Mi chiamo Karenin, o perlomeno si chiama così quella parte di me che esiste da questo lato del mondo. Sì, perché io ho due vite, sono due persone diverse, sono un doppio del me stesso originale che ha smesso di essere unico quando ha iniziato ad esser sé stesso, in versione originale.
Ho due vite e ho due cappotti, da indossare a seconda delle stagioni. E proprio come si può sfuggire agli inverni troppo lunghi, con un aereo per Honolulu, io posso sfuggire alla mia vita troppo fredda volando di là dal muro. Perché proprio l’aereo è la mia chiave, la stanza segreta nascosta dietro un armadio dell’FBI dove mi spoglio di tutto e mi reincarno nell’altro me stesso. Carl Kent sale sull’aereo e Superman ne scende, anche se la faccia è sempre uguale a quella stampata sul passaporto, quando avevo i capelli lunghi, ed ero solo Karenin, Karenin per tutti.
Ho due vite e non si toccheranno mai fra loro. Un aereo sarà sempre la barriera impenetrabile sospesa tra i due mondi a dividerli, ad evitare la collisione di cose e di persone nella camera iperbarica del mio cervello. Da un lato retaggi di tradizioni millenari si fondono nell’immagine del Karenin proiettata al mondo, dall’altro un’esplosione di fantasia plasma un filtro di colori con cui guardare il mondo. Io, ogni tanto, mi diverto a raccontare ai compagni di viaggio di uno dei due lati i profumi i sapori e le scale di valori che regolano la vita nell’altra vita, come quel bambino che cercava di descrivere a un cieco la mela e quello gli chiedeva “spiegami com’è il rosso e com’è il giallo”.
Io ho due vite, e non so più qual’è l’originale.