Posts Tagged ‘Realtà virtuale’

A way to go


20 Giu

Sinners

Un personaggio sintetico si muove in un mondo reale.
Possiamo farlo correre, decidere che salti di fronte a un ostacolo sul cammino, possiamo immaginare che si fermi ad osservare quel che lo circonda.
Lo spazio che attraversa è frutto della sua esperienza, i diversi sentieri iniziano a ramificarsi mentre la storia scorre sotto i suoi piedi.
Possiamo decidere tutto di lui.

Il colore dei suoi capelli, la nobiltà della sua missione, il suo ruolo in questo mondo. Possiamo decidere tutto.

“Quanta autonomia permettere all’utente, in un universo narrativo altro?”
E dove muoiono, in quel mondo, le vittime che lasceremo sul terreno?

Immaginatevi di essere collegati a sensori di emozioni, di frequenze cardiache, di impercettibili sudorazioni incontrollate, e comunque lì, a piantare nella pelle il freddo.
Saranno le nostre emozioni a segnare il cammino. Il nostro inconscio a scegliere tra diversi finali.
E forse qualcun altro, là dietro, studierà il nostro cammino a sua volta, registrando ogni risposta.

“Possiamo decidere tutto di lui”.

Il linguaggio, diceva Borges,
“Il linguaggio è un’altra cosa”.

Galateo del nostro domani odierno


19 Set

Ma lo smartfono
a tavola
va a sinistra vicino al coltello
o sopra, dalle posate della frutta?

Facebook – hai una richiesta di amicizia


02 Feb

 

Semari Vundo vuole stringere amicizia con te.

clic.

Accetti?

clic.

Ora tu e Semari Vundo siete amici.
[dissolvenza]
Conosci Semari anche nella vita privata?

[dissolvenza]
Aiutaci a rispondere a una domanda.

clic.

Grazie per il tuo commento.

 

 

Ora tu e Semari Vundo siete amici.

 

 

Wordless


24 Dic

Una settimana con la tastiera rotta.
L’interazione con il mondo
[l’interazione con questo mondo]
affidata unicamente al mouse.

Ascoltare quel che gli altri hanno da dire,
come un barone decaduto nascosto dietro il vetro della sua finestra,
vedere questi altri dialogare, esprimersi, contorcersi, litigare
e tu, outisider superpartes del linguaggio,
lì a tenerti per te stesso i giudizi morali e ogni commento.

Senza tastiera, con la paranoia della connettività.
S’illumina skype. “Posso parlarti?”
Impossibilità di replica.
Cosa penserà di me?
Cosa penserà di me?
Senza tastiera sei colpevole a prescindere.

Con il mouse puoi navigare, leggere, anche scrivere, lettera per lettera, a copia-incolla.
Puoi dir “mi piace” e puoi anche condividere.
Hai la bocca ma non c’è la lingua, si può aspirare e respirare, ma non parlare,
e neanche leccare.

Senza lettere non puoi spiegare perché vorresti che qualcun altro ascoltasse qualcosa.
E’ un piatto fumante che offri a tutti sulla pubblica tavola,
ma non può competere con qualcun altro che spiegherà meglio.

Senza la possibilità di produrre parole, sei completamente dipendente da quelle degli altri.
Sofferenza atroce.

Salva nelle bozze?


14 Nov

Mentre inseguo e libero il momento, e ti scrivo una mail
– pezzi di adesso che si compongono in forma casuale –
osservo questi pensieri che diventano parole
e si accumulano e si sovrappongono in una massa, qui sopra
che soffoca e schiaccia un flusso autentico
penso a quest’immagine che scorre dal cervello alle mie dita
e la vedo trasformarsi in una genesi di uno e zero
la vedo intrappolata negli spazi asettici di un magazzino digitale
la vedo immortale, resistere alle stagioni, sopravvivere anche a noi
e soprattutto vedo te e forse anche me
in una sera noiosa del tempo futuro
ravanare tra la posta inviata e ritrovare questi pensieri,
che non saranno più materia superiore, pezzi di vento.

Che non saranno più sinceri,
non saranno più questo momento.

Il grande furto


23 Gen

Un filosofo dalla barba lunga l’ha scritto, su qualche rivista, un po’ di tempo fa.

Siamo nel momento chiave di internet, il tutto o niente.

Nel momento in cui, quello che é nato (per sbaglio) come la nuova, grande arma per la rivoluzione delle coscienze, rischia di essere defraudata del suo ruolo.

Se internet diventerá una semplice merce, non sará una merce come tutte le altre. Non é la televisione, non é un comodino, non é nemmeno la radio. Non é niente dotato di uno scopo preciso, “serve per questo e per questo dovrá essere usato”, non dovrebbe esserlo. Internet ha il grande potere della comunicazione multipla e infinita, si prende quel che serve e si dá quel che puó servire a qualcun altro, si “condivide” (to share).

Il potere, quell’entitá amorfa e ben vigile, tutto questo lo sa bene. E oggi tenta di organizzarsi, proprio per impedire questa condivisione, e conservare il vecchio sistema dell’imposizione. Io-dire-cosa-tu-pensare, tu-pensare-cosa-io-dire.

La nostra generazione (la generazione degli anni zero), senza volerlo e senza sceglierlo, si é trovata tra le mani questo grande strumento, se l’é trovata tra le mani ed ha iniziato a usarlo. Il risultato é un vertiginoso aumento di cultura e conoscenza, un repentino aumento della comunicazione tra i popoli, un’umanitá che inizia a dare altri valori al “bene” e al “male”.

Il filosofo dalla barba lunga concludeva con un preoccupato pessimismo. “Non é ancora scritta l’ultima parola”, diceva, “ma i segnali non sono per nulla buoni”. Le mosse dell’fbi, le strette intorno ai siti di vera libertá, il monopolio sempre piú esplicito di pochi grandi colossi della rete che fagocitano ogni buona idea sono qualcosa in piú di quei “segnali”.

L’unica cosa certa, é che indietro non sará possibile tornare.

i-Phone 400000


20 Gen

Si avvicina con sguardo volpino, dieci minuti prima dell’inizio del concerto. Il suo strumento é ancora nella custodia; ha altro a cui pensare. Tra le mani, il suo ultimo gioiello. L’iPhone 400000, ultimo prodigio dei prodigi, sei mesi dopo l’iPhone 399999.
E’ impaziente di mostrarmi le meraviglie dell’aggeggio. Mappa di navigazione stellare, condensatore di ricette giapponesi, connessione satellitare con Marte, l’intera produzione dei Simpson. C’é anche la tavola degli elementi chimici, e vorrei sapere come e perché dovrá mai utilizzare una roba del genere.

Nel corso del concerto, mi rendo conto che non é particolarmente attento allo spartito. Sul leggío c’é l’i-Phone 400000, che emana strane luci dal display. Mi chiedo cosa stia mai combinando, ma ha lo sguardo soddisfatto.

Quando il concerto é finito, si avvicina con la stessa eccitazione di due ore prima. Abbandona lo strumento vicino al termosifone, incurante della folla distratta. La sua mano destra, eretta, mi mostra l’i-Phone 400000 in tutto il suo splendore. Con uno sguardo di assenso, preme play e fa partire un rumore agghiacciante, come il suono di una motosega nel traffico di Bombay. E’ la sua registrazione, in presa diretta, del concerto appena concluso.

“Sai cos’é il bello di tutto questo?”, mi confida, prima di andarsene. “Il bello é che lo puoi caricare subito su internet, quasi come fosse in tempo reale”.

L’importanza di chiamarsi Ramon


08 Mar
“Il ramo di un albero è un bastone virtuale”
Pierre Lévy

…proseguono i tentativi di analisi delle cosiddette “sociologie da facebook”, nuova dimensione diversamente reale, che presto o tardi ci ingloberà tutti nel suo paramondo fatto di “mi piace” e pecore virtuali.
Scopro sulla mia pelle i potenti effetti di questa controversa sostanza virtuale, in quanto a “furto di personalità“. Lo scopro attraverso un processo tutto sommato involontario, di cui mi ritrovo, adesso, vittima e mandante.

Il fatto è che tempo addietro (parecchio tempo addietro, nell’era geologica della rete), ho cambiato il mio nome di accesso su quella piattaforma virtuale. Mi sono trasformato in “Ramon Pelotas”, forse perchè mi allettava l’idea di essere rappresentato da un nome particolarmente demente, forse perchè in un pueblo della Colombia centrale avevo passato una piacevole giornata con il pazzo del villaggio, un ottantacinquenne senza denti ma piuttosto abile nella charla, non ricordo nemmeno più io il motivo. Ramon Pelotas, appunto.

Fatto sta che sono diventato Ramon Pelotas, e la mia vita è cambiata. Cioè no, ho continuato ad essere quello che ero, ma per molta gente (gente “virtuale”) mi sono trasformato in una nuova identità. Un’identità che pubblica foto e video e musiche e messaggi, che commenta e condivide, che ha una faccia conosciuta (anzi trentacinque, tante sono le mie foto del “profilo”), e che, soprattutto, è assimilato a un nome. Ramon Pelotas.

Accade infatti che io viva la maggior parte del mio tempo in un luogo che è sempre “altro” rispetto a questi “amici” virtuali. Gente che comunque ha condiviso un certo periodo di tempo con l’alter ego di Ramon Pelotas, compagni di scuola o figure varie, con cui oggi, però, si mantiene – vicendevolmente – una relazione puramente virtuale. Facebook come quel che un tempo fu la chiesa, un luogo dove entri con relativo scarso interesse, soprattutto per dare un’occhiata alle faccie conosciute che potresti trovarci dentro.

Accade anche però che io di tanto in quanto torni nel mondo degli umani. Nella birreria frequentata da buona parte dei miei “amici” virtuali, per esempio – una seconda chiesa, o una seconda “farmville”. Ebbene, è lì che ritrovo facce di profili conosciuti, vecchi compagni delle elementari e canaglie di sempre, e molti, che si sorprendono di vedermi riapparire in carne ed ossa, si apprestano a salutarmi e scambiare due parole. “Allora Ramon, che racconti di nuovo?”

E’ una metamorfosi lenta, ma definitiva. Per molti di loro io continuerò ad essere un’immagine virtuale, un’immagine associata ad un nome che non è il mio, ma non importa. Facebook è la nuova chiesa, ricordiamolo. La nuova verità. Già me li vedo, sul bordo della pensione, chiedersi che fine avrà fatto quel Ramon. Me li vedo appoggiati intorno alla rete di un cantiere, a bestemmiare contro gli operai incapaci, commentando (e magari cliccando su “mi piace”) la novità del giorno: “ti ricordi quel Ramon? Quello che era alle elementari con te. E’ morto. Ho visto i manifesti. La famiglia Pelotas tragicamente annuncia….”

Sarayacu giorno 2


20 Dic

Il fiume più secco del previsto, e un carico extralarge di benzina che la comunità impiegherà per cercare nell’interno-selva palme buone per costruirci tetti. Risultato: ritardo nei permessi per partire (e non essere arrestati per contrabbando di combustibile con Perù e Brasile), lunghi e frequenti incagliamenti (scendere e spingere, please), e il viaggio spezzato da una notte passata a riposare, in una capanna abbandonata. Venti ore di viaggio anzichè le cinque-sei previste.

Sarayacu però è una conferma. Le stesse facce di un anno prima, e una nuova generazione di neonati. La stessa, sorprendente organizzazione sociale di una comunità che sa perfettamente cosa vuole e come pretenderlo, e si oppone alla costruzione di strade ma vuole radio e internet veloce.

Quindici giga di immagini nei primi due giorni. Tutto è fotografia, cartolina, umanità in movimento. Sui tavoli di legno di una capanna equatoriale, un indigeno di quarant’anni chatta su msn e un paio di ragazzi ascoltano bob marley. Emancipate yourself from mental slavery.

Fuori dal (primo) mondo


31 Mag

Traduzione veloce dell‘articolo apparso sul BlueMonk:

Riflettendo sul significato del concetto di “casa”, ci si puo’ ritrovare di fronte a situazioni piuttosto controverse, soprattutto quando i contrasti tra due situazioni sono evidenti almeno quanto i pregiudizi, e le situazioni effettive, paradossali.

Il discorso e’ che mi sono trasferito. Non vivo piu’ in una casetta sulla spiaggia dell’Oceano Atlantico, frazione di Salgar, municipio di Puerto Colombia; sono tornato nel punto di incontro tra Alpi ed Appennini, in un punto qualsiasi delle montagne della vecchia Italia, dove sono nato. Nonostante le differenze possano sembrare infinite, mi stavo dedicando all’esercizio di focalizzare le similitudini, in una specie di studio di un’immaginaria “sociologia dei paesini”, quando un altro tipo di riflessione, questa volta, relativa alla geopolitica ed alle comunicazioni, ha deviato il corso dei miei futili pensieri.

E mi rendo conto, adesso, di come ero fin troppo ben abituato nella mia casetta senza vetri alle finestre, la’ fuori da ogni mappa. D’accordo che dovevo passare la scopa ogni volta che tornavo a casa, di sera, per tirar via mezzo kilo di sabbia dal pavimento. Si spegneva la luce della cucina ogni volta che il frigo si accendeva in automatico – che si puo’ fare. Avevo perfino dovuto condividere diverse volte il mio cibo con ogni tipo di esseri viventi di ogni dimensione, che  saltavano fuori – da chissa’ dove – ad ogni disattenzione. Cosi’ e’ il Tropico.

Eppure, non e’ poca cosa, per un viaggiatore postmoderno ed ipocrita, costantemente incollato a quello che rimane indietro attraverso il web. E la’, nella casetta di Salgar, avevo internet. Qualcosa che nel municipio di Viola, al nord di Italia, piena Unione Europea, pare impossibile.

Ragioni economiche? Politiche? Disattenzione? Chi lo sa. Tutto e niente, a quanto pare. Gli indigeni locali dicono che il cavo dell’ADSL e’ arrivato solamente fino a valle, dimenticandosi di chi vive qualche kilometro piu’ in su. Pero’ in realta’ si sa che il caro signor B. – che, come si sa, ha fondato il suo impero sulla trash-tv commerciale – fa tutto il possibile per frenare l’evoluzione di internet e continuare cosi’ nell’era primordiale della “scatola magica” – un mezzo di comunicazione obsoleto ormai da decenni, nonostante lo dipingano oggi di “digitale” (il fornitore unico dei decoder? Paolo B. Fratello di Sua Maesta’).

Il risultato e’ che la conclusione di qualsiasi analisi di osservazione continua ad essere lo stesso: “primo” e “terzo” mondo sono concetti arbitrari e piuttosto antipatici, una volta di piu’. Se l’accesso ad internet e’ ormai una discriminante fondamentale nel livello di sviluppo di un Paese, si consideri che in Italia il 12 percento della popolazione continua a vivere coattivamente disconnessa dal mondo.

E nella mia casetta di Salgar, tra sabbia ed elettricita’ precaria, insetti e finestre senza vetri, ho trovato, finalmente, il progresso. Wireless.

Diary of a Baltic Man

Real Eyes. Real Lies. Realize.


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