Archive for the ‘People’ Category

Campane Tibetane


19 Mar

Una casa enorme.
Già vecchia quando è stata costruita, negli anni novanta.
Il padre di famiglia si muove lentamente nell’ampio cortile.
Là sotto non c’è più traccia di ogni elemento naturale: tutto è stato imbrigliato, ricoperto, asfaltato.
Il padre di famiglia chiude la portiera del grande camion, nel sole freddo dei giorni più freddi dell’anno.

Nel giorno più corto dell’anno in questo luogo il sole scende dietro il monte alle tre e ventisette.
Dev’essere così anche oggi, giorno di Santa Lucia, patrona dei camionisti che hanno imbrigliato il cortile e controllano la vita.

Il padre di famiglia è soddisfatto: suo figlio prosegue le sue orme, ha in mano le redini dell’azienda.
Il camionista può vedere la lunga linea tracciata tra i territori del passato e quelli del futuro, e in mezzo a tutto ci sono due camion giganti, uno rosso e uno blu, che simboleggiano un tempo presente solido e lucente.

Saliamo in casa insieme, a bere un cordiale, dice il padre al figlio e a me.
Saliamo in casa insieme, è quasi natale.

Lassù, nella casa quadrata e immobile,
tutto è stato imbrigliato, ricoperto, asfaltato.
Ma sulla pietra del camino è appoggiato un recipiente metallico e cilindrico: una campana tibetana.

Una campana tibetana, la conosci? L’ho comprata al mercato dei popoli di Genova.
Funziona così, guarda, ti faccio ascoltare.
E il figlio del camionista prende la campana e la suona, e poi depone il mazzuolo e si pone all’ascolto, e tutta la famiglia si pone all’ascolto, mi pongo all’ascolto anch’io.

Un suono sottile e continuo, che ondeggia nella luce ormai elettrica del giorno più corto dell’anno.
Rimane lì e non si muove. ‘Eppur si muove!’, gridò Galilei.
Il suono si muove ma non perde d’intensità, come una stella cometa impazzita, recalcitrante all’arrendersi.
Rimane la scia nel cielo, entra il suono fin dentro le cellule.

Il suono dura cinque minuti almeno, e cinque minuti sono tanti, in una famiglia di camionisti nel lato buio del mondo.
È stato bello rivederti, dice il padre camionista, abbagliato dalla scia della strada.
È stato bello rivedervi, gli rispondo io sulla soglia, ricordando paesaggi d’infanzia.
È stato bello ascoltarti,
suono infinito del cosmo,
graffio denso sul foglio, Campana Tibetana.

Carulla del Parkway


26 Gen

C’era questa ragazza sulla sedia a rotelle, lì vicino all’uscita.
Vendeva borse per la raccolta differenziata e ogni volta che qualcuno le lasciava una moneta si faceva il segno della croce e mandava una benedizione.
Lavorava dalle 3 del pomeriggio alle 9 di sera. E diceva proprio così: “lavoro”.

Lavorava per sua figlia di nove anni, sua figlia che era nata quando lei di anni ne aveva quattordici.
Quattordici?
Dice proprio di sì. Quattordici.
Avrebbe voluto abortire ma poi ha visto l’immagine del feto.
E poi a quel tempo camminava. Non aveva paura di una bambina con sé.

Una notte di dicembre, la noche de las velitas che è il 7 dicembre, è andata al paese per festeggiare con gli altri.
Aveva vent’anni e la sua figlia di sei.
Ha sentito un brivido freddo e si è trovata sull’asfalto. Non riusciva più a muovere niente, e sua figlia gridava “c’è sangue”, e lei non capiva perché.

Una bala perdida nel cielo di dicembre.
Una pallottola vagante, scesa dall’alto proprio dentro di lei.
Le ha colpito la colonna vertebrale, le braccia le ha recuperate, le gambe mai più.

Il paese in cui vive non ha un sistema sociale che garantisca una pensione a chi non ha alternative.
Nel paese in cui vive sono in tanti come lei, perché ci sono le mine la guerriglia la guerra, la violenza nelle strade e i massacri sul monte, ci sono i più deboli e i desplazados e le persone lasciate sulla strada perché tanto è solo un figlio in più. Nel paese in cui vive c’è il calore del Tropico, che garantisce un lavoro anche a chi non può lavorare più, che distribuisce monete in cambio di benedizioni e una fede incrollabile in chissà cosa chissà.

Così c’era questa ragazza sulla sedia a rotelle, davanti al Carulla del Parkway, ingresso principale del supermercato.
C’era e c’è ancora: sono io che nel frattempo mi sono spostato da lì.
Abbiamo parlato mezz’ora e abbiamo videochiamato sua figlia.
Era lì in compagnia di un’amica, ed entrambe mi hanno salutato e si saranno anche chieste chi fossi io.
In quella mezz’ora Judy ha raccolto dodicimila pesos e se va avanti così le compro un paio di scarpe a mia figlia, mi ha detto prima di salutarci.

Chissà se è andata così.
Là davanti al Carulla del Parkway, prima o poi mi informerò.

 

[las balas son igual de baratas que los condones].

Azzurro, arancione e nero


21 Gen

Aurora boreale. Tre pennellate forti e definitive: azzurro, arancione, nero. Senza passato né futuro, senza terra o destinazione, solamente emozioni sospese nell’aria a diecimila metri d’altezza.

Non credo negli dei, negli angeli e nei miracoli. Però soprattutto non credo nella terra, nel senso ultimo di un qualcosa che sei miliardi di persone si ostinano a cercare nell’infima miseria della vita quotidiana. Credo nel cielo, spazio aperto e infinito, che inizia dove finisce la nostra carne e cosa nasconde chissà.

Credo nel cielo, è meraviglioso e tangibile fuori dal finestrino. Laggiù sotto le nuvole c’è la groenlandia, la terra del ghiaccio, e il freddo arriva su fin nelle ossa, in questo risveglio improvviso. So perfettamente che non stavo sognando, che è tutto vero, che è vero che non è vero niente. So perfettamente che il sogno è questo, io sospeso in una capsula metallica che mi porterà là dove tu non ci sei più.

Pensieri? Pochi e confusi, vince su tutto l’immensità azzurra e arancione, e l’ultima stella della notte. Solo adesso per esempio mi rendo conto che non abbiamo mai parlato di morte. Di niente, di bici, di amici, di coerenza, di sogni, di sesso, d’amore, d’assurdo, di tutti gli altri, di noi, di tutto questo abbiamo parlato, e mai di morte.

Forse era meglio così. Eravamo giovani, e lo saremmo sempre stati. Tu ci sei riuscito; io, da oggi, sono improvvisamente più vecchio.

Poi viene su una strana sensazione di sopravvivenza. L’inizio di un gioco beffardo, una roulette russa che si risolve in un uno-contro-l’altro, un conto alla rovescia. Fuori dal finestrino c’è un vuoto, ma è un vuoto che in qualche modo scalda e conforta, muove la speranza verso una forma di consapevolezza in un certo senso superiore. Forse non c’è niente dopo la morte, forse sì. Sicuramente non c’è niente giù su quella terra, tranne una linea di tempo effimera che brucia tra le mani.

Sarà stata l’esperienza mistica di crescere insieme, e guardare il mondo che prende forma ed aver voglia di fuggire. Oggi che tu te ne sei andato, questo spazio definitivo che toglie il respiro è molto più di una tentazione. Il cielo esiste, e noi non ne sappiamo niente.

Il cielo esiste, è tutto ciò che realmente possediamo. Esiste ed ha una voce ed è una vibrazione, troppo debole o immensamente forti per le nostre orecchie di membrane ed ossa. C’è chi lo chiama dimensione e chi lo chiama paradiso, chi ne ha paura e chi aspetta di arrivarci. Io rimango incollato al finestrino e contemplo questo nulla pieno di tutto. So che da qualche parte, tra questo azzurro, questo aracione e questo nero, ci sei anche tu.

Goodbye
Testo: Somewhere in the sky, 17 gennaio 2010.
Foto: Somewhere in the earth, Marco in un giorno in cui si viaggiava verso nord. Ottobre 2006.

Americhe/4


12 Dic

Adiòs

In principio fu la fuga. Verso l’ignoto, una strada piena di nulla e vuota di tutto, uno spazio immaginifico pieno di suoni e immagini e immagini e voci che raccontano.
Poi, l’esplosione della Storia. Quella dei piccoli uomini, dei pezzi di vita alimentati e bruciati sul fuoco di un ritmo continuo, la storia fatta di Storie intrecciate tra loro come tappeti orientali, la storia fatta di storie dai mille colori diversi riuniti in un unico grande disegno. Il caos.
Adesso, è l’inebriante sensazione di lasciarsi travolgere. Racconti e vicende, miti e leggende, personaggi e stagioni. Il mondo nella sua rotondevole pienezza, globo terracqueo ricco di spunti per immergersi nella fantasia più pura, quella della realtà.

Captare ed inseguire qualcuna di queste storie. Attraverso la memoria, il ricordo, la carta, l’immagine e l’immagine in movimento. L’immagine in movimento. Di questo si tratta. Di un movimento, che continua
Una videocamera, un paio di microfoni, una scaletta scarabocchiata su carta a quadretti, milleppiù giga di memoria, quattro mutande, un paio di jeans. Un qualcosa da raccontare.

Dubbio


17 Nov

…che fare di fronte ad un leghista che critica i kebab seduto ad un mcdonald’s??

Un sms da Bucarest


06 Lug

…sono nel cimitero “Genchea”, di fronte alla tomba di Ceausescu. Nella terra, piccola lapide con stella rossa e dedica, ormai sbiadita, del PCR. Accidenti che effetto! L’uomo che ha tiranneggiato il Paese dal 65 all’89, che ha costruito un palazzo più grande di Versallies è lì, meno di un pensionato povero.

G.

Il mondo a quattro mani


28 Apr

“She’s a Barraquillera with a big heart, always open to the world; he hails from Italy but has made the world his home. This means they love to travel, getting to know other cultures but especially getting to know themselves (and, without a doubt, each other)”

Eliseo è uno di quei personaggi saltati fuori dal libro aperto del mondo. Giornalista, scrittore, critico, dove c’è musica c’è anche lui. Sempre sospeso tra Miami e il Sud America, un po’ come la sua vecchia Portorico, un bel giorno è apparso sulla sabbia di Salgar, ed abbiamo bevuto ed abbiamo imprecato contro i confini geografici che qualcuno ha disegnato su una sola sfera. Poi se n’è andato, a Nord o a Sud non si sa bene dove, e come i vecchi amici, come la buona musica, oggi è riapparso sottoforma di amarcord.

La mia personale candidatura al premio nobel per la Pace


02 Apr

Pierino ha sessantun’anni e viene dalle montagne di Bormio. Un personaggio piuttosto conosciuto e presente in qualsiasi paesello italiano, uno di quei bravi signori che si sono costruiti la casa con le loro mani perché sono un po’ idraulici, un po’ falegnami, un po’ muratori e un po’ tutto.

Pierino ha lavorato tutta la vita in un’azienda pubblica, é diventato padre e poi nonno. Ha visto l’Italia cambiare velocemente, troppo velocemente, e non sempre in meglio. Poi é andato in pensione, e ha deciso che c’erano ancora tante cose utili da fare, o meglio: che era giunto il momento di fare qualcosa di utile.

Cosí é partito con lo zaino in spalla, come un ventenne. E’ arrivato in America Latina, ha attraversato per settimane intere la Bolivia in solitaria, ha imparato lo spagnolo. E adesso collabora con una ONG di compaesani valtellinesi, gente come lui che ha deciso di dare un senso alle cose facendo qualcosa di utile.

Passa i suoi giorni, Pierino, in mezzo alle montagne d’Ecuador, costruendo scaffali per la scuola prossima ad inaugurare, aiutando dove c’é bisogno. Senza pretese. Anche perché, come dice lui, “se aiutare significa ridurre questa gente a correre come é successo da noi, molto meglio sospendere tutto e tornare a casa”.

Eppure il tempo passa / e non succede niente


01 Dic

Non alla giovinezza, e nemmeno a chi inventò il tempo, la più crudele, fra le condanne. E tantomeno al nostro arrampicarci costante sulla schiena di una discesa, a noi che infiliamo il canto del mare dentro un pezzo di plastica grigio. Queste poche righe non volevano essere una critica né un’ode, non una citazione e nemmeno un’idea, questo pensiero non voleva essere un’idea. A che servirebbe parlare di sabbia e di neve, di carta e d’inchiostro, dei colori del vento. E c’è chi ancora continua a vedere l’azzurro come una massa d’aria trasparente. Non volevano essere una faccia o nemmeno un personaggio, perchè i personaggi nella nostra epoca non sono nient’altro che facce, maschere di gomma fuori moda il giorno dopo carnevale.

Queste poche righe non volevano essere nient’altro che una foto.

Libreta / militar


21 Ott

uribe_paraQuesta mattina, Nacho mi raccontava che non potrà andarsene un paio di settimane in Ecuador con sua sorella, perchè non ha la libreta militar.
La libreta militar.
Che assonanza di parole musicalmente dissonanti tra di loro.
Trattasi di un pezzo di carta, nient’altro che un solito fottuto pezzo di carta (quanti problemi hanno causato i pezzi di carta…e nell’epoca del “puffff” virtuale, continuiamo ad esserne succubi), un foglio che dica: “Obblighi militari assolti”. (Mi sfugge il senso di un’intera “libreta”, per scriverci su “obblighi militari assolti”).

Il problema, non secondario, è che questa libreta si ottiene versando una cospicua somma di denaro, dipendente dalla fascia sociale del giovine (e quindi, ad occhio, già si potrebbe pronosticare con un certo anticipo a chi toccheranno due anni nel Caquetà e a chi no…), somma di denaro che in pratica costituisce “il prezzo della libertà“. Allucinante. Allucinante perchè un buon novantacinque percento dei diciannovenni d’europa non si rende conto, quotidianamente, della loro buena suerte.

Diary of a Baltic Man

Real Eyes. Real Lies. Realize.


Ricerca personalizzata