzzesi sparavano contro i francesi, ma dopo la disfatta italiana sul Moncenisio non trovavano più senso in quello sparare. Passarono un paio di inverni così, a portar su provviste e fumare, dieci chilometri con la teleferica perché con le valanghe era meglio non scherzare.

Poi arrivarono i tedeschi. Sparavano alle spalle agli abruzzesi, per obbligarli a sparare di là. Ma loro passarono la frontiera, e a quel punto i francesi dissero ah no, fino all’altro ieri ci sparavate addosso, adesso se volete restare sparate contro i tedeschi di là, sparate addosso a loro, perché altrimenti noi ammazzeremo voi.

Gli abruzzesi spararono ai tedeschi ma non sapevano che nel frattempo i tedeschi erano stati scacciati dai partigiani. E i partigiani sparavano ai francesi ormai caduti sotto Vichy, senza sapere che in realtà stavano sparando a degli abruzzesi. Se ne reso conto quando estrassero, congelato sotto la neve, un cadavere con un cappello da alpino, e allora dissero ‘fermatevi tutti, ci stiamo ammazzando tra noi’.

 

Oggi a San Bernolfo c’è un bel rifugio.
Offrono sorbetto al lampone, servito bello fresco, fatto da noi.

Post-punk Dilemma


27 Mag


 

Butta la buta
Buttalabuta
Getta via la bottiglia,
Smetti di bere.

Stop Drinking.

Butta la buta
La buta non è il cammino, compagno di strada
Buttalabuta che non serve più a niente
Butta la buta,
il vento ci sente.

“Non butto la buta perché là dentro c’è il mare”,
dice el viajero mentre è seduto e guarda il sole
Non buttolabuta, non è cosa da buttare
Non butto la buta perché dopodomani tornerà la carestia
la notte si farà lunga, e allora la buta potrà servire.

Buttalabuttala buta la buta.
Rotolano le pietre sulla Valle dell’Inferno.
Sono i camosci, cercano il sale sulle rocce del mare.

È un mare glaciale,
che conserva il ritorno di qualcosa di grandioso,
qualcosa che rimane.

Butta la buta e buttati tutta
c’è riparo e c’è posto per tutti lì sotto
buttalabuta la buta la buta
c’è posto per tutti, c’è posto per noi.

Immuni


06 Mag

The story of the world is written by light

Abbiamo incontrato un tale, lassù.
Diceva che in fondo le cose potrebbero tranquillamente rimanere così.
Nessuna costrizione all’orizzonte.
‘Non posso, non voglio, non devo’.

Nessuna scusa.
Affinché le cose rimangano così, non si può più scendere a compromessi.
Non potrai più dire ‘sì’ a ogni proposta idiota.
Non vorrai più ritrovarti a dire che non è servito niente.
Non dovrai più giustificare nulla.

Non posso,
non voglio,
non devo.

Quel tipo diceva che è il momento giusto per dire basta alle occupazioni inutili.
[Diceva così, ‘occupazioni’, e intendeva marcare una netta differenza con il concetto di ‘mestiere’].
Si potrà dire che non servono a nulla i corsi di sicurezza, oggi che i corsi di sicurezza li fanno sul videocitofono?
Quel tipo diceva che avrebbe pagato volentieri 5.000 dollari per un corso di sicurezza in cui ti insegnano, quantomeno, ad eseguire un massaggio cardiaco. A conoscere lo shock anafilattico, a salvare una vita.
E invece niente. 5.000 dollari buttati nel cesso, a ingrassare un sistema fondato sul nulla.

‘È questo che mi dava fastidio in quelle robe’, diceva il tipo.
‘Il fatto di vederli mendicare, per sopravvivere, il tempo degli altri. Io l’avrei bevuto volentieri un bicchiere di whisky con quel tipo dei corsi di sicurezza, che aveva una brava moglie e forse anche due bambini simpatici, e gliel’avrei offerto io. Ma il fatto di presentarsi così, “ti serve il corso di sicurezza per fare il tuo mestiere”, capisci che è umiliante un po’ per tutti, e principalmente per lui’?

Ben venga il distanziamento sociale, una certa consequenzialità nella gestione degli spazi.
Quel tipo lo diceva in un prato di genzianelle, che per la prima volta erano tornate a fiorire.
Negli anni scorsi le portavano via i predoni del nulla.
‘Quella gente che dice “un modo come un altro per passare la domenica”, ha detto il cowboy su sul colle, sdraiato nel suo prato di genziane,
quella gente che dice “un modo come un altro per passare la domenica”, non merita più nulla.

Anche quel tipo sul colle avrebbe potuto diventare un esperto di corsi di sicurezza, e invece si gode la primavera.

Non è questione di fortuna, ragazzi, o per lo meno: non solo.
‘Io non prego dio’, ha detto fiutando l’ultima presa di tabacco.
‘Io non prego dio: io a dio gli parlo’.

Gli dico, le dico
[perché forse dio è femmina]
che anche oggi ho fatto il mio lavoro, o per lo meno quel poco che ho ritenuto giusto.
E che adesso tocca a lei,
unknown god of ours
portare avanti questo viaggio nel destino
sospingerci nel vento,
mantenere lieve il cammino.

Diary of a Baltic Man

Real Eyes. Real Lies. Realize.


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