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danzamacabar


11 Set

Una danza macabra

1
Lui sta seduto con lo sguardo fisso verso il piatto.
Sulla sua schiena, trent’anni di storia andata male, e una dignitosa discesa verso storie prevedibili.

Lui non è il suo uomo, ma potrebbe esserlo.
E’ il suo uomo, ma potrebbe anche non esserlo.
Lei forse fa la fisioterapista, ed è ormai uscita di casa.
Una storia d’amore impossibile con un bastardo qualsiasi, tutto ciò che lei vorrebbe. Lo dicono i suoi occhi, che si fermano contro il colore delle pareti, non riescono a superare la stanza. Lo dice la sua pelle, il leggero tremito che la pervade.
Si guardano.
Non si toccano.
Si guardano, e non si toccano.
Stanno insieme da quattro anni.

2
Anche lui sta seduto tra i tavolini del bar.
Un po’ più in là, vicino al frigo dell’antica gelateria del centro.
E adesso?,
lei gli chiede.
E adesso.
Abbiamo appena fatto l’amore.
[o era solamente sesso? O era violenza? O un antidoto. Un antipulci].
Hanno appena fatto l’amore, e sulla torre del duomo suonano le campane.
Domani bisognerà andare a conoscere quei musicisti, svegliarsi alle nove, e ricordarsi di prendere il pane, prima che i negozi chiudano.
E adesso, francamente, non si sa cosa significhi.

3 bis
Lui intanto continua a parlare.
Proprio qui, davanti a me.
E’ seduto al mio tavolino.
Sta inequivocabilmente parlando con me – o quantomeno, “a” me.
Ho dovuto lasciarla perché mi sono reso conto che potevo desiderare un’altra, mi capisci.
Non capisco. Continua.
Credo che l’oggetto del tuo amore debba includere tutto. Lei deve essere la mia confidente, la mia amica, la mia bambina, la mia puttana, la mia amante, la mia compagna di carezze, la madre dei miei bambini, il volto dei miei desideri, tutto.
E se manca uno, uno solo di questi elementi?
E’ la fine.
Appunto.

6
Lui. Non c’è. E’ una voce rinchiusa in quella scatoletta nera.
Lei gli parla addosso. Quando la conversazione si scalda, le si illuminano leggermente di rosso gli angoli della fronte.
La telefonata dura da qualche minuto ormai. Per la prima volta però sento quello che dicono.
Quello che lei dice.
Quello che dice lui, è bello immaginarlo.
Non lo so: non ti sembra che in un certo modo
tutto sia già stato detto
e tutto sia ancora da dire?

Forse tutto è stato solo sussurrato.
Forse si ha paura a iniziare a gridarlo.

Ocean Breathe (e interferenze moleste)


21 Apr

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Invidio il tempo in cui la lontanza era entità tangibile, e gli Oceani erano Oceani.
Quell’epoca ormai andata del “mollo tutto e cambio vita”, self-balla raccontata da milioni di sè stessi ad altrettanti milioni di sè stessi ma che perlomeno lasciava il seme della speranza. Ormai non si può più.
Non si può più costruire un programma e vivere di sogni perchè il Vecchio Mondo s’intromette, non esistono più le barriere, e gli Oceani non sono più Oceani.
Nessuno può più immergersi nelle scuse della lontananza, psicofisicaemotiva, per costruirsi castelli duraturi nel lato di qua: la falla s’incontra nella Casella Mail, tremendo uccello del malaugurio quotidiano, che senza navi e senza aerei non si sa come attraversa gli oceani.
E’ scomparsa la sudditanza agli spazi fisici, precisi contenitori di regole rigide a cui non si poteva scappare, e con lei sono scomparsi non solo i muli e i cavalli ma anche i treni e i piedi, per rimanere agganciati a metalliche ali.
E’ andata perduta l’arte dell’ubiquità, il mistico incedere di vite parallele intercomunicanti su pezzi di carta gialla, è andata perduta nei vuoti telegrammi giornalieri imposti da entità lontane.
Non c’è più niente da raccontare, dall’altra parte del muro, e non perchè si sappia già tutto ma perchè nessuno le vuole più conoscere, ho visto dar fuoco a montagne di libri per produrre batterie al litio.
Tutti insieme abbiamo rinunciato alla magia della solitudine, incatenandoci l’uno con l’altro allo stesso albero di piombo, e scappando tutti insieme e tutti insieme nella stessa direzione ci siamo ritrovati in massa, dall’altro lato dell’Oceano.

Mi parli di cose che non voglio sentire, ti infili in cuniculi bui per raccontarmi metriche complesse, e semplici, e inutili. Mi annoi. Ti ascolto solo quando mi urli addosso i miei fallimenti, mi rendono più dolce la brezza al rhum. Dimmi dove devo essere, scrivimi cosa devo fare, allega alle tue mail un paio di manette. Cercherò di scappare ancora più lontano.

p.s. I piedi son di Leo.

Diary of a Baltic Man

Real Eyes. Real Lies. Realize.


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