Archive for the ‘Vita’ Category

Final frontier


28 Ott

The final frontier

Giù verso il deserto, hermano, tieni la tua strada. Non lasciarti condizionare da quei cartelli con il punto esclamativo, non ascoltare le voci di chi vuole imporre una direzione. Niente e nessuno ti impedisce di infilare una di queste stradine sterrate con le pecore a bordo strada e i fili della luce scoperti, però tutti, per un motivo o per l’altro, ti spingono a entrarci, a restarci impantanato. Ti vogliono vendere la miglior cioccolata del mondo, ti consigliano di fermarti a mangiare, ti spingono a visitare il centro di Marrakech, ti spiegano che “puoi fare una prova per un tempo e poi vedremo”, e hanno già pronta la loro condanna. “Ti sei preso le tue responsabilità: non puoi più tornare indietro”.

Non tornare indietro, mai. Ma non svoltare nemmeno a destra o sinistra, non lasciarti tentare. E’ giusto assaggiare il vento dell’Atlantico che filtra tra le montagne intorno a Guelmim, ma puoi farlo accostando per un attimo a bordo strada, senza scendere troppo tra le vie degli uomini. Non dimenticarti che più avanti c’è un’altra regione, più avanti ci sono altri scenari, più avanti c’è il deserto. E non avrebbe senso fermarsi a metà, spegnere la macchina nel prossimo villaggio, fermarsi alla prima oasi senza aver dato il tempo alla lingua di rinsecchirsi. E allora vai avanti, continua, riprendi il serpente biancastro tratteggiato sull’asfalto e punta dritto verso il Sud.

Se troverai il deserto, avrai raggiunto la tua meta.

Inbox – oggetti abbandonati sugli scaffali


17 Ott
Latito, hai ragione!
Ma avevo i miei buoni motivi. 
Il principale dei quali è: non avrei saputo che scrivere.
L’ambientamento a questa ultima faccenda ha assorbito le sue buone energia, 
tra chilometri sotto le suole e sana impotenza di fronte 
a certi problemi tipicamente caraibici,
tipo trovare nella Bombay del centro di Barranquilla tutto 
ciò che può servire in una casa, qualcosa tipo Ikea dei poveri.
Adesso, però, tutto sta prendendo la sua giusta piega.
I miei giorni iniziano con una secchiata d’acqua addosso nel patio dietro casa,
poi tutto ciò che succede si sta rivelando piacevole.
Come previsto, sono bastati pochi chilometri per separare 
nettamente Barranquilla da me, 
con il piacevole risultato di eliminare l’eliminabile.
In altre parole, passo buona parte del mio tempo in piacevole solitudine, 
forse perchè, ambientalmente parlando, il contesto aiuta. 
Oggi è mercoledì, per esempio.
Ogni mercoledì sera, per esempio, a Salgar la luce misteriosamente sparisce.
L’immagine di questo pueblo a lume di candela, con le stradine di sabbia e il
boato dell’oceano in sottofondo, è un momento di puro calòr.
Poi c’è l’università. Mi hanno dato un ufficio, mi hanno dato un computer,
mi hanno dato un corso di Italiano 1 e mi danno del lei. In più, mi danno libero accesso
alla mediateca universitaria, non solo ottimi libri – in italiano – 
ma anche una caterva di dvd. Non mi lamento. 
I miei studenti sono un bel gruppo, dai 17 ai 40 anni,
ed ormai viaggiamo per la sesta lezione, tra grammatica arti e cultura generale.
Ho una certa libertà nei contenuti, cerco di approfittarne.
Anche se ciò comporta sostituire tiziano ferro con giovanni lindo ferretti.
Venerdì, invece, inizio le lezioni della specialistica.
Due materie già da adesso, due materie più avanti.
E tu invece? Sapevo da fonti certe che eri partito in bici verso oriente.
Calcolando la velocità di internet in Val Mongia, 
il messaggio è stato qualcosa tipo
“è partito verso la romania in bici e treno. Grande”. Vago, ma credibile.
E come procede la cosa? Sei in solitaria? Se non è blasfemo dirlo, ti invidio.
Hai poi comprato un volo per queste terre maledette?
Vedrai tu come organizzarti, ma nel caso piombassi a Salgar
chiedi per la Casa de las tres Piedras ;-);-)
Spero di leggere qualche tuo intruglio di birra e sudore.
hola hermano!!! como te va la vaina?
qui sono praticamente al giro di boa di metà missione. Quasi a tirare un bilancio. Prima considerazione che sicuramente sarà difficile che possa resistere in italia più di qualche giorno. Seconda considerazione è che è un’esperienza che ti muta di dentro. Poi la fortuna di aver visto un popolo che difficilmente avrei potuto conoscere in altro modo.
Potrei accettare il consiglio di enzo ed andare a vivere in un luogo sperduto ed isolato. Saprei comunque di aver vissuto.
Mai come in questi giorni sono lontano dalla realtà materialistica occidentale. Per certi versi mi sono ancora più isolato di quello che già il posto comportava.
In questi giorni mi tornano alla mente le serate a salgar.
Luce soffusa e voluto isolamento. Già allora.
Non male direi.
Inizio a preparare lo zaino per il lungo inverno. Camminando.
Nulla può valer lo sforzo di fermarsi.
Si tornerà all’origine e alla migrazione.
Hola,
e beato te che puoi permetterti bilanci. 
Qua e' tutto un bombardamento indiscriminato di...nulla, alla fine.
Effettivamente il tempo scorre, da quelle parti probabilmente 
piu' lento del previsto, ma in un attimo sara' comunque tempo di migrare.
In questi giorni di troppe luci e antitetico isolamento (quant'e' lontana Salgar!)
mi sono accorto che non ha poi cosi senso, quello che continuano a ripetere tutti,
da queste parti. Voglio dire: il pandino delle poste,
il dover attrezzarsi per l'autunno, i programmi a lungo termine, 
ancora una volta, li lascio agli altri.
Quello che ritorna con insistenza nella cabeza, invece, 
e' il progetto di viaggio verso est.
Iran, Turchia, Inguscezia, donde sea. 
L'importante e' non avere una meta, solo un po' di adrenalina
e la sana sensazione di sentirsi vivo. 
I quattro soldi del signor posteitaliane vanno spesi in qualche modo,
e mai come in questo momento sento il bisogno di fare un qualcosa
di veramente utile; fuggire, per esempio. Un taglio netto.
E quindi non so che sara' nel tuo zaino per il lungo inverno.
Non so quale percentuale di tutta la carne che sto cercando 
di gettare sul fuoco cuocera' fino a diventare qualcosa di concreto.
In ogni caso, io ci so(g)no.
Sogno isolamento coniugato con movimento.

Controsole


28 Set

Coloured shock

E’ tutto vero; non è vero niente.
Quello che abbiamo vissuto, quello che siamo stati.
Così veri, così intensi. Così pieni di un “noi” che non riesco a racchiudere in una forma, dipingere di un colore, fischiare tra le labbra.
Siamo musica violenta, siamo una melodia che ritorna nell’inconscio della più spietata lucidità, siamo la musica di Frank Zappa, imprevedibile e costante, onirico onanismo, palliativo della realtà.
“Eppure un giorno tutto questo è stato”, mi dirai – sottoforma di visione?

Ricordo la tua voce, ricordo la tua saliva, ricordo il calore della tua anima nel contatto epidermico con i miei segreti. Ricordo di averti vista nuda, di aver dipinto un’immagine indelebile, di stringere tra le mani un paradiso che è già altrove. Ricordo cinque minuti fa.
E ricordo il sapore delle tue lacrime, il peso delle tue parole, la mia leggerezza nel raccontarti chi sono e chi vorrei essere, chi sei e chi vorrei.

Ricordo un tempo sospeso sulla vita degli altri, e io e te che succedevamo a lume di candela, e la tua bellezza e la tua poesia, e una primavera che ha dato un senso a tutto, anche a noi.

Omaggio ad Henry Miller


22 Set

Tropico del Capricorno e’ per davvero perdizione, spazio vuoto, promiscuita’ di sentimenti, meteoriti che caddero dal cielo e pezzi di amore lasciati a metà.

Homenaje a Henry Miller

Endlessy


09 Set

Room 

Tra le vibrazioni del subwoofer e gli applausi di chi ha appena visto arrivare un amico coreano travestito da Spike Lee.

Mi parli di te, mi racconti i miei peccati e la tua storia, mi racconti un’epoca in cui tutto succede.

L’Unione Sovietica dei tuoi genitori, gli anni novanta di tuo padre, in cui ha perso tutto ed è fuggito a Londra. Gli occhi di tua madre nel momento in cui ti dice “cerca un matrimonio e fuggi, fallo per me”.

Cerco di immaginare la faccia di quel soldato statunitense e psicopatico sposato su internet mentre la festa raggiunge la sua ventesima ora ormai. Francesi e russi beveono insieme la stessa vodka di quell’appartamento che hanno vissuto quattro anni fa, sul Baltico.

Tu continui la tua storia ed è la loro storia, è la nostra storia, il nostro Sessantotto generazionale, una rivoluzione in cui non c’è più niente da conquistare ma solo qualche detrito da difendere, non più false illusioni ma la certezza di qualche migliaia di realtà virtuali, mondi possibili da immaginare, costruire e distruggere.

Domani sarai in Catalogna, dopodomani in aer per la California. Nessuno sa bene quel che sarà di questo novembre, nessuno, al nostro tavolo, ha una vaga immagine del domani.

E’ un tarlo, non credere che sia quel che io voglio, mi dici. C’è sempre qualcuno che decide per me, qualcosa che mi spinge e mi attira, e non ha senso chiamarlo destino. Non credere che sia facile rendersi conto che negli ultimi dodici mesi non ho trascorso più di cinquanta giorni in uno stesso luogo, ma anche se avessi voluto…. visti, permessi di soggiorno, sessanta giorni di contratto al massimo, google che disegna nuovi scenari possibili.

E una volta ogni sei mesi, a Pietroburgo, a cercare tracce di una casa o una famiglia, a cercar tracce di quel che rimane, a spingere fino in fondo l’acceleratore dei giorni nostri.

O forse solamente a cercare qualcuno che possa raccontarti una favola, mentre ti addormenti nel blu.

Autobiografia di una musa indigente


15 Ago

Mi piace cenare sola e in piedi nella vecchia cucina di Quito. Cena, o una colazione un po’ tardiva: uova, pane e succo d’arancia. Devo aspettare che arrivi la consegna a domicilio delle pillole anticoncezionali, sono troppo pigra per uscire dalla mia stanza. Certo, se qualcuno mi ricordasse perché coscienziosamente ogni notte prendo le pillole, allora sì, mi verrebbe voglia di uscire. Non ho mai letto i libri che ho detto di aver letto, né ho visto tutti questi film di culto che tutti hanno visto, però in cambio, nascondo come un gran segreto che mi diletto con documentari sulla meccanica quantistica, con la teoria del vuoto e delle stringhe, e di tanto in tanto con qualche saggio postmoderno.

Sono molto più giovane di quel che si potrebbe pensare. Ho compiuto da poco 22 anni, sono nata ai Caraibi e ho vissuto a Quilmes, sulle Alpi marittime, a Kingston, nella città di Panama, a Valparaíso, a Jujuy, nella foresta amazzonica e a Quito, dove sono tuttora. A Quito, o nella stanza della lavatrice, molto meglio. La luce non funziona bene, a volte si accende, a volte no. Come tutto il resto. È piccola, umida, blu, fredda, solitaria. Come me. Mi dichiaro un’amante incallita, una diva in decadenza, una musa indifferente, un demonio senza poteri, una regina senza corona e un Dio senza credenti. In poche parole sono un maledetto disastro.

Per cuocere le due uova che sto mangiando ho bruciato la padella. Poi mi sono bruciata quando l’ho messa nel lavandino per farla raffreddare. Ho rovesciato il poco cioccolato che mi sono preparata, l’ho versato fuori dalla ciotola. Dovrei pulire e invece verso il cioccolato sul pavimento. L’immagine che do in questo ridicolo istante è quella di una tipa con i capelli più aggrovigliati di wikileaks, con pantaloni che mi cadono per l’estrema magrezza e con un fazzoletto comprato di seconda mano nel centro della mia amata città avvolto al collo. In piedi, mangio le mie due uova con un pezzo di pane ma non lo sopporto. Lo stomaco vorrebbe vomitare ogni boccone che ingerisco. Diarrea costante. Sono i vermi della vita che vivono dentro di me come un esercito di vili canaglie che fanno che ogni sentimento, esperienza, conoscenza si trasformi in merda. Una merda liquida, dolorosa e puzzolente.

Sono brava al gioco, ho questa maledetta espressione da diva in decadenza alla quale nessuno si può negare. Possono accadere due cose, o ti spaventi o ti intrighi. La maggior parte della gente opta per la prima opzione, scappa correndo. Suppongo che la diva in decadenza si possa quasi comparare a una strega cattiva. Pero non vi spaventate, non ho poteri. Questo sguardo freddo e irriducibile nasconde molto di più. Ma sarà proprio questo che spaventa, la profondità del vuoto.

I miei occhi sono neri, nerissimi, così come i miei capelli. La mia pelle è scura, bruciata dal sole. Ho sofferto molteplici morsicature di insetti nella selva, conservo ancora alcune cicatrici. Mi piacciono. Mi ricordano quanto sia duro il mondo reale. Ho labbra senza speranza, gonfie per la sete e viola per il freddo. Poche volte si vedono nella loro forma naturale di bocca immobile. Il mio sguardo si perde costantemente nel vuoto. In un punto fisso e inesistente. È difficile seguirmi. Lo so. Ho queste mani cadaveriche, lunghe e ossute, molte lunghe. I pittori impazziscono con queste mani, gli altri uomini… anche. Non possono essere uomini comuni, poiché quelli comuni sempre si intimidiscono davanti a questi occhi; il loro membro non si drizza. Non ho tempo da perdere, caro.

L’uomo che mi desidera deve sopportare questo sguardo freddo di morte e fottermi per salvarmi. Deve riuscire a dominarmi mentalmente. È la guerra e io voglio essere la vittima mortale. Ci furono alcuni coraggiosi nella mia storia di amante incallita, alcuni più di altri. Il primo finì per scappare. Il secondo ancora resiste, scappa e torna, scappa e torna. Ce ne fu un altro che non seppe essere sufficientemente perverso. E c’è un musicista eremita che ora dovrebbe essere chiuso tra le sue quattro pareti, di fronte allo schermo come me e lo amo puramente. E ne ho appena conosciuto uno, ma uno davvero. Parlare di lui? È difficile.

Riassumendo potrei dire che è cielo e inferno, nello stesso tempo e nello stesso spazio. Io, la musa indigente, posso avere pretensioni ogni tanto? Però il cielo non fa per me. Neppure l’inferno. Vivo e merito di vivere in un limbo senza tempo né spazio. Solo sento il rombo dei motori, respiro il fumo delle sue enormi ciminiere, mi alimento delle sue sostanze chimiche, e a volte, rare volte, sogno. Però neppure questo vale la pena. Se voglio arrivo alla mia anima e rifletto sul maledetto amore. La casa è vuota; posso svestirmi completamente. Però sono sicura che non vorrete vedere questa scena perturbatrice.

Domani è sabato, domani è lunedì. Domani è venerdì. Domani è la speranza di un risveglio meno doloroso. Però è impossibile sentire il desiderio di aprire gli occhi.

Lonely girl in the bathroom

Traduzione di Fabrizio Fontana dal blog xéhismo.wordpress.com.
Foto di Baltic Man, Salgar 2009.

Senza continuità di soluzione


18 Lug

Dietro le spine

E’ una storia che passa, trasforma e ci trasforma.
E’ una storia a movimento ciclico, si muove come una spirale sotto i nostri piedi, ripropone gli stessi paesaggi, senza specificare che è la prospettiva, ad essere cambiata. Le figure sono sempre quelle, ma i colori sono ora leggermente più sbiaditi.
E’ una storia in salita e non concede attimi di tregua, lo sguardo incollato sull’asfalto e il sole aumenta la sua intensità, è una storia in salita e la vertigine è sempre più grande, i paesaggi e i livelli di lettura si accumulano sullo sfondo.
E’ una storia a senso unico perchè non conosce retromarcia: l’unica strada per tornare indietro è la caduta, l’unica direzione possibile è una freccia bianca su sfondo blu, e un po’ più in là c’è sempre un bivio, o una curva.
E’ una storia senza senso ma è tutto quel che abbiamo, tutto quel che vorremmo avere, e l’unica difesa è nel continuare a camminare.

Dromologia


15 Lug

Parole e sguardi di circostanza. Il tipo di quei lontani giovedì notte passati intorno al Risiko è apparso inaspettato in ultima fila. Giacca e cravatta, capelli impomatati. Chi l’avrebbe mai detto? Quattro anni almeno senza sapere nulla di lui, nient’altro che notizie di terza mano. Ha la faccia emozionata, pare perfino contento di rivedermi.
E adesso? Cosa farai? Quali progetti? Lo sai che il nostro vecchio amico si è trasferito a Londra?
Poi mi parla della sua tesi. Inspiegabilmente convinto che la questione possa rivestire una certa importanza.
Quando ormai ci siamo detti tutto lo vedo bisbigliare con un signore con il pizzetto e una donna con la piega sul lato sinistro. Anche loro sono emozionati, anche loro muovono gli occhi a destra e sinistra, nervosi.

Cinquantacinque minuti più tardi tutto è finito. Le notti dell’Amazzonia, la vecchia venditrice ambulante di Kaunas, il suono disordinato di una chiva, le melodie del tropico. Finite anche le scarpe, asfalto che non scorre più, sotto i piedi. Una storia iniziata cinquecentocinquantuno articoli fa, una storia disordinata e folle. Accademia itinerante. Universidad del Mundo. Lectio magistralis tra le puttane e i marinai filippini di Buenaventura. Laurea honoris causa al poeta seduto all’incrocio tra la carrera 45 e la calle 79 di Barranquilla. Libri e libri volati via tra i sedili dei bus, degli aerei, dei treni, degli alberi. Quaderni di appunti che sono nomi di persona e indirizzi mail, mappa mentale di un’avventura delirante.

Tutto finito.

La signora bionda ha detto la dichiaro dottore in.

Resta il mare, acqua grigia e sporca di sale.
Il vero colpo di genio è stato l’aver scelto una sede universitaria vicina al mare.

Sonorità diverse


04 Lug

Il Castagneto Acustico

c’erano giochi di fuoco a immergere il verde. due clarinetti che suonavano weber, e qualcuno credeva veramente di essere nel settecento. musicisti indigeni con strumenti africani, a riscoprire le vecchie credenze dei sabba di san giovanni. un uomo raccontava una strana storia in lingua arcaica, nessuno ci ha capito niente, ma tutti ascoltavano in silenzio. c’erano i fagioli d’una volta e gente che parlava lingue straniere, c’era il pane cotto da lidia intorno al suo forno di pietra. c’erano luci che ballavano e accendevano il buio, e una musica morbida stretta intorno a sessant’anni di silenzio. c’era moncho che gridava il suo caribe lontano, tutti ascoltavano rapiti, il linguaggio universale era la musica. c’era christian che guardava tutto questo accadere sotto la montagna che fu di suo nonno, e non aveva più nient’altro da dire.

Continuum spazioatemporale


09 Giu

…dice che c’è un unico filo invisibile che ci lega tutti, anche se noi non lo sappiamo.
Anche per questo ogni volta che passa davanti al vecchio cimitero di quella borgata ormai persa, si ferma.
Arresta la macchina in mezzo alla strada, tronca i suoi discorsi a metà, rimane in silenzio mezzo minuto.
Di fronte al cancello arrugginito di un cimitero lontano duemila km da casa sua, nel silenzio di chi è passato su quella terra cent’anni prima di tutti noi, tra le tombe bianche di chi non è nemmeno più un nome e non era ancora una fotografia, lui sente la forza del filo invisibile.

Diary of a Baltic Man

Real Eyes. Real Lies. Realize.


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