Archive for the ‘Vita’ Category

Aleramico


09 Mag

Oggi ho incontrato mio padre
o forse – non sono sicuro –
che fosse mio figlio?

Camminava in un campo di fiori con una bambina lì di fianco
e io scendevo col mio cavallo tra la polvere e le pietre
scendevo verso il fiume
ad aspettare il falconiere.

Mio padre si è accorto del mio passaggio
ha lasciato per un momento la bambina
È venuto a salutarmi.

“Hai messo su i capelli bianchi”, mi ha detto
e io mi sono guardato nello specchio,
e ho visto lì i capelli bianchi.

Era parecchio tempo che non guardavo più in uno specchio, padre
era parecchio tempo che non ti vedevo, figlio
e poi di nuovo tra i campi di fiori e le bambine
e poi di nuovo giù,
verso il fiume.

Coruja Muda. ¿Donde está el Oriente?


28 Dic

Alô amigo
Eu vim aqui perguntar
Se você pode tirar
Em breve uma foto minha
Não é nadinha
De motivo especial
Só uma foto normal
Que eu pretendo emoldurar
Pois quando o tempo passar
Pode ser que ela até faça
Parte de um museu sem graça que ninguém quer visitar.


Il giovane uomo e la giovane donna entrano in un taxi parcheggiato sotto la pioggia.
La città è in fiamme: l’acqua scende dal cielo.
Il taxi è nuovo e spazioso, e si ferma un paio di metri più avanti della fermata del bus.
Innesta la retromarcia, torna indietro un paio di metri, per caricare quei due senza che si bagnino il capo.

Entrambi – il giovane uomo e la giovane donna – salgono su un taxi sotto la pioggia.
La città lì intorno ha cambiato radicalmente veste.
Tutto è pioggia e diluvio, e vento freddo di mezzanotte.
Salgono sul taxi e lei dice: “guarda là. Quelli sono i Fiumi di Pietra, río de piedras, e nessuno sa dire perché si chiamano così”.

Il tassista si mette comodo e sistema la musica. Poi innesta la prima e dice: “dove volete voi”.
“Con questa pioggia non si può fare altro che andare nell’acqua, galleggiando”.
“E allora vi porterò lì”.

Il giovane uomo guarda avanti, nel vetro.
La giovane donna guarda fuori, nel vento.
Macchie scure , e colori vivi, e nitidezza che si scioglie.
Il giovane uomo e il tassista hanno bisogno di parabrezza pulito, di visione lontana, per tentare capire lo que tocará después. Alla giovane donna invece bastano le gocce sulla parte esterna del finestrino. È concentrata su quelle, chissà che verrà fuori da lì.

La Metrópoli si ferma sul confine della montagna, ne morde le vesti, ma non ce la fa ad aggrapparsi lassù.
La Montagna resiste e osserva tutti dall’alto.
L’atmosfera è selvática, umido olor di altopiano mescolato nell’aria elettrica, ma dentro il taxi tutto è asettico e si sta bene lì.
Il taxista lo dice esplicitamente: “voglio farvi sentire a vostro agio”.
Potete baciarvi, potete amarvi se vi va.

Il giovane uomo e la giovane donna viaggiano avanti nell’aria umida.
Sono seduti su un taxi, c’è musica diluita lì intorno.
Il tassista guarda dentro il parabrezza e anche nello specchietto retrovisore.
Ogni tanto sussurra una parola, che non é diretta né all’uno né all’altro, e forse in fondo nemmeno a lui.
Per tenere la rotta segue l’Oriente. Ci sono le montagne, di là.

Abril


01 Mag

Room

Piena consapevolezza delle cose.
L’urlo è sulla pelle, sotto la pelle, nella carne.
L’urlo è la coscienza, la fusione delle stelle.
Materia in viaggio siderale,
in cammino verso noi.

Noi che siamo neve che cade sulle cose
noi che siamo febbre, la febbre del rimpianto
noi che andremo avanti, perché non serve altro
noi che finiremo insieme, e non importa quando.

È una visione di luce andina, di asfalto in mezzo al giallo.
Di lampadina tropicale, “ci vedono dall’alto”
El pelo arrecho y negro, la forma del encanto
Tu cuarto en el invierno, para seguir amando.

Pero sobretodo es ausencia y deseo, es ganas de cambiar
la estrella del oriente, algo en que creer
es seguirte desde lejos, y verte triunfando
sentir orgullo de ti, de ti que estàs volando.

Sentir orgullo de ti, reconocer todos tus sueños
y olvidarse de los otros, de los que fueron mal
volver a la Argentina, al Tropico del Canto
volver para encontrarte, allà en el mismo bar.

Así que se pasa el tiempo, se van los calendarios.
Se nos fueron el espacio, los detalles y la geometría.
Seguimos siendo uno, la suma de las partes
Seguimos siendo juntos, bien lejos del desastre.

Because when you see the face of God, you will die


17 Lug

Because when you see the face of God, you will die

S’allontanano dal tempo
le immagini del presente.
La palazzina contro la montagna è uno scherzo arancione
a galleggiar tra la nebbia.

[“Giriamo intorno al problema e non lo affrontiamo”,
dice la signora del thé al suo telefono blu].

Istantanee dal lungomare:
“Crazy Show”.
“Live Slow”.
“Ingresso riservato ai cani”.
Giriamo intorno al problema e non lo affrontiamo.

Sul treno
antichi uomini d’oriente con la seta sul cappello
invocano l’aiuto del Signore per aprire la porta.
Il signore, distratto, non risponde all’appello
impegnato a selezionare il suono della playing list.

Un suono, un rumore, un cuscino per allontanare la gente.
Gli africani con i loro auricolari conoscono il metodo per dire di no.
Le anziane signore ammiccano e annuiscono.
Hanno visto sfuggire le cose
e non si riconoscono più.

“Ingresso riservato ai cani”,
si scusano al varco d’ingresso.
Poi accettano tutti, e distribuiscono braccialetti verdi.
La folla si accalca, si unisce, respira.
Giriamo intorno al problema
e non lo affronteremo mai.

Almeisan


19 Dic

Negli incontri nei reincontri vita abbozzata vita consumata piastrelle fredde sotto i piedi nudi l’odore di femmina ancora tra le dita biglietti vecchi di vecchi viaggi in metro archeologia industriale da convertire in formato .mov la password del wifi il libro di fotografie piante indiane vicino alla finestra lavare a mano un paio di magliette per averne fino a sabato almeno

e poi facce

facce gente e ancora nomi

il tipo della coinquilina l’amico dell’amico di Utrecht il giornalista di ieri mattina le loro foto appese sulla parete di fianco al letto dove dormirò stanotte

e poi storie

storie momenti e ancora storie

frammenti di vita separate che si intrecciano per un momento
desiderio di fuoco, tentativo di calore
storie che si accumulano sulle singole giornate
giornate che si riducono al dettaglio di un momento
incontri vita abbozzata
vita consumata
piastrelle.

Al-Baicín


16 Gen

Un cane bianco,
bianchissimo,
attraversa il vicolo.

Scivola attraverso le ombre lunghe,
passa leggero sopre le pietre del tempo.
Questo quartiere è il più vecchio d’Europa.
Questo quartiere viene dall’Africa.

Le stradine secondarie sono vicoli chiusi su un muro d’edera.
Lì in mezzo, un lampione spento, un mucchio di sabbia, un set di coperte.
Frammenti di vita anche là dove non te li aspetteresti.
Gli architetti hanno insegnato cosa significa la distribuzione nello spazio.

Un cane bianco,
bianchissimo,
che si contende con un altro cane
[anche questo, inspiegabilmente bianco]
una borsa dell’immondizia.

Ecco la città che per altri è giungla
e questo è il Sentiero del Lupo,
del Lupo Bianco.

L’animale ritorna più volte sui suoi passi
come un animale ci insegue, vuole sapere dove andiamo.
Si volta per un momento, un ultimo momento, per chiedere qualcosa.

Poi sparisce nel suo sentiero del cane,
del cane bianco.

Sciupando la tua vita in questo angolo discreto, tu l’hai sciupata su tutta la terra


11 Dic

La pace
La pace non è assenza di conflitto.

Sempre la stessa lotta per restare a galla e resistere all’impeto, a boccheggiare e sbattere i piedi fino a quando non ti accorgi che tutto è inutile e controproducente, esiste una forza che si chiama inerzia e segue una direzione e sistema le cose, esiste una forza centripeta che stringe tutto verso l’alto,ecco allora che il fiume scorre più tranquillo perché in fiume si converte, ecco che lo sforzo fisico abbandonando il corpo interte lascia spazio ai sensi, acqua sporca e limacciosa che trascina e attraversa terre diverse e abitate da popoli sedentari, palafitte in legno e fieno incastrate sotto le chiome degli alberi, contadini esploratori naviganti e sciamani, tutto scorre lungo il fiume e tutto è vivo e concreto per trenta secondi almeno, le vite degli altri che passano di lì, a portata di mano, a volte è un cenno di saluto a volte è uno sguardo di sottecchi a volte è voglia di fermarsi, ma il fiume scorre e una ragazza ci lava dentro i panni e tu vorresti dirle ti prego no, non farlo qua e non farlo adesso e lo dico per il tuo bene, acqua sporca e limacciosa è quel che troverai.

Il conflitto
Il conflitto non è assenza di pace.

All’ombra di un raggio di sole


06 Set

Gozando de la Boca

Sento le dita che scivolano e stringono, la materia che diventa trasparente.
Uno stesso suono impregna l’aria. Un’eco di qualcosa che ancora deve accadere, eppure già svanisce.
Un’eco di qualcosa che sta accadendo, si diluisce.

Nel paese da cui provengo, vivo e mi nutro di vicinanza come di lontananza.
E’ una terra senza appigli, nemmeno le rondini posano i loro piedi sui rami dei nostri alberi.
E’ un mare di sassi e scogli, tappeto di roccia sotto la consistenza liquida.

Il morso del desiderio
la carne che brucia
il cervello che si bagna di adrenalina
per difendersi dalle forme che lo assalgono.

Dove sei, in tutto questo?
In tutto questo, dove sei?
Nello spazio concreto del mio volerti.
Sei un pensiero, un’idea, una domanda, sei l’immagine racchiusa in un fascio di luce.
Da lontano io ti attraverso e ti sto dentro.
Da lontano copri il mio corpo e mi travolgi.

Al paese verso cui sto volgendo,
si vive di lontananza come di vicinanza.
I frutti della terra devono il loro sapore all’amaro in bocca di chi li coglie
anche l’acqua riporta il sapore di quel che non c’è.

Vado lì, lontano, per non smettere di essere.

E se tutto sarà un’illusione
[in-ludo]
allora saremo rimasti autentici.

Siamo la scia di lotte passate


10 Ago

 
Barber-shop

Un campeggio parrocchiale di montagna.
Tredici, dodici, quindici anni più tardi.
Suono impetuoso di torrente.
Forza longitudinale delle stelle: ritorno alla vita.

Incontri sporadici con l’esistenza, estati distanti
[estati distinte]
che si fondono nella patria solida di un’unica rugiada.

Kiki està aquì, como aquì estàn las atracciones fatales di mondi e modi diversi, lontani; l’incontro.
Cosa serve per avvicinarsi al sole?

C’è Herzog, c’è una borsa piena di sale, ci sono elementi di visioni future e morbosità passate che si fondono e si confondono, come se il cammino fosse una possibilità in conto terzi tra il salto di una cascata e un incipiente zigzag, la materia rarefatta dell’azzardo o un metodico percorso, il cammino sintetizzato in due concezioni diverse che entrambe si uniscono nell’immagine di un futuro in bianco e nero, le orme degli scarponi e l’eterno mentire dell’acqua.

Sono qui, nella sfida primordiale della materia artificiale che si insinua tra il mistero grottesco del destino naturale, e intorno a me c’è profumo d’incenso nel suono dell’erba, c’è l’osservazione distaccata e la pulsione dell’istinto, c’è l’illusione audiovisiva e il fotogramma bianco-incandescente del fulmine che la interrompe, ci sono tentativi di amicizia nelle loro infinite rappresentazioni, c’è il movimento e la pietra e il movimento rimasto incastrato nella pietra, e la pietra scolpita a simulare un movimento.

Pausa. Herzog, dai suoi diari nella selva: “Era mezzogiorno e c’era silenzio. Mi sono guardato intorno perché tutto era così immobile. Ho riconosciuto la foresta vergine come qualcosa che mi era familiare e che era dentro di me, e ho capito che l’amavo: ma in malafede. A quel punto mi sono tornate in mente le parole che in tutti questi anni erano rimaste a turbinare, a vorticare dentro di me: Arquebuse, lettera pastorale, novantuno. Cauterizzazione, mostro, pane della carità. Operoso, sposa del vento, massiccio. Solo in quel momento ho avuto la sensazione di poter sfuggire al vortice delle parole”.

Sento le ginocchia resistere, nonostante il peso dello zaino, che spinge.
[Non sono ancora passati due giorni da quando ho visto mio nonno al pronto soccorso, con il panico negli occhi di chi non riesce a seguire i discorsi dei medici, ma capisce comunque che il cervello ha deciso di cancellare una gamba].

Sento lo sforzo del menisco ma sento anche il lavoro del cervello, mentre si misura con una nuova idea di equilibrio, da mediare con il piano inclinato e imperfetto e pietroso.
Penso a Kiki, a ieri sera.
A quando ci siamo addormentati riflettendo sulla nostra condizione di privilegiati.
Stiamo vivendo – da quanto tempo ormai? – immersi nel lato luminoso dell’esistenza.
A Kiki non piace la parola “privilegiati”: sostiene che si tratta anche di responsabilità.
Abbiamo deciso di vivere fino in fondo, è questo il discorso.

Arrivo all’alpeggio e il pastore non c’è più.
Tre cani presidiano il territorio, iniziano ad abbaiare quando mi avvicino troppo al gregge.
Intuisco che la tattica migliore sta nel circumnavigare al largo l’alpeggio.
Esiste una linea immaginaria, che scatta quando i cani s’alzano in piedi.
Riesco a intendermela con i cani, finisco in mezzo al torrente.

Basterà seguire il corso dell’acqua per ritrovare il campo-base.

Bip.


01 Ago

Un re.

Verso l’alto.
Metà del cammino coperto dall’umido.
Acqua ovunque, come se anche le pietre si stiano sciogliendo in altra materia.
A metà cammino c’è un larice seicentenario, un monumento vivente all’annullamento delle funzioni vitali.

In cima, scenari imprevisti.
Un altipiano si nasconde con una sorta di insano pudore, mentre si spoglia al sole delle dieci di mattina.
La camera si accende da sola quando incontra alberi abbattuti dalle valanghe.
L’idea era filmare fiori, prima che la luna d’agosto appiattisca le differenze nei colori.
Ma laggiù in fondo, un tipo col metal detector.

C’è ancora molta neve nell’Alpe Marittima.
La comunità scientifica, i guardaparco, gli esperti, tutti sono indecisi sulla lettura del fenomeno.
Qualcuno sostiene che si morirà per un caldo a cui non si potrà più sfuggire, un caldo che laverà via tutto.
Un’altra teoria invece parla invece di una nuova glaciazione. Il cambio climatico soffocherà la vita attraverso il freddo.
In ogni caso tutto accadrà dopo il 2025.
E’ il 2025 il punto di non ritorno, prima dell’irreversibilità.

L’uomo col metal detector procede con le cuffie.
Quando il “bip” diventa più intenso la terra nasconde qualcosa di artificiale.

Anche l’uomo con la camera procede con le cuffie.
Quando il suono del vento diventa preponderante, il cielo suggerisce qualcosa di soprannaturale.

Cartucce sparate
monete sabaude
brandelli di lattine anni ottanta.
L’uomo col metal detector scandaglia, scava, raccoglie.
A vederlo da qua, pensa l’uomo con la telecamera, sembrerebbe una punizione.
Una condanna in stile dantesco: in cammino per l’eternità, sotto le nevi e le pareti immobili, a setacciare l’infinito.

Cinque stambecchi riempiono lo schermo della telecamera.
A vederla da qua, pensa il tipo con il metal detector, sembrerebbe un’esecuzione.
Il tipo della videocamera, armato del suo supporto metallico, sembra un killer implacabile, alle prese con animali che sono soprattutto corna e che rimangono immobili.
L’esecuzione di un boia condannato a togliere la vita a chi non presta attenzione a simili inezie.

Dalla montagna scende un tonfo spalmato su livelli di eco diversi.
Il metal detector registra una serie di vibrazioni sensibili che risalgono dal terreno.
Il microfono della videocamera capta il movimento del tempo sotto un’altra forma, onde sonore.
La neve ancora incollata alla roccia, sotto la molestia del sole di luglio, spezza un’altra pietra verso il tempo in cui la terra sarà nuovamente piatta.

Gli esperti di climatologia hanno di che dibattere, su questa massa che si divide.
E’ stato il calore della neve a provocare il crollo?
E’ stata la luce glaciale del sole a spaccare la pietra?

Il tipo con la videocamera ha spostato il raggio d’azione dell’obiettivo.
Nello schermo adesso c’è l’uomo col metal detector.
Sembra quasi di sentire il suo bip, in cuffia.

Diary of a Baltic Man

Real Eyes. Real Lies. Realize.


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