Archive for the ‘Venezuela’ Category

Videomaking


15 Lug

Il tipo di oggi sembrava realmente appassionato delle sue scarpe.
Ne parlava con rispetto e devozione.
Comprendeva che lì dietro c’era il lavoro dei tanti. C’era il mistero della creazione, tutto lì da decifrare.

Una scarpa è una scarpa e non è mai stata solamente una scarpa.
Una scarpa è tecnica e tecnologia, è tecnologia o tecnica?, una scarpa è la sfida sincera alla legge dei più.
Nella scarpa ci sono termini tecnici e tensione delle corde, c’è elasticità e c’è la legge di Hooke, c’è l’evolversi delle competenze e c’è quindi l’intera storia dell’uomo.

Forse per questo il tipo di oggi sembrava realmente appassionato alle sue scarpe.
Cercava tutto questo e non lo sapeva.
Lui era affascinato dai colori e dalle prestazioni, dall’incredibilmentebasso numero di grammi che compongono la scarpa, dalle schiume sintetica studiate nei laboratori dell’Asics.
“Mente sana in corpore sano”, questo vuol dire realmente AsiX.
E tu pensavi che fosse una marca di Cuneo.
A Cuneo AsiX è arrivata dal Giappone. Lo sapevi tutto questo? Nella storia del singolo c’è la storia dei più.

Luciano Cassetti era appassionato di scarpe ed è giusto così.
Era il responsabile di marketing di una grande azienda. Era un ragazzo di venticinque anni o poco più, era un ragazzo sveglio, appassionato di scarpe: ed è giusto così.
Intorno a lui un gruppo di ragazzi autistici prendeva le misure con una notte di libertà in un luogo di montagna.
Un luogo di villeggiatura: a Bardonéč si scia dal 1908, sia scia da quando la perfezione ha incontrato la velocità.

La perfezione o l’imperfezione?
Difficile dirlo, difficile giudicare.
La risposta più vera è il sospiro del ragazzo responsabile di marketing: quando al tredicesimo video ha dovuto presentare la tredicesima scarpa ha sospirato e ha detto “non è vera neanche questa. Neanche questa è perfetta. È un prodigio di tecnica e tecnologia, ma nemmeno questa scarpa è perfetta. Come è potuto succedere? Perché non c’è la perfezione neanche qui?”

Alludeva a tutti quei mondi in cui di recente era stato.
Luoghi senza punti di riferimento e senza rappresentazione. Per raccontarli al resto della gente doveva ricorrere a metafore, figure figurate, altri luoghi e altre lingue che non c’entravano nulla con lì.
“Ogni luogo è un posto unico ed è per questo che la geografia è importante”, gli avevano insegnato nell’atelier del pomeriggio, senza immaginare fino in fondo che per lui la geografia era una questione differente, una questione tridimensionale.

La geografia più autentica è fatta di spazi di tempo disegnati sulla mappa.
“In quale modo mi sono lasciato/a succedere”. “In questo modo sono potuto accadere”. “Di quel luogo là ricordo soprattutto una passeggiata sotto il sole, e la routine degli avvenimenti, che hanno permesso di incidere un solco sul mio leggero passo in questa terra beffarda”.

Ma il tipo delle scarpe parlava di scarpe per parlare del mondo.
Le scarpe servono per camminare, e allora una domanda, una domanda secca:
faster, or further?

Il grafico delle combinazioni occupava tutta la parete. Ad ogni possibilità era collocato un modello di scarpe. Un diagramma cartesiano, un diagramma cartesiano con i suoi gradi di libertà.

Sapevate voi che per punto materiale esiste un grado di libertà?
Quando si accetta che in questo mondo, in questa vita, esistono anche i gradi di libertà, è allora che la fisica smette di possedere basi solide.

 

A Silví. A Phil. A Leo. A Martina.
Alla notte dell’altra sera.
Alle notti di ventisempre anni fa.

L’immagine della profezia


19 Gen

El autor del cuadro Oswaldo GuayasamIn. EL MACUTO,Quando negli anni Settanta dipinse “El Macuto” (Il bruto), Oswaldo Guayasamin concretizzò su tela una sua immagine visionaria. Aveva previsto, nel fuoco dei cattivi presagi che popolavano l’America Latina di quelle epoche difficili, l’ennesimo caudillo populista a minacciare il futuro del suo popolo, un uomo “che avrebbe creato conflitti internazionali e sarebbe rimasto più di un decennio al potere”.

Trentacinque anni più tardi, è curioso costatare come l’arte continui ad essere l’avanguardia dell’umanità nella rincorsa al proprio futuro, dimostrando molta più fantasia come la realtà stessa. Un venezuelano, di fronte a “El Macuto”, non può fare altro che sperare di essere di fronte ad un altro ritratto di Dorian Gray.

2.800m s.l.m.


08 Set

Lago delle Forciolline, Val Varaita (Cuneo), Italia.

Santa Fè de Bogotà, Colombia.

P.S.: so che non c’entra niente ed è scritto in castigliano, però…questo articolo è interessante.

¡Alò Presidente!


26 Ago

Niente e nessuno può spiegare il Venezuela odierno meglio che lo stesso faccione del Chàvez, rossovestito tra i rossovestiti, nella sua consueta Messa dominicale davanti a selezionati e adoranti adepti. Alò Presidente, che già rinfrescava i duri risvegli delle mie domeniche mattine colombiane, non è però nient’altro che uno tra i fattori nuovi di questa Rivoluzione Bolivariana Socialista che imperversa nel Venezuela odierno.

Le privatizzazioni.
Dal petrolio alle industrie agroalimentari, dall’energia al cemento (storia di due giorni fa, fresca), la tendenza a rendere pubblico il bene privato è una realtà chavista che solo la storia approverà o condannerà.

Il Bolìvar Fuerte
Probabilmente la manovra più oscura del “Ministerio del Poter Popular para la Economia”. Una valuta che da un giorno all’altro perde tre zeri, nuovi fogli e spicciolame e nuova confusione, e un controllo “totale” della valuta estera che può entrare e uscire nel Paese. Con la costante, conseguente, assurda impennata del mercato nero, che impenna il cambio Bolìvar-Euro (ufficialmente a 3.3) fino a un impensabile 5.0, negli oscuri anfratti dalle faccie losche. Felice il turista straniero euro (o dollaro) dotato, meno felice il Venezuelano che vuole uscire dal Paese. Filosofia-Castro travestita con altri panni.

La propaganda
E’ sulle strade, nelle piazze, ovunque. Il pannellone rosso e gli slogan vari, subliminati da cartelli stradali che mischiano un “guidate con prudenza” in questo Venezuela che “ahora es de todos”. A caratteri cubitali.

Il ruolo internazionale
“Pericoloso” per alcuni (soprattutto in Colombia), “Esemplare” per altri, questo Venezuela del XXI secolo effettivamente è la voce più grossa dell’America latina, siano valori nuovi o colossali vaccate. E’ indiscutibile.

La gente
Piuttosto divisi tra Guelfi e Ghibellini, la risposta dei Venezuelani a questa rivoluzione che non proprio hanno voluto è netta. Se molti vedono con preoccupazione il loro futuro e invitano i metafilosofi delle varie sinistre internazionali a vivere per un periodo da venezuelano per provare sulla pelle il Socialismo Bolivariano, altri vedono finalmente un Paese più equo e giusto e, soprattutto, sabotaggi e tranelli ovunque.

La conclusione di chi scrive, indispensabile a questo punto, profuma di sospetto verso tutto ciò, rivoluzione o sistema, che limita e mutila quei 4 o 5 diritti personali dell’uomo.

CatatumboSky


21 Ago

Ogni notte a Catatumbo il cielo si ribella. Sono le mangrovie, le mangrovie e il metano delle loro foglie, massa gassosa a spasso per il vento cercando di esplodere. Poi la miccia arriva, tra la bassa pressione del lago piú grande del SudAmerica e il filo di rame delle prime Ande e s’illumina di violenza il cielo di Catatumbo. I suoi lampi spaventano le iguane, risvegliano le scimmie ed accecano la selva, disturbano i pellicani ed incantano i pesci nella potenza della loro energia; semplicemente, succedono. I pappagalli lo sanno, e si addormentano sugli alberi più bassi per sfuggire a questo cielo che a mezzanotte si sveglia nell’amplesso tra aere e suolo, prepotente, e come un fotografo ubriaco acceca coi suoi flash continui i mille occhi che lo guardano, mille occhi rossi puntini gotici nel nero, radar e percezione nella scacchiera di questa selva. Il più grande e il più veloce e il più intelligente e il più fortunato vinceranno, alla faccia di chi non aveva le carte in regola con dimensioni riflessi cervello o destino, chi lo sa. E mentre scaglia sui vivi il suo energetico esistere, automaticamente ne illumina gli intrecci, e lo stanco pescatore, l’innamorato di uccelli tropicali, il cacciatore di caimani e l’inguaribile vagabondo piccoli appaiono, insieme, sotto il cielo di Catatumbo.

Illusione a fari spenti


18 Ago

Piove. Pioggia: acqua santa che scende dal cielo travestita di maledizione: appare sempre quando meno serve. Per esempio quando è in giro sulle Ande in bici. Lo zaino è una roba che esplode. Sette mesi di vita vi sono rinchiusi dentro e sette mesi di vita – di questa vita, questi sette mesi – sono materiale esplosivo. Non è colpa dello zaino. Il Venezuela non vuole Chàvez. Lo chiamano “dittatore”, da queste parti, però lo dicono a voce bassa accertandosi bene che nessuno li stia ascoltando. Viaggione, uno s’immagina i caudillos sudamericani anni ’70 dimenticandosi che il presunto “dittatore” ha perso un referendum costituzionale l’anno passato, per giunta di un pelo. Pagliaccio è la parola, dittatore suona forte e inflazionato e comunista. Maracaibo, quella della canzonetta da discopub estivo italiano, è una città industriale e petroliera e sporca, ma soprattutto, delusione delle delusioni, si chiama Maracàibo. Con l’accento sulla “A”. Quante generazioni di persone ha rovintato la Carrà. Le radio suonano come in Colombia e vomitano reggaeton. Mèrida, invece, profuma di Svizzera e sa di SudAmerica. La benzina, postilla fondamentale, in Venezuela costa 30 centesimi di euro al litro.

In conclusione, però, tutto questo è una cazzata. Pura mercanzia mentale, sensazioni impressioni e pensieri di un ubriaco, e vedi che domani si dimentica tutto. Un Discovery Channel davanti agli occhi, un inutile contatto msn che ti dice cose invisibili, un falso secondo di gioia. Sulla pelle, tra i capelli, stretto tra le dita, conficcato in una pupilla, dentro un’orecchia, nelle tasche, nell’organo pensante e nell’organo pulsante, in ogni poro, in ogni poro, in ogni poro, c’è la mia Colombia, c’è lei, c’è me stesso.

Riscatto


03 Lug

Nei miei giorni bogotani, la direttrice della semana.com davanti a un ottimo Ajiaco confessava che la sua redazione era in fermento: tutto lasciava presupporre importanti novità dal fronte FARC. Diciannove giorni dopo, per la prima volta nella storia della Costa Caribe, la buseta che mi riporta a casa inspiegabilmente bandisce l’onnipresente vallenato a 100 decibel per sintonizzarsi sul notiziario radio. L’eurocoppa è finita domenica, presagi di qualcosa di grosso.

Alla notizia della liberazione di Ingrid (e degli altri 14, tra i quali i 3 gringos del caso-Trinidad), l’entusiasmo della gente è davvero alto. In un clima di sincera commozione, la gente comune e normalmente piuttosto disinteressata a narcoparapolitiche varie ascolta attentamente le voci eccitate della televisione, schermi che riempiono le silenziose strade di Barranquilla in un cammino notturno solitamente deserto. La stessa, incessante cronaca in diretta (neanche la martellante pubblicità colombiana questa sera interrompe Uribe) racconta di un popolo che con ritrovata speranza riscopre la dignità, contro quel cancro interno che nella realtà del 2008 ha consumato definitivamente il limite di sopportazione della gente.

La realtà politica, è quantomeno interessante. Prima di tutto, un elogio a quel fantastico stile sudamericano che riempie di “gracias a Dios”, “mia madre mia moglie mia figlia”, “usted senor Presidente” e “Virgen Maria” qualsiasi apparizione televisiva. In termini effettivi, l’eccellente operazione messa a segno dall’esercito colombiano, oltre a far riesplodere il consenso e la cieca ammirazione intorno ad Uribe, spinge le FARC di fronte ad un bivio fondamentale, a una scelta da prendere dopo gli ultimi disgraziati mesi. Una strada porta all’apoteosi della rappresaglia, ipotesi che terrorizza le famiglie delle centinaia i civili ancora prigionieri nella selva. Il cammino alternativo, potenzialmente incoraggiato dal recente avvicendamento ai vertici della Guerriglia tra Tirofijo e Alfonso Cano, invita a dialogo e negoziazione, miraggio inseguito senza successo finora. Nella sua prima conferenza stampa da neo-libera, Indrid Betancurt ha concluso cosi:

“I libri di storia non ricordano chi ha fatto le guerre, ma chi è riuscito a fare la pace“.

55 anni prima…


28 Mag

“El ùltimo fin de semana se registrò una actividad extraordinaria en el Terminal de Pasajeros de la Guajira. Solamente el domingo, en el barco espanol “Monserrat” abandonaron el paìs 580 inmigrantes. La mayorìa de ellos eran italianos. Los venezolanos que presenciaron el espectàculo asumieron una actitud discreta, salvo un negro gigantesco cuyo orgullo nacional se sintiò herido frente a la alegrìa de los inmigrantes.
“Si estàn contentos de irse, entonces no vuelvan màs nunca”, gritò.
Desde el 23 de enero, 2014 italianos han arreglado sus papeles apresuradamente, han engrosado las interminables colas en las oficinas de extranjerìa y en el consulado de su paìs, han hecho milagros con sus escasos bolìvares y estàn ahorar de vuelta en Italia. El obrero extranjero, a pesar de trabajar duramente hasta 16 horas, no ganaba en muchos casos màs de 12 bolìvares por jornada.

En la embajada se registran 1.300 italianos que solicitan ser enviados a su patria por cuenta del gobierno, pues no tienen dinero para el pasaje. Se calcula que màs de 5.000 italianos en Venezuela estàn sin trabajo. Aunque la mayorìa se siente atemorizada por los ataques de que han sido vìctimas y por las amenazas contra sus propiedades y su persona, la razòn de el rimpatrio masivo es de orden economico. (…)

En la Guajira, donde bajan a despedirlos los compatriotas que no pudieron irse, cantan y bailan, como lo hace todo el que se va, en cualquier parte del mundo. Pero en cubierta, mientras dicen adiòs a los que se quedan, mientras la atmòsfera se estremece con la sòrdida y melancònica sirena del barco, los inmigrantes lloran. Lloran todos: los que se van y los que se quedan. Ese es el ùltimo capitulo de un drama social que ha vivido Venezuela en los ùltimos 10 anos y del cual solamente ahora se puede hablar libremente”.

Gabriel Garcia Marquez, “Cuando era feliz y indocumentado”.

Vento di Guajira


05 Mag

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Proprio nell’angolo del suo estremo nord geografico, il Sud America stupisce ancora una volta e si colora di sè stesso.
Nel desertico scorrere della Penisola di Guajira, le facce della gente parlano di indio, seguendo il ritmo lento della loro genetica che fa di queste terre i luoghi più rilassanti della Colombia e, conseguenza diretta, lontani anni luce dal progresso degli altri.
Fotografie d’altri tempi si compongono là dove finisce la meccanica del pick-up, fotografie che con i piedi al vento non provo nemmeno a rubare alla gente di Guajira e all’istantanea della mente, l’mp3 d’istinto nasconde Audioslave e propone Fito Paez. Con i piedi al vento. Vento che sa di gasolina, si respira nell’aria, il Venezuela con il suo oro nero è dall’altra parte del muro e il contrabbando di energia è lì, tangibile ad ogni kilometro, racchiuso in taniche che impregnano la terra, gli animali e la vita.
L’incanto si rompe e si trasforma quando scompaiono i benzeni e le narici s’inondano di sale, brezza d’oceano un po’ benedetta e un po’ puttana che brucia le pelli e accarezza i capelli.
Lo sguardo al mare nelle grida di Riohacha al tramonto è un’intersezione di arti diverse, fotografia pittura musica e perfino letteratura, tra le pagine di Garcìa Marquez il Grande Tutto è già stato consacrato all’immortalità. Perchè l’atmosfera e i tempi e la primavera ispirano per davvero Amori ai tempi di Colera, tormenti e passioni umane che viste da qua sembrano meno fantastiche e soprattutto più vicine.
Guajira è quel tipico nome che sa di lontano, di vicino, di occhi allungati e di gasolina.

Foto, splendida foto, di “Gomoku”.

Berluschavez


10 Mar

Lo schermo li racchiude finalmente tutti nello spazio di pochi centimetri. Lì, nel multiplo incrocio del faccia a faccia, troneggiano i Signori della Non Guerra che fanno bestemmiare e incuriosire la massa di tre popolazioni e forse più. Intorno a loro tutti gli altri, gli amici degli amici dei nemici, che applaudono e sogghignano a quest’uno o a quell’altro.

L’immagine del politico inteso come “tradizionale” è offuscata dalla serie di patemi in stile-sudamerica e da ironie seminate qua e là come se si trattasse di una ciarla tra amici, l’inganno comunque non funziona perché il fiume di parole scorre fino ai lidi di altri politicanti, 4000 o 8000 km piu in là.

Si parla di guerriglia, dunque. Problemi grossi, invasioni di confini e documenti segreti in chissà quale microchip. E si decide di risolvere il problema scegliendo di non risolverlo: ogni Presidente, non appena investito del Dono della Parola, si lancia in uno snocciolamento prodigioso dei risultati conseguiti negli ultimi X anni dall’Y paese, ed è a quel punto che il piccolo schermo deve risvegliare il livello di panico collegandosi in diretta con la Guajira. Proprio da quelle parti negli ultimi minuti pare che un’imprudente e stressato camionista venezuelano abbia portato il mondo sull’orlo del disastro decidendo di non fermarsi allo stop, invadendo a suo modo il suolo colombiano. Seguono resoconto della conseguente minisparatoria, il racconto shoccante di una sopravvissuta, la rassicurazione “per fortuna niente vittime” ed il faccione del Guido Bertolaso colombiano che invita alla calma e al buonsenso.

chavez.jpgEd è a quel punto che ti appare Lui. Tronfio, rossocravattato, riempie lo schermo e l’audience. E subito si lancia nel racconto cronologico di questa tremenda crisi, raccontando aneddoti inediti che lo vedono protagonista e benefattore. Fino alla tremenda rivelazione: questa faccenda non ha soluzioni finchè gli Stati Uniti ed i loro presidenti esistono. L’appassionato ascoltatore a quel punto ha un sussulto, ma non è che il preludio al colpo finale: per sottolineare i buoni rapporti tra il Venezuela e il Nicaragua Chavez si lancia nel canto della nenia popolare nicaraguese più famosa. Lì, nel vertice di Santo Domingo, Hugo Chavez Frìas canta. Lo giuro.

Un qualcosa mi tocca il ginocchio. Controllo, è la mano del compare tedesco, Mateo. Mi guarda sogghignando, mi dice: “ehi, dovresti esserci abituato, non fa così anche Berlusconi?”

Diary of a Baltic Man

Real Eyes. Real Lies. Realize.


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