Sarà qualcosa che ritorna e costantemente ritorna,
dall’altro lato del mare,
dal decimo piano di una finestra su  nebbia.
Qualcosa che semplicemente accade
nel sovraffollamento di nomi, di volti, di ombre, di momenti a luce blu.
Aurore boreali di quando eravamo piccoli, e il mercoledì era il mercato.
Prima che inventassero l’America.
Prima che scoprissero gli aerei.
Nomi fantastici riempiono di colore i cartelli, al fianco della lunga linea d’asfalto.
Humahuaca. Maimarà . Tilcara.
Micromondi significativi quanto un intero universo, galassie lontane interconnesse da una falla nel sistema.
Intere legioni di bambini scorrono lungo le loro strade polverose, popoli di indiani e cow-boy così immaginari da diventare tremendamente veri.
Ancora una volta, il paradigma del “paese†va sottobraccio con quello di “infanziaâ€.
Sono complementari, intercambiabili.
Ma non possono prescindere l’uno dall’altro: non può essere stato veramente “piccoloâ€, chi è nato in una città .
Manifesti pubblicitari appena sostituiti ai margini della Provinciale.
La memoria evolve in fantasia, ricostruisce mentalmente la geografia di luoghi e storie che improvvisamente appaiono fantastici e lontani – Humahuaca è più reale. Ottomila kilometri più in là , è possibile disegnare ogni curva ripercorsa e ripetuta nei scivolosi anni dell’infanzia, scrivere la mappatura delle buche nell’asfalto.
Non è normale. Non dovrebbe esserlo. Lo è.
Il concetto di “casa†diventa un’astrazione in qualche modo limitata.
Superate certe prove, oltrepassati i confini di Merica, l’irrazionalità diventa un surrogato necessario, la terra degli antenati.