Posts Tagged ‘morte’

Continuum spazioatemporale


09 Giu

…dice che c’è un unico filo invisibile che ci lega tutti, anche se noi non lo sappiamo.
Anche per questo ogni volta che passa davanti al vecchio cimitero di quella borgata ormai persa, si ferma.
Arresta la macchina in mezzo alla strada, tronca i suoi discorsi a metà, rimane in silenzio mezzo minuto.
Di fronte al cancello arrugginito di un cimitero lontano duemila km da casa sua, nel silenzio di chi è passato su quella terra cent’anni prima di tutti noi, tra le tombe bianche di chi non è nemmeno più un nome e non era ancora una fotografia, lui sente la forza del filo invisibile.

Azzurro, arancione e nero


21 Gen

Aurora boreale. Tre pennellate forti e definitive: azzurro, arancione, nero. Senza passato né futuro, senza terra o destinazione, solamente emozioni sospese nell’aria a diecimila metri d’altezza.

Non credo negli dei, negli angeli e nei miracoli. Però soprattutto non credo nella terra, nel senso ultimo di un qualcosa che sei miliardi di persone si ostinano a cercare nell’infima miseria della vita quotidiana. Credo nel cielo, spazio aperto e infinito, che inizia dove finisce la nostra carne e cosa nasconde chissà.

Credo nel cielo, è meraviglioso e tangibile fuori dal finestrino. Laggiù sotto le nuvole c’è la groenlandia, la terra del ghiaccio, e il freddo arriva su fin nelle ossa, in questo risveglio improvviso. So perfettamente che non stavo sognando, che è tutto vero, che è vero che non è vero niente. So perfettamente che il sogno è questo, io sospeso in una capsula metallica che mi porterà là dove tu non ci sei più.

Pensieri? Pochi e confusi, vince su tutto l’immensità azzurra e arancione, e l’ultima stella della notte. Solo adesso per esempio mi rendo conto che non abbiamo mai parlato di morte. Di niente, di bici, di amici, di coerenza, di sogni, di sesso, d’amore, d’assurdo, di tutti gli altri, di noi, di tutto questo abbiamo parlato, e mai di morte.

Forse era meglio così. Eravamo giovani, e lo saremmo sempre stati. Tu ci sei riuscito; io, da oggi, sono improvvisamente più vecchio.

Poi viene su una strana sensazione di sopravvivenza. L’inizio di un gioco beffardo, una roulette russa che si risolve in un uno-contro-l’altro, un conto alla rovescia. Fuori dal finestrino c’è un vuoto, ma è un vuoto che in qualche modo scalda e conforta, muove la speranza verso una forma di consapevolezza in un certo senso superiore. Forse non c’è niente dopo la morte, forse sì. Sicuramente non c’è niente giù su quella terra, tranne una linea di tempo effimera che brucia tra le mani.

Sarà stata l’esperienza mistica di crescere insieme, e guardare il mondo che prende forma ed aver voglia di fuggire. Oggi che tu te ne sei andato, questo spazio definitivo che toglie il respiro è molto più di una tentazione. Il cielo esiste, e noi non ne sappiamo niente.

Il cielo esiste, è tutto ciò che realmente possediamo. Esiste ed ha una voce ed è una vibrazione, troppo debole o immensamente forti per le nostre orecchie di membrane ed ossa. C’è chi lo chiama dimensione e chi lo chiama paradiso, chi ne ha paura e chi aspetta di arrivarci. Io rimango incollato al finestrino e contemplo questo nulla pieno di tutto. So che da qualche parte, tra questo azzurro, questo aracione e questo nero, ci sei anche tu.

Goodbye
Testo: Somewhere in the sky, 17 gennaio 2010.
Foto: Somewhere in the earth, Marco in un giorno in cui si viaggiava verso nord. Ottobre 2006.

Abraxas


16 Lug

Si erano conosciute quasi per caso, nel lento incedere di un pomeriggio di qualche anno prima. Lei stava regalando al sole di Puerto Colombia l’incanto della sua pelle giovane, quando vide avvicinarsi, dondolando su sè stessa, quella vecchia negra dal cestino di aguacate e mangos in testa. “Non scrivere poesie d’amore”, le disse. “Se vuoi scrivere di te, inventati racconti d’odio, storie di tormenti”. Si spense il vento e si fermarono le onde. Perfino il centenario muelle stava per sgretolarsi sotto il peso di quella negra, di quella negra e delle sue parole di piombo.
Secondo il principio che porta due anime a loro modo profonde ad autolesionarsi di paranoia, modificando percezione sensibilità e comportamento verso un’arbitraria azione impercettibile, nasceva in quel giorno uno stretto rapporto d’intesa tra loro. Sarebbero passati quindi mesi senza incontri reciproci, perchè entrambe sapevano che, quasi inconsciamente, lei finiva per apparire di tanto in quanto nell’antro di polvere e erbe mai viste della vecchia negra, per intravedere tra le ragnatele la soluzione ai problemi che di volta in volta tormentavano i suoi vent’anni.
Fino a che, un giorno, lui successe nella sua vita. Aveva attraversato l’Oceano carico di niente, e perso nel suo vuoto più totale lei l’aveva incontrato seguendo il profumo impercettibile della Perdizione. La fusione reciproca fu totale, ed esplose in una dimensione parallela dove tutto il mondo fino ad allora quotidiano rimaneva fuori dalla porta. Scoprivano insieme le mille strade dell’orgasmo e nessuna portava così lontano come il labirinto di parole in cui si chiudevano dopo l’amore. Un giorno, lei gli aveva parlato di quella strana negra di Puerto Colombia, accadde nei tempi in cui la sua famiglia minacciava il Peggio possibile se non avesse abbandonato immediatamente quell’europeo dalle pezze sul culo che infastidiva il loro naso col suo impercettibile odore di Perdizione. L’immagine della negra dai poteri ignoti ma dall’ipersensibilità certa era forte nella sua memoria, ultimo spiraglio di ragione prima dell’inevitabile fuga che entrambi avevano pianificato nella ricerca dell’estasi e del paradiso.
Accadde così che una sera la negra la chiamò. Non le disse come si era procurata il suo numero e nemmeno le disse perchè, le manifestò solamente il suo urgente bisogno di parlarle, all’alba successiva, nel suo antro di Puerto Colombia.
Ci andarono insieme, poi lei lo baciò sulle labbra, e lui la aspettò per ore e ore, e c’era una festa di paese quel giorno, e i bambini ballavano salsa tra le gambe delle madri, e le nonne celebravano e la musica e le gambe si fermarono solamente quando un grido parlava, disperato, di un cadavere, di un europeo e delle onde contro il muelle di Puerto Colombia.

Foto di C,eci.

Black holes


10 Mag

Scendi per strada cercando la tua moltitudine giusta, in quella fiumana di genti diverse diverse da te. Dritto avanti a passo deciso verso la catastrofe. Hasta ahora todo va bien, hasta ahora todo va bien, hasta ahora todo va bien. Il contorno sonoro è insopportabile, respiri e urla di una città qualunque in un momento qualunque, adesso il contorno sonoro è inesistente o il filtro delle tue orecchie ha cancellato il mondo. Un mototaxi impazzito recita contromano il suo dribbling folle sul marciapiede.
Il fischio nelle orecchie lasciato dalla sua voce è forte, gli occhi bruciano e non è il sole dei caraibi, la pelle è gelata di sudore strano, decisamente fuori luogo sotto il sole dei caraibi. Disgraziate anime si riflettono nella miriade di specchi dispersi lungo la strada.
Dritto avanti a passo deciso verso il chissà, scrollando dalle spalle il peso di un anno e mezzo di vita, scrivendo la parola fine proprio lì dove non l’avresti aspettata mai, dopo mesi giorni e millenni di promesse e verità rinnegate nel fondo dell’etere, dopo fellings continuativi che superavano le montagne e asfaltavano gli oceani.
Il telefono squilla e l’istinto lo spegne, il mondo richiama a rumbe elettroniche che da questa sera segneranno l’inizio di nuovi capitoli, pagine bianche e vergini che con consenziente masochismo s’immolano alla consapevolezza di futuri dolori. Quattro operai affaccendati a lavare un semaforo, la città sprofonda nella sua propria vergogna e quelli si inutilizzano nel fondamentale atto di lavare un semaforo. Piovono dal cielo rimorsi di coscienza, effetti collaterali non del tutto previsti e tantomeno illegittimi. Piovono dal cielo e l’istinto li spegne.

Lì vicino, nella polvere dell’ombra sotto un mango, un cane schifoso si morde le costole e regala uno sguardo d’intesa alle bestie sue simili.

You could never be as good as she...

Diary of a Baltic Man

Real Eyes. Real Lies. Realize.


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