Posts Tagged ‘lontananza’

All’ombra di un raggio di sole


06 Set

Gozando de la Boca

Sento le dita che scivolano e stringono, la materia che diventa trasparente.
Uno stesso suono impregna l’aria. Un’eco di qualcosa che ancora deve accadere, eppure già svanisce.
Un’eco di qualcosa che sta accadendo, si diluisce.

Nel paese da cui provengo, vivo e mi nutro di vicinanza come di lontananza.
E’ una terra senza appigli, nemmeno le rondini posano i loro piedi sui rami dei nostri alberi.
E’ un mare di sassi e scogli, tappeto di roccia sotto la consistenza liquida.

Il morso del desiderio
la carne che brucia
il cervello che si bagna di adrenalina
per difendersi dalle forme che lo assalgono.

Dove sei, in tutto questo?
In tutto questo, dove sei?
Nello spazio concreto del mio volerti.
Sei un pensiero, un’idea, una domanda, sei l’immagine racchiusa in un fascio di luce.
Da lontano io ti attraverso e ti sto dentro.
Da lontano copri il mio corpo e mi travolgi.

Al paese verso cui sto volgendo,
si vive di lontananza come di vicinanza.
I frutti della terra devono il loro sapore all’amaro in bocca di chi li coglie
anche l’acqua riporta il sapore di quel che non c’è.

Vado lì, lontano, per non smettere di essere.

E se tutto sarà un’illusione
[in-ludo]
allora saremo rimasti autentici.

Gravitá permanente


10 Ago

C’è la completa lontananza, lo specchio migliore per osservare qualcosa di interessante attraverso nuove prospettive, e si manifesta sottoforma di goccie d’acqua di un rubinetto che perde. La lontananza come bene necessario, come barriera per difendere da orecchi terzi le lunghe ore di conversazione tra anima e coscienza. Il sentirsi straniero per ritrovarsi a pensare nella propria lingua, ed impararne la grammatica sulle cattedre di scuola. Paradossi a cielo aperto, proprio lí dove i paradossi abbondano, un destino maledetto perché maledetta è la storia di questa terra, prima dei bianchi prima dei neri e prima ancora degli Indios, prima dell’invenzione di un dio necessario per maledire. Una solitudine condivisa, incastro tra jing e jang, bianco e nero fondono tra loro. Lo specchio della lontananza ora che lo specchio non c’è più, spaccato in sette frantumi da un rospo imparanoiato terminato chissá come nella mia stanza, maledetto sia anche il rospo.

La disillusione nello scrivere storie assurde senza il bisogno di inventarle; la quotidianità stessa è una storia assurda e la sua rappresentazione, nient’altro che un capolavoro fotografico.

Ocean Breathe (e interferenze moleste)


21 Apr

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Invidio il tempo in cui la lontanza era entità tangibile, e gli Oceani erano Oceani.
Quell’epoca ormai andata del “mollo tutto e cambio vita”, self-balla raccontata da milioni di sè stessi ad altrettanti milioni di sè stessi ma che perlomeno lasciava il seme della speranza. Ormai non si può più.
Non si può più costruire un programma e vivere di sogni perchè il Vecchio Mondo s’intromette, non esistono più le barriere, e gli Oceani non sono più Oceani.
Nessuno può più immergersi nelle scuse della lontananza, psicofisicaemotiva, per costruirsi castelli duraturi nel lato di qua: la falla s’incontra nella Casella Mail, tremendo uccello del malaugurio quotidiano, che senza navi e senza aerei non si sa come attraversa gli oceani.
E’ scomparsa la sudditanza agli spazi fisici, precisi contenitori di regole rigide a cui non si poteva scappare, e con lei sono scomparsi non solo i muli e i cavalli ma anche i treni e i piedi, per rimanere agganciati a metalliche ali.
E’ andata perduta l’arte dell’ubiquità, il mistico incedere di vite parallele intercomunicanti su pezzi di carta gialla, è andata perduta nei vuoti telegrammi giornalieri imposti da entità lontane.
Non c’è più niente da raccontare, dall’altra parte del muro, e non perchè si sappia già tutto ma perchè nessuno le vuole più conoscere, ho visto dar fuoco a montagne di libri per produrre batterie al litio.
Tutti insieme abbiamo rinunciato alla magia della solitudine, incatenandoci l’uno con l’altro allo stesso albero di piombo, e scappando tutti insieme e tutti insieme nella stessa direzione ci siamo ritrovati in massa, dall’altro lato dell’Oceano.

Mi parli di cose che non voglio sentire, ti infili in cuniculi bui per raccontarmi metriche complesse, e semplici, e inutili. Mi annoi. Ti ascolto solo quando mi urli addosso i miei fallimenti, mi rendono più dolce la brezza al rhum. Dimmi dove devo essere, scrivimi cosa devo fare, allega alle tue mail un paio di manette. Cercherò di scappare ancora più lontano.

p.s. I piedi son di Leo.

Diary of a Baltic Man

Real Eyes. Real Lies. Realize.


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