Posts Tagged ‘Farc’

Esistono ancora le FARC?


21 Apr

In certi luoghi d’Europa sono considerati romantici eroi che combattono per la libertà. Altri, gente di sinistra (giuro che è vero. Esiste ancora gente di destra e di sinistra, nella decade II del millennio terzo), li considerano “buoni e bravi e giusti” a prescindere, e ci mancherebbe. La maggior parte non ne sa niente, sanno che esistono e niente di più (al contrario della mafia, che NON esiste), e sostanzialmente vivono bene comunque.

Nella realtà colombiana, invece, le FARC sono una presenza tanto invisibile quanto reale. La loro inutile esistenza – fondata sul narcotraffico ed i sequestri, Marx è morto da tempo – è l’unica motivazione plausibile che tiene in piedi il governo guerrafondaio di Uribe, che, sullo schema degli amici del Nord, esiste in quanto c’è una FARC da combattere, e si sa che la guerra contro il terrorismo è, per definizione, infinita.

Proprio per questo che le FARC esistono ancora, e continueranno ad esistere.

Il paese dell’eccesso


22 Giu

“Il mondo è sempre più ingiusto e le differenze tra paesi ricchi e paesi poveri e tra ricchi e poveri in ogni paese aumentano sempre di più. Non è ideologia, lo dicono tutti.

I paesi ricchi che dominano il mondo però pretendono, credono o fingono di voler insediare la democazia dappertutto. Ma la democrazia non può convivere con l’ingiustizia. Quella vera, perlomeno. Come fare allora?

Questo libro parla di un sistema per risolvere questa contraddizione. Efficace, moderno, raffinato e, come tutti i sistemi, mai casuale. La Colombia, dove questo sistema è stato sperimentato con maggiore impegno e successo, fa da cavia al resto del mondo. Un laboratorio del mondo globalizzato, scandalosamente ingiusto, ma democratico”.

Così inizia Colombia, il paese dell’eccesso, di Guido Piccoli. Un libro più che utile per comprendere cos’è successo negli ultimi sessant’anni in Colombia, e non solo.

Guerriglieri d’ombrellone


10 Lug

La televisione. Quest’oggetto, solitamente nero, praticamente sconosciuto al sottoscritto da due anni almeno, di tanto in tanto perde il suo logico uso di mero raccoglitore di oggetti riposti per accendersi, prender vita insomma, e dire qualcosa. Per metter le mani avanti, diciamo fin da subito che il palinsesto colombiano, oltre alla pubblicità e alle sempiterne telenovelas, non ha niente di meglio e niente di peggio da offrire rispetto a quello di altri Paesi.

Eppure l’altra sera, schiacciato nella morsa di individui silenziosi e grigi, mi sono ritrovato davanti ad una trasmissione di tal Pirry, una specie di “Iena” colombiana si potrebbe dire, per classificare il personaggio. Affrontava, il Pirry, un argomento effettivamente interessante: l’appoggio (ideologico ed economico) che ricevono le FARC dall’Europa, soprattutto dal Nord Europa. La schiera di sostenitori morali, invasati, simpatizzanti vari è infinita ed apparentemente incomprensibile, alla luce dei fatti. Mentre sullo schermo scorrevano immagini di 12enni di ronda a mitra in mano, per esempio, il responsabile di un’O.N.G. danese riusciva ad affermare: “le voci di bambini guerriglieri sono solo chiacchiere. Noi continueremo a vendere magliette “FARC-EP” per sostenere la lotta di liberazione del popolo colombiano”. Se da una parte si può comprendere il romantico idealismo che legittimava le FARC all’epoca della loro nascita, va detto che l’anacronismo e la disinformazione di queste genti è effettivamente agghiacciante, e ho visto schiere di colombiani incazzarsi notevolmente di fronte ad affermazioni di questo genere.

Poi, un’immagine mi è saltata alla cabeza. Una torrida estate italiana di qualche anno fa, un lungomare, la patetica sfilata di quegli individui tutti uguali che ogni estate vanno in overdose di Lucignolo e sfoggiano la stessa maglietta, o lo stesso occhiale, o lo stesso bracciale. E mi sono ricordato di quell’anno in cui la moda erano le magliette “Narcotrafficante”, o “Pura Polvo Blanca”, o “Cocaina Colombiana”, robe cosi. ¿Ti ricordi? E ancora una volta l’umana deficienza spiegó i piú illogici meccanismi.
(foto di alias Maktop)

Io vengo dalla Luna


06 Lug

Gente, il discorso è serio. Tra un paio di mesi devo (DEVO?) tornare in Italia, e voi non mi aiutate per niente. Leggo quotidianamente repubblica.it e il corriere.it, e rimango alquanto tumefatto da ciò che è diventato ormai il mio paese. Voglio dire. Una sagra di fighe e battibecchi. Una grande osteria a cielo aperto dove chi la spara più grande vince il quartino di vino, non importa ciò che accade altrove, gli spaventevoli intrighi dello stivale la fanno sempre da padrone.

Per fare un esempio. Un paio di giorni fa si è verificato un notevole atto terroristico a Minsk, una di quelle robe che se accadessero a Berlino o a Milano Marittima sequestrerebbero la morbosa attenzione dei media per due settimane almeno. Ciònonostante, è avvenuto a Minsk, e non ci sono motivi di rilievo per aggiornare gli italioti sull’avvenimento. Molto meglio approfondire il dramma del vestito da sposa a Rapallo, ovvio. Inutile sottolineare che Minsk è a 60 km dall’Unione Europea, che da quelle parti la gente spalma il lucido da scarpe per ubriacarsi low-cost, che il dittatore Lukashenko alla fine dei conti non si è mai permesso di attaccare la magistratura del suo Paese (stavolta con la P maiuscola) perchè svolgeva il suo sacrosanto lavoro giustizialista.

A tutto ciò pensavo nei giorni della liberazione di Ingrid. Alla sposa di Rapallo, alle mogli di Tronchetti Provera, alle allegorie del criminalnano e a tutti i pregiudizi che le massaie di Voghera riescono ancora (incredibili, stupende) a lanciare contro le popolazioni cosiddette extracomunitarie. Sugli schermi della televisione scorrevano le prime pagine dei più infimi quotidiani mondiali, ma della stampa italiana nessuna traccia, come è giusto che sia. Bella gente, anche il concetto di “terzo mondo” sta cambiando. Lo dicono i giornali, inconsapevoli, ogni mattina.

Riscatto


03 Lug

Nei miei giorni bogotani, la direttrice della semana.com davanti a un ottimo Ajiaco confessava che la sua redazione era in fermento: tutto lasciava presupporre importanti novità dal fronte FARC. Diciannove giorni dopo, per la prima volta nella storia della Costa Caribe, la buseta che mi riporta a casa inspiegabilmente bandisce l’onnipresente vallenato a 100 decibel per sintonizzarsi sul notiziario radio. L’eurocoppa è finita domenica, presagi di qualcosa di grosso.

Alla notizia della liberazione di Ingrid (e degli altri 14, tra i quali i 3 gringos del caso-Trinidad), l’entusiasmo della gente è davvero alto. In un clima di sincera commozione, la gente comune e normalmente piuttosto disinteressata a narcoparapolitiche varie ascolta attentamente le voci eccitate della televisione, schermi che riempiono le silenziose strade di Barranquilla in un cammino notturno solitamente deserto. La stessa, incessante cronaca in diretta (neanche la martellante pubblicità colombiana questa sera interrompe Uribe) racconta di un popolo che con ritrovata speranza riscopre la dignità, contro quel cancro interno che nella realtà del 2008 ha consumato definitivamente il limite di sopportazione della gente.

La realtà politica, è quantomeno interessante. Prima di tutto, un elogio a quel fantastico stile sudamericano che riempie di “gracias a Dios”, “mia madre mia moglie mia figlia”, “usted senor Presidente” e “Virgen Maria” qualsiasi apparizione televisiva. In termini effettivi, l’eccellente operazione messa a segno dall’esercito colombiano, oltre a far riesplodere il consenso e la cieca ammirazione intorno ad Uribe, spinge le FARC di fronte ad un bivio fondamentale, a una scelta da prendere dopo gli ultimi disgraziati mesi. Una strada porta all’apoteosi della rappresaglia, ipotesi che terrorizza le famiglie delle centinaia i civili ancora prigionieri nella selva. Il cammino alternativo, potenzialmente incoraggiato dal recente avvicendamento ai vertici della Guerriglia tra Tirofijo e Alfonso Cano, invita a dialogo e negoziazione, miraggio inseguito senza successo finora. Nella sua prima conferenza stampa da neo-libera, Indrid Betancurt ha concluso cosi:

“I libri di storia non ricordano chi ha fatto le guerre, ma chi è riuscito a fare la pace“.

Gli uomini di ferro


10 Giu

Un libro è apparso nel complesso panorama politico colombiano, e racconta due storie biografiche particolari e intense.

La prima è quella di Ricardo Palmera, un dirigente bancario figlio della buona borghesia di Valledupar, un impegno politico per passione proprio negli anni più difficili, i martoriati ’80, nello schieramento meno indicato per l’epoca, il lato comunista. Una vocazione che sfocia nell’Unione Patriotica, partito de izquierda che nasce in quegli anni e muore falcidiato dal piombo e dal paramilitarismo. Con decisioni estreme per il nostro protagonista: l’addio alla famiglia, l’addio agli uffici burocratici, l’addio alla politica in giacca e cravatte e l’ingresso nelle Farc. Una rara storia di ideali, per un gruppo che gli ideali originari li ha persi da tempo immemore, tra violenze gratuite e narcotraffici evitabili.
La storia prosegue negli anni e si arricchisce di aneddoti, di personaggi, di amori guerriglieri e di intrallazzi nordamericani. Fino all’arresto (a Quito) e all’estradizione yankee (la prima, per un capoguerrigliero colombiano) messo a segno dall’intelligence USA nei confronti di chi, intanto, è diventato Simòn Trinidad, in onore al Libertador e alla sua battaglia bolivariana. Una vicenda che si articola, negli ultimi anni e nelle pagine del libro, tra le aule di un tribunale di Washington, dove inciuci falsi testimoni e fiumi di dollari hanno conseguito, alla fine, l’obiettivo di una condanna massima a 60 anni.

Ma c’è una seconda storia, ed è quella raccontata in prima persona dall’autore del libro. Un’altra vocazione, il giornalismo, e la determinazione totale per dedicarsi alla ricerca della verità come nessun altro in Colombia. Jorge Enrique Botero, con il suo “El hombre de hierro“, analizza il caso-Trinidad e la questione colombiana con una sensibilità particolare, frutto dell’esperienza che ha saputo guadagnarsi tra selve istituzionali e selve reali. Botero è stato l’unico ad accedere con una telecamera nei quartieri generali delle Farc, incontrandone Guru appena decaduti come Raùl Reyes e Tirofijo, informando il mondo dell’esistenza di Emmanuel, il bambino avuto da Clara Rojas con un guerrigliero.

Un buon libro, sì.

That’s Colombia


27 Apr

leo.jpg

Come molti sapranno, sono tempi tirati per il Presidente Uribe dopo l’arresto del cugino Mario per nientepocodimenoche “parapolitica” (interessanti anche le connessioni con Salvatore Mancuso). Interessante la reazione presidenziale alla faccenda: commissione “amica” nel congresso incaricata di verificare le accuse mosse contro Uribe, scavalcando letterlamente il sistema giudiziario. Mossa intelligente ma poco origianale.

Si parlava, qualche post piu’ in basso, del paradiso ancora vergine di Taganga. La spettacolarita’ drammatica nei colori di queste foto rimanda subito al peggio, ma per questa volta si tratta “solamente” di olio d’oliva. La distruzione dell’angolo di pace e’ comunque solamente rimandata: Santa Marta con il suo porto e i suoi turisti e le sue puttane tristi e’ vicina.

Ridatemi le stagioni. Mettete dei puntoacapo tra un paragrafo temporale e l’altro, e fate scendere dal cielo pioggie ed interperie. Riformulate la fantasia di questo sistema assurdo in cui alle 6 in punto di ogni giornata il mondo diventa rosa e scenda la notte. Dopodiche’, rimpiangero’ in un moto perpetuo comune il costante sogno climatico caraibico.

Influenze nordamericane dei tempi che furuno. Ne rimangono tracce tra gli scaffali degli uffici anagrafici, dove piu’ di un papa’ ha registrato i propri figli con il nome di “Madeinusa”, “Maifrend” o “Usnavy”. Il migliore rimane comunque Waltdisney Gonzales.

“Nosotros colombianos tenimos la obligacion moral de tratar en el mejor modo posible qualquiera etranjero. Para cambiar la mala imagen que el mundo tiene de nuestro espectacular pais”. Albert.

Diary of a Baltic Man

Real Eyes. Real Lies. Realize.


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