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Autunno? Viola?


22 Mar

Nell’autunno 2010 siamo andati a vivere tra le montagne e gli amici di mia nonna per raccontare qualcosa. Non lo spopolamento di quelle valli in cui si è scritta la storia del mio sangue, non la morte di una cultura vecchia come la croce, non la rassegnazione di chi ha vissuto – o sente di aver vissuto – e piega lo sguardo indietro per non dover pensare all’assenza di un domani.
Non solo.
Volevamo raccontare qualcosa.

Non eravamo capaci, non sapevamo come fare. Il video nell’éra dell’immagine si è imposto come la forma migliore per chiedere a qualcuno di starti ad ascoltare: abbiamo scelto il video.
Sapevamo di dover avere qualcosa da raccontare – non lo avevamo.

Nel corso delle settimane una cascata di pensieri è rimasta intrappolata nell’obiettivo della videocamera. Abbiamo montato una storia che poteva essere mille altre ma sempre la stessa.
Uomini e donne che si raccontavano, leggevano il mondo, non vi si riconoscevano. La tragedia intravista in uno sguardo rassegnato. Il rammarico serpeggiante, la sincerità nel riconoscere che “è andata così”. In maggioranza anziani, che un giorno furono contadini, mariti, amici d’infanzia. Con il passare del tempo è caduto anche l’inganno del tempo: quel qualcosa che volevamo raccontare, in fin dei conti, non era l’ideale di un paradiso perduto. Andava più in là.

Dopo qualche mese abbiamo iniziato a proiettarlo. Un po’ di gente è venuta vederlo, qualcuno si è preso la briga di scrivere un commento, in silenzio. Qualcun altro ancora è diventato una riflessione costante, un’amicizia, un altro racconto per storie future. I personaggi rappresentati nel video hanno continuato ad andare a dormire tranquilli e rassegnati. I loro nipoti probabilmente non sanno nemmeno che questa documentazione audiovisiva esiste. Un membro del consiglio comunale del luogo in oggetto [un luogo puramente casuale: ne esistono a migliaia di uguali, sparsi tra il reticolato del globo terraqueo, ma questo aveva un bel nome] si è lamentato perché sulla pubblica piazza non c’erano bambini, e “danneggia l’immagine del paese”. La capra filosofa che parla nel video oggi ha partorito due bei capretti.

Questa sera però ho capito cosa volevamo raccontare, in quel video. Nella sala col pavimento di marmo bianco c’erano una ventina di studenti. Facoltà di Agraria, Università di Milano, ragazzi di vent’anni trascinati per una settimana in un’enorme caserma della Scuola Forestale che da un giorno all’altro è spuntata fuori nella cittadina in cui sono nato. C’erano loro, e un paio di professori.

Dopo la proiezione è arrivato il dibattito. Un po’ di retorica, alcuni spunti interessanti, un filo conduttore importante. I ragazzi sono studenti della facoltà di Agraria, vengono dalla Val Camonica, dalla Val d’Ossola, dalle montagne trentine, dalle pianure piemontesi, dalla città di Roma. Molti di loro studiano gli alberi e i semi degli alberi perché vogliono realmente impararne le leggi segrete, e non perché ambiscono a diventare custodi di conigli e spacciatori d’ossigeno per turisti domenicali, o vendere formaggio a cinquantotto euro al kilo con sottotitoli in inglese.

Il loro professore, invece, insiste sul concetto fondamentale. Loro diventeranno tecnici agroalimentari, e dovranno pensare a quei cinquantotto euro al kilo. Non importa dove, non importa poi così tanto neanche il come: se le opportunità saranno migliori, sarà opportuno anche migrare. Le montagne, in fondo, non si somigliano poi tutte?

Il problema è che questi giovani, vent’anni tutti, hanno un’altra idea in testa. Molti di loro si sono iscritti ad Agraria per completare quella che è una loro reale passione, che comunque già praticano nei boschi dietro casa. Molti di loro passano il sabato pomeriggio a potare noceti, e vorrebbero vivere in montagna ma privilegiando il vivere alla montagna, soprattutto se si tratta  della loro montagna, e la conoscenza intrinseca della natura cambia, cinquanta chilometri più in là. Hanno capito che la logica dei cinquantotto euro al kilo è la stessa che ha giustificato la pista da sci, gli scempi edilizi, la montagna che è diventata una succursale della città – come le filiali delle banche che ospita.

Hanno capito soprattutto che gli alberi di mele andrebbero potate anche se le mele non si vendono, che l’idea di una distesa piena di vigne suona più “grottesca” che “meravigliosa”, che lo schema che ti vogliono tramandare non è il più giusto, ma è solamente quello che qualcuno ha tramandato a loro. Nel nostro documentario, i vecchi si lamentano perché i giovani fuggono. Anche i giovani si lamentano perché i giovani fuggono, però poi iscrivono i figli di cinque anni alla scuola elementare della bassa valle, per fare un dispetto al sindaco del paese, che non si decide ad asfaltare la strada dietro casa loro.

Dopo il dibattito, sono salito nelle stanze dell’inquietante caserma con i ragazzi. Tra le pareti, vino e aria di guerra. I giovani sono stanchi di dover ricevere e trasmettere un’anomalia che evidentemente non funziona. Molti di loro si stanno rendendo conto che la maggior parti delle persone al potere oggi non sono solamente ignavi e ipocriti, ma sono soprattutto incapaci. Incapaci di leggere il mondo, di scrivere una rotta, di mettere in scena un’idea di futuro. Molti di loro si lamentano perché un loro professore, che muove le leve della facoltà in cui insegna, parla di “economia di montagna”, ma non sa riconoscere l’antenna televisiva camuffata da pino che svetta più alta degli altri pini, sui tetti della mia cittadina.

Un’intera generazione di giovani ha le idee chiare. Il mondo è da riscrivere, con coraggio e fantasia. Il mondo è da riscrivere, ma prima di tutto, è importante eliminare quel che non ha funzionato. Questo era quel qualcosa che volevamo raccontare nel nostro documentario.
Facendolo.

Endlessy


09 Set

Room 

Tra le vibrazioni del subwoofer e gli applausi di chi ha appena visto arrivare un amico coreano travestito da Spike Lee.

Mi parli di te, mi racconti i miei peccati e la tua storia, mi racconti un’epoca in cui tutto succede.

L’Unione Sovietica dei tuoi genitori, gli anni novanta di tuo padre, in cui ha perso tutto ed è fuggito a Londra. Gli occhi di tua madre nel momento in cui ti dice “cerca un matrimonio e fuggi, fallo per me”.

Cerco di immaginare la faccia di quel soldato statunitense e psicopatico sposato su internet mentre la festa raggiunge la sua ventesima ora ormai. Francesi e russi beveono insieme la stessa vodka di quell’appartamento che hanno vissuto quattro anni fa, sul Baltico.

Tu continui la tua storia ed è la loro storia, è la nostra storia, il nostro Sessantotto generazionale, una rivoluzione in cui non c’è più niente da conquistare ma solo qualche detrito da difendere, non più false illusioni ma la certezza di qualche migliaia di realtà virtuali, mondi possibili da immaginare, costruire e distruggere.

Domani sarai in Catalogna, dopodomani in aer per la California. Nessuno sa bene quel che sarà di questo novembre, nessuno, al nostro tavolo, ha una vaga immagine del domani.

E’ un tarlo, non credere che sia quel che io voglio, mi dici. C’è sempre qualcuno che decide per me, qualcosa che mi spinge e mi attira, e non ha senso chiamarlo destino. Non credere che sia facile rendersi conto che negli ultimi dodici mesi non ho trascorso più di cinquanta giorni in uno stesso luogo, ma anche se avessi voluto…. visti, permessi di soggiorno, sessanta giorni di contratto al massimo, google che disegna nuovi scenari possibili.

E una volta ogni sei mesi, a Pietroburgo, a cercare tracce di una casa o una famiglia, a cercar tracce di quel che rimane, a spingere fino in fondo l’acceleratore dei giorni nostri.

O forse solamente a cercare qualcuno che possa raccontarti una favola, mentre ti addormenti nel blu.

CRISI (d’identità)


06 Gen

Gli uomini e le donne nudi, a correre sotto i raggi uhv della macchina a infrarossi. Un fiore giallo che s’illumina nel grigio, nel buio, nel bianco, nel giallo. Un fiore giallo che non si vede. Strade di provincia e vicoli di periferia, basso groove elettrico odori di fogna di ghiaccio e di funghi. Generazioni ed extracomunitari, e lo 0,25 percento dei rom sta invadendo l’italia. Lo zeroventicinquepercento dei rom sta invadendo l’italia. Benzedrina nell’aria. Il tuo sesso virtuale, il mio computer reale, la nostra dimensione è una realtà relativa. E’ fragile ed indistruttibile.

L’invasione dei barbari viaggia in prima classe, ed io squattrinato ad libitum mi spendo gli ultimi miliardi di sogni leccando gli lcd dei cristalli liquidi. Per placare la sete, per bruciare la lingua, per morire di sete. Il cinismo ha sostituito lo zucchero nel caffè del mattino, e il buio ha sostituito il mattino. Il caffè si chiama sempre caffè, ma adesso è turchese vivo. L’autoradio spara un moderno tentativo di grounge, e un esercito di mongolfiere vola alto sui tetti del nemico. La televisione ha detto che dostojevski è diventato illegale, perchè fa riflettere e apre la mente e può distrarre durante la guida. Butterflies and hurricanes. Potremmo dire di vivere un’epoca porca, se solo sapessimo viverla.

Diary of a Baltic Man

Real Eyes. Real Lies. Realize.


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