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Arde


14 Giu

Arde.
Arde di materia e carne viva.
Un uomo con la camicia rosa e suo figlio con lo sguardo allucinato, persi nel Cimitero delle Balene Cadute, percuotendo grossi alberi cavi, come fossero  – perché sono – materia viva.

Cercano il suono e inseguono il sogno.
Una chiara visione confusa, un’idea di armonia. Un sogno che è bisogno di suono, percuotere gli alberi per ricavarne del suono, trasformare quel che esiste per creare un qualcosa di nuovo. Procedono disordinati tra le foglie secche e le ortiche, nella luce già calda del mattino alle sette, la luce già calda di un mattino di giugno, lui con la camicia rosa e suo figlio con una videocamera grossa come un altro bastone, una videocamera che si può tenere in una mano sola e non è il caso di guardare quel che riprende, e così con il baricentro si può esplorare il terreno, e così con l’altra mano si può suonare un castagno che sembra un dinosauro dormiente.

 

Il figlio ha trentaquattro anni e il padre oltrepassa i sessanta,
nel mezzo del cammin di nostra vita si ritrovaron in una selva oscura,
e la retta via non era mai esistita.

 

 

Ricordi quando ti dicevano, alle scuole elementari, con sguardo severo

“bambini, bambine, ognuno a sedersi al proprio posto?”

Non avevano capito un cazzo,
o forse avevano capito tutto, e continuavano a perpetrare il messaggio sbagliato.

E come la mettiamo se il mio posto in fondo è un altro, se i miei posti son tutti?
Oggi voglio sedermi sul bordo. Oggi voglio sedermi sul banco. Oggi voglio sedermi sotto il tavolo, e guardarvi dalla prospettiva dei piedi, e immaginare che ogni scarpa sinistra si inventi un suo linguaggio per parlare con la scarpa destra e con quella soltanto, un linguaggio fatto di parole inventate, sciaqquicciate, ingialluntite, parole che costruiscano concetti che nelle lingue esistenti in effetti non esistono, come per esempio

 

“camminare arrampicandosi su un terreno scosceso in salita”
oppure
“la sensazione che si prova dopo sette ore davanti a uno schermo, quando la mente avrebbe voglia di continuare a rimanere in quel trip ma il corpo ha bisogno di altro, ha bisogno di movimento, perché è fatto di muscoli e carne e la carne e i muscoli sono indolenziti”.

Oppure il bisogno di amore,
quel bisogno di amore che avviene per un momento soltanto ma che ti lascia dentro come una fitta
quelle cellule che si spostano e rimbombano e muovono
il tocco del bastone sulla risonanza del legno
un uomo con una camicia rosa e suo figlio percuotendo castagni,
sotto la luce del mattino, la prima luce del mattino,
un padre e un figlio in un cimitero che è anche un giardino.

 

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Castagna’s time


06 Nov

     Fuocoart

Il sesto senso è la propriocezione. La percezione del sé.
Le dita delle mani collegate a tutto il resto. Il baricentro orientato sul versante della montagna.
“Nell’anno in cui sei nato queste piante erano state abbattute”.
Era l’epoca delle distrazioni e degli abbagli.
L’uomo nuovo se ne andava in giro per i boschi in motocross, inneggiando a tutto ciò che non sarebbe più stato.

Il settimo senso ha l’armonia del fumo.
Non è odore non è sapore non è colore, ma sa accendere di strana vita l’intero organismo.
“Questo mestiere è il mestiere della libertà. E’ il mestiere di chi non vuole un mestiere”.
Raccogliere i frutti del cielo e del suolo.
Una missione primitiva continua ad alimentare la civiltà del tutto e del niente.
Visti dalla nebbia del bosco nel novembre di mattina, gli uomini e le donne, laggiù in basso, sono algoritmi virtuali privi di ogni minima eleganza.

L’ottavo senso è il senso delle cose.
Ogni castagna una moneta. Ogni frutto, parte dell’insieme.
Cercare canali per valorizzare l’intero lavoro.
Uomini e donne insieme in natura, ad ascoltare il silenzio, a parlare la musica.
Cade il mezzogiorno sulla logica del banchetto.
Le luci del tramonto sono i fari di un fuoristrada, un altro raccolto affidato al criterio del middle man.

Il nono senso s’accende solo di notte.
Accade e non si vede, muove il mondo nei sogni.
Hanno abbattuto le piante ma non le radici. Trent’anni dopo, ecco i nuovi frutti.
“La vostra generazione dovrà ricostruire ciò che noi abbiamo distrutto e distruggere ciò che noi abbiamo costruito. La vostra generazione dovrà imparare a discernere”.
Il nono senso ha a che fare con il tempo.

Il decimo senso non può essere raccontato.
E’ un discorso intimo, che si sviluppa nell’umido.
E’ osservazione ed energia vitale, altruismo e disprezzo, un rapporto di scambio in cui l’uomo non ha voce in capitolo.
Il decimo senso è un discorso d’autunno e di primavere, ma soprattutto d’autunno.
Il decimo senso è la sinestesia del bosco.

Il Castagneto Acustico – 2012


23 Giu

No time no space

Una festa.
Una festa?
Una festa.

Senza responsabili né denaro in circolazione, senza programmi né sponsor, senza nessun’altra regola se non quella della condivisione.

Mario e Ernestina, classe 1925, raccontano che nei giorni antichi in cui a Viola Castello abitava ancora la musica, i giovani del paese mettevano insieme la loro voglia di ballare. Qualcuno scendeva a valle a cercare i musicisti, qualcun altro faceva il pane, altri ancora preparavano i formaggi.
Non c’erano soldi: la festa si faceva senza soldi.
Non c’era energia elettrica: la festa si faceva senza energia elettrica.
Ma c’era desiderio e passione, e bastava quello, per fare la festa.

Il Castagneto Acustico è desiderio e passione, assenza di soldi, niente di elettrico.
Lo scenario è un bosco illuminato dal fuoco, nei secolari boschi di Viola Castello, che ancora resistono all’abbandono dell’uomo.
Musicanti e narratori, danzatori e teatranti, cucinieri e spillatori di vino, peccatori e disegnatrici, gente semplice e contadini. Tutti insieme senza un programma, ognuno viene e porta quel che vuole di sé.

L’appuntamento è nel Bosco del “Grimaldo”, frazione Castello, Viola. Venti km sopra Ceva. Domenica 8 luglio, dal pomeriggio a notte.
Cibo e vino ci sarà, ma cibo e vino è anche benvenuto.
E’ un bosco, quindi il più grande hotel, quindi si possono piantar tende e accampamenti.
Le vacche di Aldo hanno già iniziato a falciar l’erba, e preparare il terreno.

Sonorità diverse


04 Lug

Il Castagneto Acustico

c’erano giochi di fuoco a immergere il verde. due clarinetti che suonavano weber, e qualcuno credeva veramente di essere nel settecento. musicisti indigeni con strumenti africani, a riscoprire le vecchie credenze dei sabba di san giovanni. un uomo raccontava una strana storia in lingua arcaica, nessuno ci ha capito niente, ma tutti ascoltavano in silenzio. c’erano i fagioli d’una volta e gente che parlava lingue straniere, c’era il pane cotto da lidia intorno al suo forno di pietra. c’erano luci che ballavano e accendevano il buio, e una musica morbida stretta intorno a sessant’anni di silenzio. c’era moncho che gridava il suo caribe lontano, tutti ascoltavano rapiti, il linguaggio universale era la musica. c’era christian che guardava tutto questo accadere sotto la montagna che fu di suo nonno, e non aveva più nient’altro da dire.

Il Castagneto Acustico


03 Mag

Il Castagneto Acustico è un esperimento che nasce dalla necessità di recuperare ogni forma di spontanea semplicità.

Più in là della burocratizzazione e della prevedibile ritualità che sta alla base di ogni forma di socializzazione contemporanea, il Castagneto Acustico insegue l’armonia di un ritrovo fra amici, di un’antica festa di un immaginario paese.

Il meccanismo è semplice: ognuno partecipa apportando quel che vuole, anche solo la propria presenza. I musicisti suoneranno per amore all’arte, i disegnatori disegneranno un logo per amore al disegno, chi vorrà fare il pane farà il pane per amore al pane. L’immagine finale sarà quella di un castagneto immerso nella bellezza di una Natura superiore, che per una notte verrà illuminato da fiaccole a legna e strumenti musicali suonati in acustico. L’energia elettrica è assolutamente bandita: per costruire una festa serve molto, molto meno.

Il luogo di ritrovo è un castagneto sulle Alpi Marittime. Per secoli e secoli, alla fine di giugno la comunità autoctona organizzava la Festa di San Pietro, una notte di danze, musica e vino che sorgeva spontanea dai membri della comunità. Qualcuno andava a cercare nelle altre vallate i musicisti, qualcun altro preparava la “tuma” e il salame, tutti insieme si beveva il vino. Negli ultimi cinquant’anni, il silenzio è sceso definitivo sulla borgata, e oggi i sessanta anziani superstiti ricordano con nostalgia il tempo che fu. Il Castagneto Acustico è rivolto soprattutto a loro.

Sono previsti quintetti di ottoni reali, percussionisti tribali indigeni, duetti di clarinetto di fama internazionale e voci femminili accompagnati da chitarre oniriche. Tutto il resto – l’imprevisto, sottoforma di creatività – è assolutamente benvenuto.

(Per raggiungere il Castagneto Acustico, si consiglia di limitare l’uso delle automobili, ottimizzando la capienza. Esiste un leggendario autobus che parte dalla località di Ceva. Esiste la possibilità di piantare la tenda e dormire nel bosco).

Questo articolo sarà costantemente aggiornato con le ultime indiscrezioni.

Diary of a Baltic Man

Real Eyes. Real Lies. Realize.


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