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Apporter le monde au monde


20 Ago

“Portare il mondo al mondo”.
Il mondo, concetto di periferia.
Partivano dal centro e raggiungevano la scena.
Poi la realtà non gli bastava, e fu così che nacquero le storie di finzione.

Il mondo e le stelle (nel 1922)


01 Set

Lettrice: Come si diventa stella del cinema?

Riposta: “[se una donna vuole diventare stella del cinema] può sposarsi con un regista di scena, o con il direttore di un’impresa importante, o con un fabbricante di conserve di Chicago, che ha molti milioni. Può anche vincere il primo premio in un concorso di bellezza, o essere l’eroina di un dramma passionale di cui parlano tutti i giornali. Se non è bellissima deve avere talento. Ma in entrambi i casi deve saper ridere graziosamente, piangere senza smorfie, danzare, montare a cavallo, in aereo, guidare un automobile o una locomotiva, morire senza farsi male e a volte farsi male senza morire, e non temere di mostrare le sue grazie fingendo di occultarle pudicamente”.

[Estratto, con i guanti di lattice e una mascherina tapabocas, dalla Rivista “Pelìculas”, pubblicata tra il secondo e il terzo decennio del ventesimo secolo dai fratelli Francesco e Vincenzo Di Domenico a Bogotà]

Late[r]


03 Mar

Comprenderemo con l’intelletto
Che si tratta di un tempo a 8 dimensioni

Eppure
in quanto esseri tridimensionali
con le emozioni non riusciremmo comunque a cogliere il significato
delle nostre percezioni.

Oh! Uomo


13 Gen

Mil hermanos
con el sudor de los hermanos, cada cual a su tumba.

C’è scritto sulla porta della stanza 202 di un vecchio albergo andaluso, da cui questa notte si espande musica elettro-.

Qui hanno luogo rituali collettivi, che celebrano la stasi del tempo.

Perché la memoria è artificiale, è fatta dall’uomo, è fatta per l’uomo.

Oh! Uomo di Yervant Gianikian e Angela Ricci Lucchi [2004] from ,\\' on Vimeo.

La memoria è artificiale, e un essere umano potrebbe anche decidere di colorarla.

Colorare la memoria è darle un accento perverso, così come filmare, in qualche modo, aiutò a dimenticare. Così come i volti sfigurati sono la guerra che continua.

Poi al minuto 38.50 tutto sembra diventare improvvisamente onesto, tutto sembra ridursi al movimento di un corpo femminile, alla smorfia di dolore di chi lo insegue e desidera ma si ritrova con le mani legate.

C’è anche un uomo che impara a scrivere con una protesi.
A vederlo, viene da pensare che il difficile non è imparare a usare la protesi: il difficile è tornare a scrivere.

C’è l’orrore, e altro orrore, e tutto l’orrore possibile.

Ma è a colori.

Ed è successo molto tempo fa.

Di un vecchio cinema


08 Dic

Velluto rosso sospeso sul tempo.
Separa il marmo dalla gomma, la luce dal buio, il suono dal silenzio.
Al di là del velluto, il cinema.
Al di qua del velluto, la realtà.
Un velluto rosso per separare il cinema dalla realtà.

Locandine antiche appese ai muri scrostati.
L’angolo in alto a destra è muffa. Probabilmente si infila sotto un balcone, là dietro.
E’ vietato introdurre apparecchi di registrazione analogica o digitale, è vietato consumare bevande e alimenti all’interno della sala, è vietato fumare.
E’ consentito schioccare la lingua e stupirsi dell’effetto d’eco. E contare le aste metalliche della ringhiera.

Spostando la prospettiva del riflesso sul vetro, poi, si riesce a inserire Clint Eastwood nella cornice della finestra della Trattoria del Peso, lì di fronte.
Illusioni ottiche autoprodotte.
Al di qua del vetro, il cinema.
Al di là del vetro, la realtà.
Un gioco di prospettive per infilare il cinema nella realtà.

La fotografia del fondatore della società operaia un po’ sbiadita, vicino all’ingresso.
Un cartello che dice la pro loco vi augura una buona serata. Quale carattere avranno usato per scriverlo? Bernard MT Condensed. E chissà com’era il mondo quando non avevi ancora la stampante.
Un cane che abbaia insistente, copre la musica.
Viene dal vetro, o viene dal velluto rosso?
Scende dal cinema, o arriva dalla realtà?

Non si fa più il buon vecchio cinema di una volta.
Oggidì le poltrone sono scomode.

Home Cinema


14 Gen

Quel che si apprezza, in luoghi come Quito – e tutto il nord del sud america in generale – è l’iniziativa imprenditoriale nel campo della distribuzione cinematografica. In pratica funziona così: tanti piccoli negozi di “Cinema d’autore”, scaricano a ritmo serrato ogni genere di film, che poi trasferiscono su elegante dvd – con relativa custodia e copertina. Tali templi sono gestiti in prevalenza da trentacinquenni con i capelli lunghi e magliette inneggianti al rock o alla promiscuità sessuale, pronti a consigliare un autore piuttosto che un altro, a guidare nella selva dei loro scaffali, a segnare sulla lista degli “ordini” ogni tuo desiderio.

Un’operazione ipercollaudata (molti di questi negozi forniscono addirittura un timbro-garanzia in stile “soddisfatti o rimborsati”, per certificare la qualità del prodotto), in barba a ogni regola sul diritto d’autore, su imposte, su regole di distribuzione cinematografica (molti film presenti nel banco delle “ultime novità” devono ancora uscire in sala). Il risultato è che giovani, studenti, squattrinati e ogni genere di persone possono accedere, al modico prezzo di un paio di dollari, al grande cinema di tutti i tempi.

Arcipelago filmico orientale


10 Apr

Tra le varie chicce saltate fuori al V “Next International Film Festival” di Bucarest, la più morbosa è sicuramente quella sputata dal tecnico del suono di “Il favoloso mondo di Amélie“, film che nel 2001 ha associato indelebilmente l’immagine di una Parigi ipercolorata con le progressioni musicali di Yann Tiersen. Come è nata la colonna sonora più riuscita del cinema europeo degli ultimi anni? Semplice: per caso.
Racconta Jean Umansky (l’ingegnere del suono di cui sopra) che tutto il team di produzione, a montaggio ormai ultimato, si è riunito per giorni e giorni di fronte ai monitor, a provare, uno per uno, i dischi di tutti i compositori contemporanei, alla ricerca della musica – quella giusta – per accompagnare la storia.
Niente.
Fino a quando, una mattina, una sotto-assistente anonima che è arrivata prima degli altri si è messa ad ascoltare il suo disco preferito, il disco di un giovane musicista sconosciuto, e si è accorta che quella fisarmonica dal suono vagamente normanno funzionava, nella quotidianità di Amélie. Il risultato che il film è ricordato per la sua colonna sonora, e Yann Tiersen è conosciuto come “quello che ha scritto la musica di Amélie“.

Un film è un’isola. Un’isola sconosciuta. Se ci finisci dentro, in novanta-centoventi minuti puoi visitare terre fantastiche, drammatiche, silenziose, assordanti, bianconere, musicali. E il nostro compito, in Europa, è fare esattamente l’opposto di quanto si produce in Nord America. E cioè: generare film che mettano in dubbio la natura umana, che non si limitino a confermare quelle poche certezze che abbiamo”. Molti i piccoli produttori e i registi indipendenti presenti, a testimonianza di un mondo che silenziosamente vive di una dinamismo notevole, che si imparenta sul facebook.
Un occhio puntato sul cinema romeno. Dimenticato dai suoi governanti, drogato di decostruzione del tempo ceauseschiano, vittima di quel gran capolavoro a sorpresa che ha sconvolto Cannes nel 2007. 4 months 3 weeks 2 days, croce e delizia del cinema nazionale.

E poi: il cinema del futuro. Tra i film in programma al Festival, “Lucydia“. Un progetto sperimentale, perché gli attori utilizzati per realizzarlo…non esistono. Il regista è un pazzo australiano che si è inventato un social network in stile “second life”, e come un “grande fratello” manovra i protagonisti del suo fantamondo (personaggi virtuali manovrati da esseri umani reali), li istiga ad odiarsi, a unirsi, ad amarsi, quando è il caso. A parte il fatto che il film non va più in là di un banale polpettone di baci e combattimenti, c’è un qualcosa di fondo che non convince. Il pregio di queste nuove tecnologie sarebbe quello di creare – anche visualmente – mondi in tutto e per tutto simili a quello reale, personaggi possibili nella vita reale così come nel cinema – dove tutto è possibile. Perché, quindi, non continuare ad utilizzare personaggi umani?

Amazonìa 2.0 – teaser


23 Feb

Un assaggio del nostro documentario in gestazione. Il tema è quello di Sarayaku, che vuol dire tutto e vuol dire niente, ma soprattutto vuol dire tutto.

AMAZONIA 2.0
Ideato da Maria Cecilia Reyes, Alessandro Ingaria, Sandro Bozzolo
Prodotto e montato da Max Chicco
Co-prodotto da Eriberto Gualinga

La bocca del lupo


10 Feb

Eccola, finalmente.
La risposta ai grandi mali contemporanei. L’opera d’arte che stavate aspettando. La riscossa di un cinema nazionale tragicamente degenerato in nazionalpopolare. Un’esplosione di poesia, ma di quella semplice – quella più vera.

La bocca del lupo, sceso sulle nostre umili teste vidiotizzate senza scampo, ci riporta allo stato reale delle cose, delle cose di finzione. Cinema allo stato puro, nelle sue ambizioni più vere: raccontare la realtà, raccontare la storia, raccontare UNA storia. Tutto nello stesso momento. Ma anche, e soprattutto, scoprire, dipingere, colpire, commuovere. Il film del giovane Pietro Marcello raggiunge meravigliosamente ogni suo obiettivo, proprio perchè è nato senza obiettivi apparenti, in una panetteria tra i vicoli di Genova.

A Gianni Amelio, direttore del Torino Film Festival, l’onore di aver dato un senso alle nostre vite salvando dall’oblio a cui era destinata quest’opera – fino al punto in cui la suddetta risulterà effettivamente vincitrice, del TFF.

Autunno Viola


15 Nov

Autunno Viola
Abbiamo fatto un film, un documentario. “Fatto” come una volta, impastando acqua sale e farina, sporcandoci le mani e cuocendo a fuoco lento.
Un documentario che è anche una storia personale, rinchiusa nel sangue e nei cromosomi ed esplosa tutta dietro la videocamera, un documentario che è anche un gioco che è anche un esperimento che è anche una cosa seria, terribilmente seria.

Autunno Viola era un passaggio fondamentale, quasi obbligato. Anni spesi ad inseguire storie, ad osservare la quotidianità di mondi che erano sempre “altri”, ad ascoltare immaginare capire scrivere appassionarsi. E questo è un ritorno alle origini, un viaggio verso il senso delle cose, una dichiarazione d’amore verso un mondo in via d’estinzione.

Il documentario è stato realizzato a prezzo quasi nullo, tre mesi pieni di sana passione. A questo punto si tratta di produrlo e riprodurlo, e vedere che succede. Servono dollari, non fiori, ma opere di bene.

Diary of a Baltic Man

Real Eyes. Real Lies. Realize.


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