Luci di un marzo d’autunno, riflessi di un tempo australe.
Ho un certo fardello sulle spalle. Una bambina che si chiama come la primavera, quattro o cinque anni di età , capelli biondi e sguardo accattivante. Quando avrà ventiquattro anni, capelli biondi e sguardo accattivante, sarà una ballerina di opera. O una cassiera di farmacia. O una ragazza madre, come sua madre, ma questa è un’altra storia.
La gente mi guarda, mi scruta. Non sono i pantaloni a brandelli, non sono gli oggetti disegnati nella testa gialla della mia t-shirt nera (un  cacciavite, un binocolo, un martello, una bottiglietta di cianuro, un gelato, un paracadute, uno stetoscopio. Un annaffiatoio un paio di forbici una macchina fotografica). La gente mi scruta perché cerca di capire a chi somiglia quella bambina che sta cantando sulle mie spalle, a me o alla giovane negrita di fianco a me, che a sua volta ci raggiunge con un bambino più grande accanto? Lei sembra giovane, troppo giovane per essere la madre del bambino, eppure lui le somiglia. Ma la bimba somiglia a me. E io non assomiglio per niente, per niente, alla negrita che mi accompagna e si avvicina e si allontana per cercare la farina di grano 000. Si allontana. Con il bambino al seguito. E io rimango di fronte al macellaio con la bambina sulle spalle, quella bambina che vuole le patatine al formaggio e parla e parla e canta, e una signora dalla faccia simpatica mi osserva mi scruta mi squadra la osserva la scruta la squadra mi guarda le mani le guarda le mani e si dice che effettivamente potrebbe essere mia figlia ma anche no, dopotutto.
-Un chilo di picada comune, grazie.
I macellai sono anche psicologi e sono uomini comuni in ogni angolo del mondo, come se fossero al servizio di una missione, come se la carne sia una scusa.
Il macellaio parla e parla di un documentario sui complotti del mondo mentre la signora accanto mi guarda, e il suo tormento non si risolve: la mia negrita torna con il bambino e con un pacchetto di farina ed è vero che visti da una certa distanza potrebbero essere madre e figlio, ma lui è troppo grande, lui è troppo grande e lei è troppo giovane. Ma chissà .
La bambina invece potrebbe essere figlia mia, condividiamo colori e argomenti, la bambina si tappa la bocca con le due manine sopra la mia testa quando le dico che non ci saranno patatine al formaggio se si continueranno a nominare patatine al formaggio.
Il macellaio continua a tagliare continua a parlare.
-Io mi ricordo. Quando ero bambino, alla televisione ci mostravano film con diavolerie elettroniche per comunicare a distanza. Poi, hanno iniziato con le porte che si aprono quando riconoscono l’occhio del padrone di casa. Solo fantascienza, si diceva. Eppure è provato che Hollywood anticipa di quindici anni la realtà . Oggi iniziano con gli auricolari nelle orecchie e tra vent’anni avremo protesi elettriche nelle nostre carni. Ho messo un chilo e venticinque, lascio o tolgo?
La signora osserva i peli delle mie braccia, biondi come i capelli della bambina sulle mie spalle. Io stesso quando avevo cinque anni avevo i capelli biondi come la bambina sulle mie spalle, vorrei dirglielo per complicarle i calcoli di compatibilità genetica.
-Undici pesos, compañero.
Cerco nelle tasche banconote stropicciate e monete varie, mentre la mia negrita tiene d’occhio il bambino di sette anni che sistema la carne nel carrello. Buenos Aires là fuori è storia di periferia e di epoche lontane, è Italia anni ’80 a Fiat Duna e Fernet Branca. Il macellaio pulisce i coltelli per servire la signora e si prepara a una nuova conversazione. I macellai, i macellai non hanno clienti ma discepoli, cedono carne mista a saggezza. Una mano insanguinata tende verso di me a mo’ di saluto e sulla mia testa lancia un cenno alla bambina ormai silenziosa.
-…beati loro, dopotutto. Che se la godano il più possibile. A proposito, sono figli tuoi?