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Biutiful


18 Set

Superati gli effettismi narrativi con cui aveva firmato Babel, il regista messicano Alejandro Gonzáles Iñárritu ci restituisce integro il suo gusto per un dramma devastante e convincente, ritrovando quell’inconfondibile stile che aveva saputo esprimere in 21 grammi. Nessun raggio di luce entra tra le fessure dei 138 minuti di narrazione di Biutiful, nessuna speranza per un insieme di figure che strisciano sullo sfondo di un paesaggio vagamente simile a un quadro impressionista, oscuro e desolante. La Barcellona che ritrova Javier Bardem non è più quella allegra e colorata raccontata in Vicky, Cristina, Barcellona, ma un collage multietnico dove gli stranieri sono immigrati clandestini e non più turisti, impegnati in una lotta per la sopravvivenza che coinvolge e assorbe tutti i protagonisti del film. E l’amore messo in scena è quello di un padre verso i suoi due figli, nel momento in cui la condanna di una malattia incurabile lo spinge a spendersi fino all’ultimo, pur di garantire la sopravvivenza dei suoi piccoli. Oltre che una conferma del talento di Inárritu, Biutiful è però un monumento a Javier Bardem. L’attore spagnolo si carica sulle sue spalle il peso dell’intera trama, mettendo in scena un personaggio completo che riesce ad esprimere, al tempo stesso, energia e sensibilità, bontà e contraddizione, speranza e disperazione. Una dualità di elementi contrastanti espressa per tutta la durata del film, in una sorta di zig-zag continuo, in bilico tra un mondo tremendamente materiale e l’assoluta pace della morte, che si sposta costantemente dalla realtà al desiderio, dai capannoni dei quartieri portuali di Barcellona alla fotografia intima che esalta la bontà del protagonista, Uxbal. Biutiful è probabilmente uno dei film meglio riusciti della stagione, quasi sicuramente, il più pessimista. La dichiarazione di intenti, dopotutto, è chiara fin dal titolo: l’errore ortografico sembra comunicare un abbaglio cosciente e sottile, come a voler sottolineare che anche in ciò che può apparire “bello” si nasconde in realtà un qualcosa di sbagliato. L’unico pensiero positivo che può ricavarne lo spettatore, insomma, risiede nella consapevolezza di tornare a casa e ritrovare un letto e un pasto caldo. Al prezzo però di scoprire, una volta di più, che presto o tardi la vita potrà presentare il conto.

[Recensione premiata al concorso Scrivere di cinema 2011]

Diary of a Baltic Man

Real Eyes. Real Lies. Realize.


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