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Il grande furto


23 Gen

Un filosofo dalla barba lunga l’ha scritto, su qualche rivista, un po’ di tempo fa.

Siamo nel momento chiave di internet, il tutto o niente.

Nel momento in cui, quello che é nato (per sbaglio) come la nuova, grande arma per la rivoluzione delle coscienze, rischia di essere defraudata del suo ruolo.

Se internet diventerá una semplice merce, non sará una merce come tutte le altre. Non é la televisione, non é un comodino, non é nemmeno la radio. Non é niente dotato di uno scopo preciso, “serve per questo e per questo dovrá essere usato”, non dovrebbe esserlo. Internet ha il grande potere della comunicazione multipla e infinita, si prende quel che serve e si dá quel che puó servire a qualcun altro, si “condivide” (to share).

Il potere, quell’entitá amorfa e ben vigile, tutto questo lo sa bene. E oggi tenta di organizzarsi, proprio per impedire questa condivisione, e conservare il vecchio sistema dell’imposizione. Io-dire-cosa-tu-pensare, tu-pensare-cosa-io-dire.

La nostra generazione (la generazione degli anni zero), senza volerlo e senza sceglierlo, si é trovata tra le mani questo grande strumento, se l’é trovata tra le mani ed ha iniziato a usarlo. Il risultato é un vertiginoso aumento di cultura e conoscenza, un repentino aumento della comunicazione tra i popoli, un’umanitá che inizia a dare altri valori al “bene” e al “male”.

Il filosofo dalla barba lunga concludeva con un preoccupato pessimismo. “Non é ancora scritta l’ultima parola”, diceva, “ma i segnali non sono per nulla buoni”. Le mosse dell’fbi, le strette intorno ai siti di vera libertá, il monopolio sempre piú esplicito di pochi grandi colossi della rete che fagocitano ogni buona idea sono qualcosa in piú di quei “segnali”.

L’unica cosa certa, é che indietro non sará possibile tornare.

Topi


15 Giu

Scrivo mentre c’è un topo che tenta disperatamente di strapparsi la sua libertà.
Si accanisce anima e corpo contro le sbarre bianche della sua gabbietta, tenta di forzare uno spazio disegnato dal ferro.
Ieri c’è riuscito, per la prima volta da quando abito sul suo stesso tavolo.
Stavo leggendo le notizie su El Paìs, quando è apparsa questa macchia pelosa nell’oscurità.
La sua padrona aveva dimenticato di inserire la chiusura di sicurezza alla gabbietta, dopo avergli dato l’insalata.
La mia coinquilina aveva dimenticato di inserire la chiusura di sicurezza alla gabbietta, lei che non scorda mai nulla, nemmeno le parole del suo fidanzato, lanciate cinque anni prima.
Ho visto passare questo topo a fianco del mio mouse, ma sono restati indifferenti, l’uno all’altro.
E’ un mouse della Dell, di quelli neri con i due bottoncini bianchi, probabilmente il criceto non si è riconosciuto nella sua immagine.
E’ stato un momento realmente difficile, non ho saputo bene come agire.
Stavo leggendo le notizie relative a Gheddafi, e ai giovani indignati di Spagna.
Gente che prova a tagliare le catene, che disperatamente cerca di guadagnarsi la sua libertà.
Ho preso il topo e l’ho ricoperto di un pezzo di plastica rosa, quello che usa per simulare le sue grotte notturne, quello su cui corre, e non mi lascia dormire.
Nella parte di sotto c’era l’Internazionale, un numero di aprile, uno che si intitola “Pane e libertà“.
Ho fatto pressione e ho sollevato la rivista con il pezzo di plastica schiacciato lì sopra.
Il topo era nel mezzo, osservava perplesso la situazione, non sapeva nemmeno lui come interpretarla.
La gabbia del topo ha una porta anche sul soffitto, linee bianche un po’ arrugginite.
Ho rimesso il topo nella sua gabbia, mi sono premurato di chiudere bene le due vie d’uscita.
Quando ho spiegato tutto alla mia coinquilina, lei era contenta. Mi ha ringraziato.

Da quel momento, ho come l’impressione che il topo mi fissi dritto negli occhi.

Leon Bruno


10 Giu

Erano giorni sostanzialmente rock, nel senso che il significato ultimo delle cose consisteva nell’osservare con una certa fatalità intere vite – le nostre, quelle degli altri – scorrere verso la stessa galleria fatta di niente. Persino il sole era nero, annullato da una patina di inconsistenza, sulle nostre teste. Voci di personaggi morti da tempo gridavano il loro vaffanculo dietro le nostre orecchie, voci cariche di veleno verso quell’esercito di ignavi di cui abbondano le storie nascoste, voci di quegli unici eroi senza cavallo né spada che ancora oggi risplendono nel paradiso degli esseri inquieti.

Lontani dal quarantacinquesimo parallelo, lontani da una città che per motivi diversi avremmo anche potuto definire nostra. Apolidi di un territorio fatto di regole assurde definiti dai folli del piano di sopra, camminanti perpetui di una staticità a cui ci eravamo adattati con un certo livello di comfort. Avevamo entrambi i nostri patemi, miliardi di illusioni da inseguire, cumuli di errori dietro alle spalle e trecentocinquanta watt ad aggiungere vibrazioni al nostro  essere vivi. Eravamo esseri umani sostanzialmente brutti, e per questo ci piacevamo.

Ascoltavo le tue storie di quel giorno in ambasciata, a provare a spiegare ad un uomo in divisa che un figlio, per crescere, ha bisogno di un padre. Che non dovrebbero esistere frontiere né pezzi di carta né bolli e timbri, nella logica della natura umana. Pensavo che sarei diventato anch’io un cantante rock, se fossi nato dalla parte sbagliata del mondo. Per cercare in fondo alle corde vocali la legittima difesa da scagliare sul muso di chi offende con noncuranza ed ipocrisia. Per provare a dipingere una concreta linea nera sul fantasma trasparente della libertà.

Leon Bruno è voce grossa nel panorama musicale colombiano. Attiva da più di dieci anni, la band barranquillera ha suonato al fianco di importanti artisti nazionali ed internazionali. Il loro frontman, Moncho, è una delle ultime anime veramente pure che solcano i palcoscenici della nostra era puttana.

Don’t let school get in the way of your education


25 Set

Come nei film di Jean Luc Godard, la confusione tra realtà e finzione. E un bel giorno obama sarà fotografato con una chitarra elettrica e una fascia rossa sulla fronte, woodstock quarant’anni dopo. Ho trovato il mare nella mia stanza, in alto a destra nella finestra senza vetri, più in là dell’eternit sul tetto dei vicini, e c’è una barca di cinesi all’orizzonte. Undici corte ore di una notte passata a studiare e delirare, a studiare il delirio, Descartes La Shoah Frescobaldi La PFM Rossellini Pablo Neruda Jim Jarmusch la conoscenza criolla il tutto il niente e poi apri liberopuntoit e ci trovi lo scandalo del sesso orale tra l’avvocata e il detenuto. Niente da eccepire sul piano legale, il problema è deontologico. Morte alla deontologia, allora, se si oppone a un sano pompino. Morte a tutto ciò che va contro ciò che resta della libertà, e soppressione assistita per chi attenta alla PROPRIA libertà personale. Non è la televisione ad essere sbagliata. Sono i suoi spettatori.

Un tratto distintivo che accomuna i personaggi rappresentati in queste prime opere cinematografiche è costituito dal mettere in scena persone che vivono ai confini della comunità d’appartenenza, ai margini della società americana contemporanea: sono individui privi di un particolare percorso di vita, incapaci di decidere autonomamente il proprio destino, alienati da una vita sempre uguale a se stessa

Trippin’ Colombia


03 Giu

Di viaggio, di musica, di immagini. Di sguardi dall’alto su vite giù in basso. Di cavalli, di scarpe, di movimento e di lento incedere. Di bambini, di vecchi, di urla e di suoni, di pappagalli e di minotauri, di verde e d’azzurro.

Di psichedelìe e “solitarietà“. Di compagnìe e libertà.

Diary of a Baltic Man

Real Eyes. Real Lies. Realize.


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