Una stazione di servizio unta e scura, persa nella periferia metropolitana di Kaolack.
La processione dei taxi, umanità di varie forme e colore. L’Africa si muove su peugeot di primi anni 80.
I suoni, i rumori, annegano nel traffico.
Sulla destra, a sessanta centimetri dal mio braccio, un carro a cavalli supera sulla destra tutti gli altri.
Una stazione di servizio unta e scura, un luogo tra mille, nella tangenziale di Kaolack
Nomi senza un riferimento precedente, storie che scorrono su parallele altre.
Un ragazzo armeggia con il suo scooter, laggiù in fondo, vicino al buio.
L’improvvisa sensazione di essere lui.
L’improvvisa sensazione di essere lui.
Come se per davvero, in un altro momento di questo preciso luogo,
io stia veramente sperimentando la sua precisa esperienza.
Immerso nella profondità ignota di ogni suo pensiero.
Circondato da un futuro, un presente e un passato diverso.
Una stazione di servizio unta e scura, che scorre lentamente nel finestrino di Kaolack.
Dostoevskij e l’ipod spento accartocciati sulle ginocchia.
E tutto l’immaginario di tristi periferie
tra cinema dell’orrore
e bassa pornografia
che genera e produce certi pezzi di noi.