Archive for the ‘Musica’ Category

Hubo un dí­a en el que fotografié una vaca


27 Gen

Golondrina Presumida

Visto che suonano i mahavishnu
e sul grosso tavolo di legno c’è il segno dei soliti bicchieri e c’è una buonanotte che è una fotografia
visto che oggi ho lavorato
che oggi ho mosso i muscoli il senso delle cose la mente
visto che oggi era domenica, era lunedì, martedì
visti i precedenti
soppesato i conseguenti
visti i granchi azzurri, i piatti sporchi dell’inverno, le lezioni del duemila venti

visto tutto quel che è accaduto
è accaduto e accade

ho deciso di salire
arrampicarmi sulle scale
scrivere sul blog.

She. brings. the. rain.


18 Apr

 

Ma non state chiusi nella stream-life, voi?
No. Noi pensiamo al dopo.

E dove state andando?
Verso quelle fasce lassù in alto.
Abbiamo acceso il fuoco ieri sera, e oggi abbiamo visto il pennacchio di fumo.
Vogliamo controllare che sia spento, e se non è spento, gli soffieremo addosso, per fare in modo che bruci di nuovo.

Portavano un rastrello, una mochila a tracolla e un libro e una bottiglia.
Il libro era Le Mille e una Notte, autore sconosciuto.
La bottiglia aveva un’etichetta che diceva Shahrazād, e sembrava un nome adatto per un buon vino e per quella situazione, anche se poi in fondo nessuno aveva detto che si trattasse di vino, né aveva specificato di quale situazione si trattasse.

Narrazione, esecuzione, racconto transmediale.
Diversi linguaggi confluiscono in un solo discorso.
Lui quel giorno ha toccato, lui quel giorno ha capito.

Alcuni,
altri,
vogliono toccare ancora.
Alcuni vogliono toccare di nuovo.

Fontane solitarie a pieno regime nei vecchi borghi.
I ciliegi in fiore lungo la valle, un qualcosa che accade solo in questo luogo del mondo e in questo tempo dell’anno.
I ciliegi in fiore quando tutti gli altri alberi ancora dormono.
I ciliegi sono tanti, macchiano di bianco tutta la valle, ed è un bianco che vola nell’aria, bianco fatto a pezzi leggeri che sembrano neve, ma l’aria è tiepida e c’è il sole e quei petali cadono sul verde intenso della primavera.

Non stiamo chiusi in gabbia, noi.
Noi pensiamo al dopo.

Non ha nemmeno senso rispondere a una domanda mal posta.
Molti problemi succedono per sbaglio.
Molti problemi accadono perché la gente si agita.

Avresti mai pensato a questo, al sabotaggio del linguaggio?
Di fronte a questo momento non ci sarebbe nulla da dire.
Stiamo andando con un rastrello, nella luce del tramonto, a controllare che il mucchio di foglie e di residui bruci fino in fondo.

Abbiamo pettinato tutto il bosco nel frattempo. Abbiamo accarezzato il verde.
Hai presente quel che accade quando senti le dita di qualcuno in mezzo al pelo?
La peluria del collo e della tempia, che assomiglia all’erba nuova di primavera.
Allora chiudi gli occhi e respiri, perché finalmente c’è qualcuno che ti cerca.

Dita leggere che ti fanno dormire.
Ti fanno dormire e ti svegliano.
Oggi abbiamo accarezzato anche il bosco.
Oggi finalmente abbiamo scritto qualcosa, nel caso ci fosse qualcuno, là dietro, che legge.

“Molti problemi sono falsi problemi, ed esistono solo perché la domanda è sbagliata”.
L’hai detto al poliziotto vestito da poliziotto in pensione giù in basso. Fumava cicche sul balcone e rilevava la temperatura del contagio sull’app.
A questo si è ridotta la gente, a concentrarsi nell’altro per tenere asettico il proprio spazio vitale.
Ma tutta quella gente in così poco spazio genera inevitabilmente una quantità spropositata di soggetti ‘altri’, e allora non c’è soluzione al problema, “la soluzione è complicata ma è al vaglio dei tecnici”.

Nel pensare a questo, si perderanno il discorso dei ciliegi in fiore.
“Non c’è soluzione perché non esiste il problema”.
Un messaggio di errore, l’invasione degli hacker sull’app.

Non guardate noi, che stiamo andando verso il fuoco e non diamo fastidio a nessuno.
Soffieremo sulla cenere che sarà lì che ci aspetta, affascinati da un qualcosa che rimane nascosta ma continua a bruciare.
Non si tratta del virus, non preoccupatevi, rimanete tranquilli: il virus ha bisogno di corpi per espandersi ed estendersi.
E qui non ci sono corpi. Non ci sono corpi in giro. Ne rimane solo l’idea.

Dobbiamo finire il lavoro perché sabato arriverà la pioggia.
L’ha detto il meteo, l’hai detto tu.
Se arriverà la pioggia sarà bel segno e dormiremo.
Sarà contento anche il bosco, libero nella pioggia,
libero anche di noi.

[foto di simone rossi. testo del baltic man. tutti i diritti al rovescio].

Szomorú vasárnap


11 Dic

Evoluzione di un’inquietudine: il pianista ungherese RezsÅ‘ Seress compone Szomorú vasárnap (“Gloomy Sunday” in inglese, “Cupa Domenica” in italiano) nel 1933.
Una melodia malinconica, di tristezza orientale, si lascia cadere nel lento morire della musica terzinata gitana.

Si trattava di una linea melodica particolarmente riuscita, arricchita da un testo che piange la fine di un amore, e non lascia speranze nemmeno all’ipotesi del suicidio come ultima carta della disperazione. Tre anni dopo l’incisione del brano, iniziarono a circolare notizie che riportavano un buon numero di coincidenze sospette, in base alle quali Szomorú vasárnap indurrebbe l’ascoltatore al suicidio. Nella versione in inglese, pubblicata nel 1942.

Angels have no thoughts
Of ever returning you
Would they be angry
If I thought of joining you

la voce di Billie Holiday aggiunge intensità sonora a un testo reso più lieve nell’ultima strofa,nella quale la chiusura della canzone non fa più riferimento al suicidio ma è stata resa meno cupa e più speranzosa, sottolineando come il gesto estremo possa rimanere puramente simbolico.

Nei decenni successivi intorno a “Gloomy Sunday” prese forma un alone leggendario. La reputazione della canzone maledetta,  ribattezzata “La canzone ungherese del suicidio”, si diffuse in America e in Europa, spingendo addirittura la BBC a vietarne la trasmissione all’interno dei suoi palinsesti.

Poi arrivò Bjork

e fu inverno.

Contro le coverbands


27 Ott

Hot_Space_Queen_Tribute_Band.jpg.bigSe la musica può essere considerata uno strumento efficace per scattare una realistica fotografia sulla situazione culturale di un’intera società-, allora, ancora una volta, l’Italia è definitamente fottuta. Cinquecento anni più tardi di Palestrina, cent’anni dopo Verdi, la musica del cosiddetto “popolo” è ormai quella (scimmiottata) di altri, possibilmente in inglese.

E’ il fenomeno delle “cover-bands”, di quei gruppi di musicisti che si dilettano ad eseguire alla perfezione un pezzo scritto e interpretato, originariamente DA altri e/o PER altri. Con ambigue conseguenze, del tipo: “oh! Ho sentito una cover band dei Nirvana, tiggiuro che il cantante era uguale a Kurt Cobain. E pensa che dopo il concerto si è suicidato in un garage”.
Quando tende verso il parossismo, la cover band si propone addirittura di migliorare la versione originale, la qual cosa, si commenta da sola. (“oh! Ho sentito una cover band dei Led Zeppelin, pensa che il solo di Stairway to heaven era ancora più bello che nell’originale).

Il problema, effettivamente, sta proprio qui. Nel fatto che molte volte i membri delle varie cover bands sono veramente dei bravissimi musicisti, che per qualche inspiegabile motivo scelgono di ripetere all’infinito quattro accordi già ripetuti all’infinito, o, peggio ancora, salire su un palco vestiti come Freddy Mercury.

Perché? Bella domanda. Il fatto che così facendo si guadagni di più, è vero solo in parte. E comunque, ricordo bei tempi in cui i musicisti erano artisti, prima ancora che mercanti. Ma anche ammettendo il discorso del musicista-prostituta, trovo comunque molto più dignitoso ricoprire il ruolo fino in fondo, e suonare il genere meretricio per eccellenza, e cioè il liscio, piuttosto che atteggiarsi da star nelle varie festacce della birra locali per poi cantare Cicale-Cicale, o che so, qualsiasi canzone di Bob Marley o Jimi Hendrix, scritte per ben altri contesti.

La causa ultima, ovviamente, sta nel pubblico. Fedeli alla disgraziata linea del “si dà alla gente quel che la gente vuole” – che ci ha regalato perle come La ruota della fortuna o Il grande fratello, ricordiamolo –, musicisti e gestori di locali organizzano i loro spettacoli intorno alle covers, meglio se ascoltate e strascoltate, per consentire alla pollastra seduta in prima fila di ricavare soddisfazione dal muovere la testa e dire “ah si questa la conosco”, mentre la band suona Another Brick in the Wall, o Il cielo è sempre più blu, che poi viene riconosciuta come “quella della pubblicità”.

La conseguenza è piuttosto evidente. Un popolo che continua ad ascoltare le stesse canzoni, che si afferra al già esistente anziché sperimentare, un popolo che cerca conferme (conferme de ghe?) ed ha paura del nuovo, è un popolo fottuto. Definitivamente fottuto. Artisticamente estinto, culturalmente imbalsamato, socialmente ammuffito e politicamente retrogrado.

L’italia, insomma. L’italia e gli italiani. La più grande tribute-band dei Queen (come gli originali!) è italiana, i migliori scimmiettatori de U2 (meglio degli originali!) sono modenesi. Tutto questo, mentre a Kassel, una città qualsiasi in Germania, ogni sera si presentano in scena concerti rock inediti, e mentre a Bogotà il lunedì come il martedì o il sabato sera si può assistere a spettacolari combinazioni di rock e ritmi latinoamericani, flauti indigeni e musica elettronica, psichedelie audiovisuali miste a free-jazz.

Che fare quindi? Emigrare può essere una soluzione. Sottoscrivere una petizione a Napolitano, un’altra. Oppure presentarsi al prossimo concerto di una cover band dei Pantera, e sparare al chitarrista. Solo per dare un effetto ancora più realistico alla faccenda, ovviamente.

Tom Sawyer, Rush


02 Mar

A modern day warrior
Mean, mean stride
Today’s Tom Sawyer
Mean, mean pride

Though his mind is not for rent
Don’t put him down as arrogant
His reserve, a quiet defense
Riding out the day’s events
The river

What you say about his company
Is what you say about society
Catch the mist, catch the myth
Catch the mystery, catch the drift

The world is, the world is
Love and life are deep
Maybe as his skies are wide

Today’s Tom Sawyer
He gets high on you
And the space he invades
He gets by on you

No his mind is not for rent
To any god or government
Always hopeful, yet discontent
He knows changes aren’t permanent
But change is

What you say about his company
Is what you say about society
Catch the witness, catch the wit
Catch the spirit, catch the spit

The world is, the world is
Love and life are deep
Maybe as his eyes are wide

Exit the warrior
Today’s Tom Sawyer
He gets high on you
And the energy you trade
He gets right on to the friction of the day

Lyrichs by the canadian poet Pye Dubois.

Sandro de América


21 Gen

Non è alegria, non è baile, non è violencia il filo conduttore di questo gran continente latino. L’uomo comune, il simbolo di un unico grande popolo è (era) un cantante argentino, tanto sconosciuto in Europa quanto popolare tra le sue genti: Sandro de América. A Buenos Aires come a Bogotà, in Chile e in Ecuador, nelle case del pueblo così come nei giradischi dei ricchi, Sandro alias el Gitano è la costante sempre presente, il simbolo d’identità. Giuro di aver visto metallari alcolizzati mettere le mani avanti, come per dire “no. Sandro non si tocca”, ed intere famiglie ascoltare i suoi dischi in macchina, la domenica. Al punto che, per comodità, ad ogni incontro con sconosciuti, ho imparato a presentarmi “Sandro. Come il cantante”.

Le ragioni del suo successo? Era bianco, era argentino, era il cosiddetto “figo”. Era dotato di una voce impressionante (“la voz”), e di una grande abilità nel modularla a seconda dell’interpretazione. Pioniere del rock nel sud, si convertì presto in una stella della musica melodica, dopo una rapida stima in termini di profitti economici. I suoi dischi furono i più venduti negli Stati Uniti, tra i latinos, e la sua carriera sfociò presto nel cinema. Impressionante il delirio che gli tributavano le fans, di ogni epoca ed età.

Consumato dal tabacco e dalla vita, il 4 gennaio la Voz de América se ne è andata (difficile dire é passato a miglior vita). La cosa assurda, in tutto ciò, è che non si chiamava neppure Sandro. I funzionari del Registro Civile, nella Buenos Aires degli anni ’40, lo avevano considerato un nome illegale.

Desde una ventana


12 Nov

No hay ninguna razòn en el amor. Y tampoco en una fresa en el congelador, y tampoco en las nubes electricas allà detràs de boca de ceniza, no hay razòn en el planear un “mañana” bajo la luz irreal de una cancha de tenis. Piano y violines, detràs de nosotros. Mientras las caras son dibujos desenfocados, y las vidas de los demàs fluyen, en pantalones negros con camisitas blancas, hacia el aire acondicionado del cubiculo I-25. Existe la serenidad? Observad la realidad, elaborad los hechos, consideren proyectos desechados y la mentira del sentido comùn. El mundo desarrolla su cancer alrededor de una enfermedad originaria, los continentes hace diez millones de años tenìan todos la forma de un gran ?

Piano y violines en ràpida caìda cromàtica, violines firmes ejecutando la masacre, violines còmo cuchillos oxidados. Muerte en sol menor.

L’uomo e il mito


06 Ott

Non posso scrivere di quel giorno che. Dei miei piedi nudi sul pavimento rosso, dei cocci di vetro sul pavimento, del profumo di saliva sulle labbra. Ascoltando Philiph Roth come fosse un amico fuori di testa, profonda stima e gratitudine per quello che dice, per come lo dice, ma soprattutto perché dice. C’è ancora profumo di te nell’alveare di questa stanza. C’è anche profumo di mare e di platanos fritti, eppure è il profumo di te a rimanere incollato alle lenzuola, ai vestiti, alle labbra, al frigo gigante, alle scarpe e alla tenda tra il bagno e la stanza, nonostante le finestre senza vetri e la brisa delle sette di sera. Una tenue linea opaca non mi permette di focalizzare perfettamente i colori, e dove non vedo, immagino, disegno, incollo. O perlomeno, credo di. Di produrre arte, martellando tasti neri che non scorrono. Inseguire un’idea, perdersi in una parola, ritrovarsi in una lingua parallela, respirare musica, lanciarsi nel vuoto e terminare in un clic.

“Papà, el rock se muriò?”


26 Set

Cosas còmo el “Miche Rock Festival” no tiene absolutamente nada relacionado con lo que se pueda llamar lejanamente rock. Cuaranta anos despuès de Woodstock, todo lo que quedò de la antigua palabra, en la aldea polvorienta de Barranquilla, parece màs bien una burla boccaccesca sobre su verdadero significado. No puede sèr rock, por ejemplo, la policìa fuera del templio, revisando maletines y huevos en la busqueda de una ilusiòn de control, la policìa persiguiendo jugos de frutas y coca-colas entre las piernas de la gente. Rock analcolico.

Rock. Rock en nombre de Jesùs, que herejìa. Juro que el año pasado escuché un cantante heavy-metal, estilo noruego-pesado (que no significa nada pero suena a algo violentodepresivo) dedicar la pròxima canciòn a Jesus. Curioso. Y vagamente desubicado. Al final de todo, serìa màs o menos còmo vèr entrar a Jimi Hendrix en una iglesia para leer las letras de sus canciones desde el altar (no obstante hay quien asegura que Jesù Cristo fué un rocker, el tipico amigo rocker: todos tenemos un amigo con el pelo largo y la barba larga, que alucina de vèz en cuando).

“Donde estàn los rockeros MAS LINDOS de Barranquillaaaaaaa?”, iban chillando las presentadoras. Buena pregunta. Yo veo solamente maniquì reluciendo sus camisetas de Iron Maiden o Metallica con sus companeritas aburridas al lado, gente que no tiene ni puta idea de quien era Sid Vicious, o Jefferson Airplanes, o Keith Emerson, o Jim Morrison cuando se quedaba tres horas inmòbil grabando Spanish Caravan, o Pink Floyd, o Primus, o los millones de underground que siguen pensando la mùsica còmo algo bien electricificado, hasta llegar a la lìrica de Gustavo Cerati, a las nuevas progresiones islandeses, para que vean que el rock se evoluciona, resiste.

Estàn encerrados en sus casas, los verdaderos rockeros de Barranquilla. Lejos de los gritos de pato de cuatro presentadoras completamente desubicadas, de la inmundicia del “tropipop” vendido còmo rock (de otro modo, quien asistirìa a un concierto de TROPIPOP?), sucios y sudados, musicalmente absortos, amarrados a un giro armònico sin final, a un sòlo de guitarra sangrienta, a toda èsta mùsica que todavìa significa algo.

Censure for peace


08 Set

My song “Rocky Mountain was banned from many radio stations as a drug-related song. This was obviously done by people who had never seen or been to the Rocky Mountains and also had never experienced the elation, celebration of life, or the joy in living that one feels when he observes something as wondrous as the Perseides meteor shower on a moonless, cloudless night, when there are so many stars that you have a shadow from the starlight, and you are out camping with your friends, your best friends, and introducing them to one of nature’s most spectacular light shows for the very first time.

John Denver

“Parental Advisory: esplicit content” è uno stampino misteriosamente presente sui migliori cd delle persone perbene. Deve la sua nascita ad un gruppo di fondamentaliste cristiane, ovviamente ben innaffiate a Washington, che un bel giorno iniziarono a percepire messaggi subliminali satanici nel rock.

La Parents Musics Resources Center, l’ente creato con lo scopo di proteggere i valori della tradizione familiare americana, appiccicando il loro moderno strumento di inquisizione, aveva l’obiettivo di contrastare il succedere della musica rock, ecomplicazioni nella vita degli artisti, e nella loro produzione creativa. La fondatrice, Mary Elizabeth detta Tipper, è la moglie dell’ex-vice-presidente Al Gore, nonché premio Nobel per la Pace. Mah.

Diary of a Baltic Man

Real Eyes. Real Lies. Realize.


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