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Cara università ti scrivo


11 Dic

Caro Sig. Baltic Man,

Mi scuso per il ritardo con cui le rispondo, ma una serie di impegni di
famiglia (non previsti) e di lavoro (previsti), cui si è aggiunto anche il
cambio di computer all’università, con scontate conseguenze sul ricevimento
delle email (ovviamente anch’esse non previste, e pare che i guai ancora
non siano finiti), mi ha costretto a procrastinare i miei obblighi nei
confronti di tutti i corrispondenti, sicché solo adesso riesco lentamente a
emergere. Per il suo caso specifico (ovvero l’anticipazione di una parte
della trafila burocratica, come lei mi chiede) non posso fare nulla, perché
contrariamente agli studenti Erasmus per i quali è prevedibile, e quindi in
un certo senso in qualche modo anticipabile l’iter che dovranno percorrere,
per quelli del CINDA invece, per quanto ne ho capito (finora le richieste
sono state poche), ogni curriculum è un caso a sè stante, e soggiace a dei
criteri valutativi che vengono espressi da una commissione rettorale della
quale almeno finora non fanno parte i delegati alle relazioni
internazionali delle singole facoltà. In pratica noi riceviamo gli
incartamenti a cose fatte e spesso nemmeno quelli, in quanto per la sua
particolare tipologia lo studente CINDA (o per lo meno quello che si
iscrive a Genova) si rapporta direttamente con gli uffici centrali per
quasi tutto. Noi invece gli forniamo il supporto informativo per quanto
riguarda esami, lezioni e via dicendo assieme al relativo “iter”. Spero di
essere stato abbastanza chiaro, ma se ci fossero altre questioni continui a
scrivermi: le prometto che, contingenze dela vita e di lavoro permettenti,
sarò più sollecito nel risponderle. Cordiali saluti.

(risposta odierna a una mail che inviai nel gennaio 2008).

Amarcord


25 Lug

La tua gente, i segnali di fumo di un Pellirossa, un’Aquila addormentata nella mano. Sto davvero pensando all’evidente sudditanza dello “scrivere” nei confronti del “dimenticare”, e da lì mi inoltro in ingannevoli circoli mentali troppo più veloce delle dita.

Strano davvero il viaggio erratico, a queste latitudini. Il caldo fertile rimpingua i rigagnoli dei sentimenti. Nella stanza a fianco si sentono voci indistinte, amici di amici improvvisano un poker e ne distruggono il sottostante tavolo. Risuonano accenti paisa. Al loro fianco, mi immagino una nativa, immersa nel mondo virtuale in cui si è racchiusa, camminare gomito a gomito con la sua vecchia amica “sé stessa”. Dietro lo schermo passeggia un suo possibile futuro vedovo e lei se lo lascia scappare. Leo cammina a testa alta sopra il filo sul burrone.

-“Dopodomani alle 7 del mattino dovrò prendere il taxi”.

-“Aaah non farla drammatica. Stop that. Tutti hanno preso un taxi per partire pieni di tutto dopo la loro festa d’addio. Una volta Benat è anche riuscito a fermare l’unica taxista donna del sud america, una tettona che non ha mosso un dito mentre lui moriva sotto tonnellate di valigie”.

-“Tu non capisci. Nessuno ha mai dovuto prendere un taxi per finire in un terminal per finire in un bus di venti ore per finire in un bus urbano per finire in un aereo per la Spagna per finire a TORINO. Tu non capisci”.

Urlano di qua ed urlano di là. Sento dietro la porta gente correre fuori dalle vie della ragione. Dietro di lui qualcuno piangendo ride e parla di peperoncino negli occhi. Ma Leo non se n’è accorto, ricollega le logiche delle sue verità:

“Praticamente prendo tutto sto casino di aerei e bus e navi e treni per finire su uno scivolo che conduce direttamente nella merda”

D’improvviso capisco. Rivedo, come in una serie di fotoflash, la cronologia del nostro cammino, ritrovo frammenti di etereo ricordo spersi tra le brezze di savona e le tempeste delle nostre provincie, annego nel trago amaro che questa notte ci tocca. Ombra costante, aleggiano melodie di fado portoghese. Ricordo il tempo in cui tornammo a casa – quale casa? – ebbri, sbranando anguria e mango mi confessavi la spinta definitiva che ti ha trasportato su queste terre. Ci ripenso ora scrutando le facce qua riunite, nascosto in mezzo a altre stronzate ritrovo un po’ d’orgoglio, un qualcosa di cui andar fiero d’aver condiviso con loro.

Te ne vai e per la prima volta il piccolo mondo di questa grande città addormentata sui caraibi si ferma. Non ho mai visto questa casa inondata dalle lacrime, né ho ritenuto logico piangere sopra un qualcosa macchiato di reversibile. Eppure i muri urlano silenzio, in questa prima notte vedova del tuo spirito. Da oggi non esisteranno più parole né tacite intese, il logico ritornerà a distinguersi dall’illogico, non ci saranno più donne né assurde storie di donne in quest’eterna primavera. Un mutismo androgino e solitario scenderà sulla vita a delirio e caffè.

Ciao Amico mio, compagno di Viaggi.

Calle 84 6 a.m.


09 Giu

Una strana sensazione nell’aria. Una casa incomprensibilmente vuota, per la prima volta i muri sono bagnati di una sostanza riflettente che non contempla i fantasmi. La casa è vuota, la stanza è vuota, le anime stesse sono vuote e ripetitive e paranoiche. Empty, vacìo. Parlano i chiodi nei muri, urlano al fumo la disperazione totale: llevaban en ellos trozitos de vida, trozitos de vida ahora cerrados en malletas y recuerdos.

L’armata dei superstiti accalorata agonizza intorno a una tavola. Il fondo è di vetro, attraverso lo sguardo s’intravedono piedi e immondizie e battiti di ali. Una combriccola di zombies, incollata a vicenda da dadi e bottiglie, da miele e parole, da brividi e buio. La superficie vitrea riflette un computer, cordone artificiale e itinerante. Nei suoi viaggi sbatte nella notte piccanti individui dalla città dell’ovest al disordine costeño.

Le parole volano e le mani scivolano nel caldo umido di vertigine e furore. Mentre i clacson accendono, le luci uccidono, le carezze smuovono la moltitudine di depravata passione. ¿Hai perso il filo? Anche io. Nel tombino di una città senza tombini.

Hombre Baltico?


08 Giu

Di tanto in quanto ricevo un prototipo di mail che dice più o meno così: “Ciao, so che tu sei stato in Erasmus a Kaunas, ¿posso chiederti un po’ d’informazioni?” (Grazie Erika per lo spunto, a Barranquilla c’è l’esodo degli stranieri ma non era elegante scriver cose tristi).

In più, adesso sono dotato di un magico sistema hacker per vedere come giunge la gente su questo sito, e scopro che la maggior parte degli utenti-google dirottati qua hanno digitato parole come “lituania”, “ragazze di vilnius”, “in lituania si tromba?”, “erasmus crazy”. Nonostante ci sia, va detto, qualche iperbolico fenomeno che arrivi qua cercando “papa” (?¿?), “viaggio mentale con droghe” (curioso), “tempi moderni” (e ciò mi rende orgoglioso), “l’alcolismo in Venezuela” (la prima parola mi risulta, la seconda no), e soprattutto “mia bossi”. Ad essi dico: non preoccupatevi. I pazzi non siete voi, è google che sclera.

Tornando al discorso originale. Tempo addietro un post riassumeva un po’ di cose utili per chi sceglie un’università baltica. Probabilmente sono ancora attuali, e nell’antro materno di una discoteca quest’autunno avevo anche incontrato chi le aveva lette e si era fidato. Tutto torna, dicono i saggi.

In una crisi d’identitá, il blog mi ha confessato di essere irrimediabilmente perso. Si chiama Baltic Man e qualche blogroll lo contiene sotto la voce “blog di sudamerica”. Io l’ho guardato fisso e gli ho sputato in faccia la verità: “tu sei un bastardo“.

p.s.: la foto di casini apparentemente non c’entra niente. Ho digitato su google “crisi d’identità” e quello è ciò che uscito. Occhio per occhio, dente per dente.

Darius – o David – ovvero: in ogni villaggio c’é uno scemo


07 Mag

milhouse.jpgUna grande nuvola nera segnala l’incombere di queste presenze costanti. Le folle si ammutoliscono, e i piú saggi si allontanano. C’é chi sostiene che anche gli uccelli smettano di cantare.

Nei giorni piú freddi di Laisvés Aleja come nel forno a cielo aperto di un mezzogiorno caraibico, Darius – e David – vagano nell’aere con lo stesso costante obiettivo. Una volta individuato, non c’é via di fuga: essi si avvicinano con passo deciso, una luce accende il loro sguardo, piú in lá dell’inestricabilitá della loro complessa vuotaggine cronica e cranica. E’ il preludio. Quello che segue sono le stesse domande di ieri, in attesa delle medesime risposte dell’altro ieri. Dialoghi vuoti, dialoghi costanti, dialoghi pesanti cosí pieni di niente che irritano all’inverosimile. Mi immagino cosí le zecche dei cani. Con la faccia di Darius, o di David.

Certe volte, sorprentemente, Darius – o David – si spingono piú in lá del prevedibile:
Darius (o David): “…e senti un po’, non hai un account facebook o skype o msn?”
Baltic Man: “…no, non conosco queste diavolerie.”
Darius (o David): “come no! Ci permetterebbero di essere amici anche via internet”
Baltic Man: “io non sono tuo amico”.
Darius (o David), accusando la botta dietro l’occhiale ma rialzandosi come il miglior Tyson: “allora dammi il tuo numero di telefono”
Baltic Man: “Perché? Non voglio essere tuo amico”
Darius (o David): “no, cosi, magari possiamo vederci anche di sera, andare al cinema, o ti faccio conoscere tutti i miei amici, sono simpatici sai, e si chiamano tutti Darius, o David”
Baltic Man, sudando ghiaccio: “ah. certo. 301…”
Darius (o David): “Ma questo é il numero dell’altro italiano, ce l’ho giá”
Baltic Man: “Ti sbagli, é il mio. Chiamami pure, questa notte, verso le 3”. E fugge.
Darius (o David), affannato, ricordando l’immagine di una sposa incinta al decimo mese che saluta l’amato sul treno che lo porta alla guerra: “…a stasera, amico mio”

Blowing into the soul


23 Apr

segovia.jpgApro Skype e inizio a raccontarmela con Arno. Mi parla di Russia, si rimpiange la tabula piena di nullo Mongolo di un anno fa, mi racconta che quest’estate dopo esser tornato in Francia e prima di tornare a San Pietroburgo passerà un paio di mesi a lavorare ad Amburgo, e gli preme pianificare un incontro da qualche parte in Spagna o giú di lì, nel frattempo.

Inizio così a scambiare due parole con il brother d’america, disperso nei campi (da calcio) del Texas compie 18 anni si regala il sogno di un futuro a stelle e strisce. Mi racconta cose che già so e nel frattempo lo invidio, lo comprendo, gli auguro il meglio per la sua maggiore età che nel delirio americano non è maggiore età. Vorrei parlagli ancora ma mi scappa nel suo mondo di neogrande, the god-damned.

Passo le notti a parlare con Paolo, estasiato da quelle 12 ore di fuso perfetto che trasformano il canto dei miei grilli stanchi nel delirio del suo traffico a Honk Kong, e insieme ridiamo e insieme piangiamo su quanto è grande e bello e diverso e strano il mondo. Sono conversazioni che sanno al tempo stesso diSvyturys e d’oriente, nel sottofondo delle sue parole milioni di formichine da new-economy.

Dispersa nel nulla vaga Doriana, nella sua costante deriva su un piroscafo reale intorno a un continente irreale e sudamericano. Appare raramente e come appare scompare, ma nel frattempo ha lasciato uno schermo sullo schermo, uno squarcio devastante e aperto, e velocemente tutto si svuota e davanti agli occhi rimane la magia del Fu. Poi tutto si ricuce e appare Cesar da Madrid maledicendo tempi duri e votandosi propenso a un prossimo disordine universale.

Trovo nei pallini verdeskype tutta la Lituania, un paese e tre città che mi scrivono mi ricordano si informano e mi fanno viaggiare fin lassù, insieme a loro, come è giusto che fosse e come un giorno sarà ancora. Uomini donne ragazzi e ragazze che saranno come me per sempre, me li porterò dietro sottoforma di pallini verdeskype. Ragazzi, ragazze e certezze.

Non spezzo il filo che mai si ruppe con il mio pezzo di anima baltica disperso tra i castelli della Loira, parliamo di cose lontane che pure appaiono più vicine, e nitide, e fulgide nell’immaginario dell’un-l’altra lì a viverle. Affido all’etere il compito di trasportare passioni semplicemente accantonate. Nell’incanto dell’illusione, vivo profumi e sapori di labbra lontane.

Di tanto in quanto, ritornano così alla luce pezzi di notti vissute, angoli di Varsavia o di Riga o di Mosca che arricchiscono il tutto della loro indelebile presenza, pezzi di altri pezzi che si ricompongono in un ordine superiore da custodire gelosamente e sotto vuoto. Mancano però troppi tasselli, troppe facce vissute e adorate, frammenti di quella vita avanticristo che fu e che sembra inesorabilmente avviata verso la perdizione nell’immobile oblio del feudo natale.

Diary of a Baltic Man

Real Eyes. Real Lies. Realize.


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