Posts Tagged ‘Giornalismo’

Il buon vecchio giornalismo di domani


08 Mar

Esisteva il giornalismo, una volta. Quello buono. Quello serio. Quello riservato a una schiera di pochi eletti (che avevano la scritta “Press” sul cappello), uomini chiaramente consapevoli del proprio ruolo e dei limiti che questo comportava.

Poi venne il giornalismo. Quello spettacolare. Quello da grandi tirature. Quello innescato dal ruolo primario dei mezzi di comunicazione nelle sorti dei governi e degli uomini, quello da superstar che potevano permettersi il lusso di salire sullo stesso piedistallo degli oggetti dei loro servizi (Pinco Pallino intervistato da).

E infine, fu il tempo del giornalismo. Inteso come sportivo, gossipparo, popolare, zerbinizzante. Volti imbellettati utilizzati come amplificatori per trasmettere e inculcare un messaggio ben preciso: quello del datore di lavoro. Di un datore di lavoro che è anche politico che è anche opinion leader che è anche a capo di una holding che è anche te.

E adesso, è il tempo del giornalismo. Artigianale, esaustivo, direttamente dal produttore al consumatore. Di fronte ai principali quotidiani nazionali (tutti uguali: La Stampa è esattamente identica al tg delle 20.30, La Repubblica esiste tale e quale anche in Colombia, il taglio è quello trito e ritrito e viene messo insieme da stagisti sottopagati), appare ridicolo, una volta di più, il linguaggio dei cosiddetti “media”. Ci sono i blogs, ci sono movimenti d’opinione d’ogni sorta, ci sono esseri umani (i giornalisti) che non possono più materialmente raggiungere ogni notizia, e per ogni notizia ci sono centinaia di esseri umani che la vivono in prima persona – e hanno iniziato a esprimerla. Quando sfoglio uno qualunque di questi giornali, quando leggo questi patetici articoli messi insieme con lo schema tradizionale, provo un sentimento di autentica pena per questi costruttori di nulla, impegnati a tenere in piedi un anacronismo fatto di carta catrame e pubblicità, un unico giornale che parla le cinquemila lingue senza dire veramente niente.

La buona notizia, però, è che il giornalismo siamo anche noi. Con le nostre fotocamere, con i nostri frullatori che fanno video in full hd, con skype che permette di chiedere a un amico a fukushima di che colore è l’insalata da quelle parti. Tecnicamente non sarebbe troppo difficile attendere il sindaco di fronte al municipio, con il dito pronto sul tasto “rec”, e chiedergli “e quindi dottò, questo nuovo ospedale da cinquemilamilioni, a che cosa servirebbe?” Anche per questo, non è facile non incazzarsi di fronte a chi parla di “censura”, di “ai giornali però questo non interessa”, di “questo sì che andrebe detto in televisione”: la vera censura la operiamo noi, se continuiamo a comprare il giornalone da novanta pagine, se clicchiamo l’articolo sul vicino di casa del marito di garlasco, se condividiamo su facebook le foto dei nostri figli ancora feti e non quelle poche notizie che potrebbero interessare a qualcun altro.

Ah. A proposito: il reportage che segue l’abbiamo messo insieme – in due giorni – a Quito. Una conoscente parla di questo drammatico fenomeno silenzioso che coinvolge Haiti ed Ecuador, internet ti dice chi può spiegarti qualcosa, una videocamera e un po’ di montaggio fanno il resto. Costo totale: 10 euro (includendo due ottimi succhi di mango e maracuya con latte). La Stampa, Repubblica, Rai, Mediaset, Corriere & Co. continuano a mantenere inviati a Londra, per raccontare la pelliccia della regina.

Giornalisti in crisi d’astinenza


28 Set

Non è facile, scrivendo sui limitati spazi di un giornale, riuscire a condensare una notevole quantità di follie in una sessantina di righe. Eppure sul Venerdì de La Repubblica, magazine capace – tra l’altro – anche di pubblicare uno scoop completamente inventato, ogni tanto ci riescono.

L’articolo riportato qui sopra, a firma di Piero Ottone, è uno di quei micidiali mix di populismo e malainformazione particolarmente apprezzato dagli editori italiani, soprattutto quando sono finite le tette e i culi da spalmare un po’ di qua e un po’ di là. L’insana situazione dei media nostrana si può quindi riassumere brevemente in:

  1. …a cominciare dall’alcol, che è forse la droga meno dannosa. Sarebbe bastato un rapido giro su google per smentire questa balla colossale, nota a tutti tranne che a qualche ministro e al signor Piero Ottone.
  2. I poveri non si drogano. No? Si drogano eccome, i poveri. Semplicemente, quando non possono permettersi determinate sostanze stupefacenti, si buttano nel crack, o sniffano colla, o allungano la  cocaina con il cemento in polvere.
  3. Si sono provate tutte le strade per arginare l’uso di droghe. Si è provata la strada della severità e dell’intransigenza, come quella della liberalizzazione. Si? E dov’ero io? E dov’era Ottone? In Olanda? Il mondo è ancora piuttosto lontano da quella liberalizzazione che potrebbe rendere meno ipocrita un sistema che ingrassa le mafie di tutto il mondo.
  4. La prevenzione più valida è l’offerta di alternative che impegnino e appassionino un giovane. Lo sport è spesso lo strumento adatto. Questa è quella che più mi fa incazzare. La più patetica. Perchè lo sport è probabilmente il settore umano maggiormente colpito dal problema delle droghe, e nemmeno troppo sommessamente. Perfino i cosiddetti “atleti della domenica” al lunedì, dopo la gara rionale, pisciano blu, e non si è scoperto oggi.

Se gli spazi nei giornali continueranno ad essere occupati da questi personaggi, i giovani giornalisti continueranno a bestemmiare duro, l’opinione pubblica italiana non potrà fare altro che rincoglionirsi ulteriormente, e gli italiani all’estero presto si dichiareranno ufficialmente apolidi.

Piuttosto, tette e culi.

Io vengo dalla Luna


06 Lug

Gente, il discorso è serio. Tra un paio di mesi devo (DEVO?) tornare in Italia, e voi non mi aiutate per niente. Leggo quotidianamente repubblica.it e il corriere.it, e rimango alquanto tumefatto da ciò che è diventato ormai il mio paese. Voglio dire. Una sagra di fighe e battibecchi. Una grande osteria a cielo aperto dove chi la spara più grande vince il quartino di vino, non importa ciò che accade altrove, gli spaventevoli intrighi dello stivale la fanno sempre da padrone.

Per fare un esempio. Un paio di giorni fa si è verificato un notevole atto terroristico a Minsk, una di quelle robe che se accadessero a Berlino o a Milano Marittima sequestrerebbero la morbosa attenzione dei media per due settimane almeno. Ciònonostante, è avvenuto a Minsk, e non ci sono motivi di rilievo per aggiornare gli italioti sull’avvenimento. Molto meglio approfondire il dramma del vestito da sposa a Rapallo, ovvio. Inutile sottolineare che Minsk è a 60 km dall’Unione Europea, che da quelle parti la gente spalma il lucido da scarpe per ubriacarsi low-cost, che il dittatore Lukashenko alla fine dei conti non si è mai permesso di attaccare la magistratura del suo Paese (stavolta con la P maiuscola) perchè svolgeva il suo sacrosanto lavoro giustizialista.

A tutto ciò pensavo nei giorni della liberazione di Ingrid. Alla sposa di Rapallo, alle mogli di Tronchetti Provera, alle allegorie del criminalnano e a tutti i pregiudizi che le massaie di Voghera riescono ancora (incredibili, stupende) a lanciare contro le popolazioni cosiddette extracomunitarie. Sugli schermi della televisione scorrevano le prime pagine dei più infimi quotidiani mondiali, ma della stampa italiana nessuna traccia, come è giusto che sia. Bella gente, anche il concetto di “terzo mondo” sta cambiando. Lo dicono i giornali, inconsapevoli, ogni mattina.

Due voci, mezza verità


13 Mag

 

Colombia, Sud America. 45 milioni di abitanti ed un solo quotidiano a diffusione nazionale. Con l’eccezione de El Tiempo il servizio d’informazione cartaceo era affidato ai vari e piccoli e inutili giornali locali, ricchi di cronaca nera gialla rosa e arcobaleno, e transparentemente nulli sulle tematiche più importanti.

Tutto ciò, fino a domenica. Da 3 giorni è infatti ritornato alla quotidianità El Espectador, storica voce colombiana relegato da interessi “oscuri” negli ultimi anni al purgatorio della settimanalità.
Pur consapevole di avere tra le mani un prodotto “cugino” de El Tiempo stesso e del colosso radiotelevisivo Caracol (inciuci di famiglia, guardacaso…), il lettore del nuovo quotidiano si trova effettivamente davanti a una voce alternativa rispetto ai “bollettini presidenziali” de El Tiempo.

Dal lato pratico, lodevole l’idea di pubblicare finalmente un giornale in formato europeo (gli altri newspapers colombiani sono 3 o 4 o 5 microgiornali separati tra sè) e pericolosa (per le vendite) l’attitudine di pubblicare i pezzi migliori anche in versione online.

Chinese folklore


06 Mag

chinese-press.jpg

“En la foto, militares chinos se preparan para revestirse con ropas de monjes… tomada, a escondidas, el 20 de marzo por la Agencia de Comunicación de Gran Bretaña.

Los monjes de Lhasa dijeron que ellos estaban encerrados y en absoluto no estaban en la manifestación. Algunos lo sabían desde el 20 gracias a esta foto ‘robada’ en condiciones de control irrefutable. La foto pasó por Italia hasta nosotros, testimonio de la desinformaciòn china”

[aggiornamento – 4 anni più tardi: la foto non c’è più. Al suo posto, una gradevole pubblicità].

Diary of a Baltic Man

Real Eyes. Real Lies. Realize.


Ricerca personalizzata