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Via Castello 57


06 Lug

Quattro minuti, cinque di silenzio.
La stanza azzurra, il colore dell’inverno, la caffettiera, smembrata in pezzi, che asciuga al caldo sopra la stufa.
“Addestrava i cani a non mordere. Gli si sono rivoltati contro. Lo hanno mangiato”.
La signora F. aveva parlato all’improvviso.
Guardava verso il pavimento, e lentamente si massaggiava le gambe.
Aveva detto solo quello, senza aggiungere altro. Una notizia sul giornale, portato dal postino il giorno prima, ricordata tra le altre. Un messaggio dal mondo. Ecco quel che succede laggiù.

Poi aveva aggiunto: “Se fosse stato a casa, non sarebbe successo”.
Lo diceva per tutto: incidenti in montagna, vittime del terrorismo, uomini sbranati dai cani.
Era un rimprovero cinico, ma anche un dato di fatto. E non voleva dire nulla.

Nulla.
Il totale disinteresse verso le cose del mondo. La piena dissociazione.
Come se non volesse assumersi più responsabilità. Come un tentativo di dire: “ci hanno provato. Non ha funzionato”.
La signora F. pareva dire così ogni volta che il postino chiedeva informazioni circa i suoi clienti. Gli abitanti della borgata.
“Bernardo? Aveva un bel parlare, lui…”
“Delfu? Questa volta si è fermato. Non balla più”.
La signora F., che aveva passato gli ultimi quarant’anni della sua vita dietro la sua finestra. Lentamente aveva visto tutti gli altri raggiungerla, perdere il passo, rallentare. E sorrideva del loro destino. Un “loro” comune, che includeva un plurale indefinito, una sorta d’ironico “noi”.
Ecco, ad essere sincera con se stessa, forse non si sarebbe mai aspettata di poter condividere, un giorno, un “noi” con quella gente. Così diversa, ostile, lontana. Uomini. Uomini del paese. Quelli con cui aveva condiviso un particolare e definito tempo storico, ed era quello che adesso li riuniva, tutto quel che gli apparteneva.

Considerazioni sociologiche da postino part-time


20 Lug

..una figura in netta decadenza, si sa. I postini, ma anche i preti, non sono più quelli di una volta. Eppure continuano ad essere – entrambi, indiscriminatamente – l’ultimo ponte di collegamento tra intere comunità di anime abbandonate a se stesse ed entità (Dio, Stato…) che un poco alla volta paiono dimenticarsi di loro.

Il postino di un paesello X in una provincia X a bassa densità abitativa, per esempio, inerpicandosi su per quelle stradine dal classico “qui ci passa solo il postino”, scopre un mondo fatto di cascine abbandonate, pietre di Langa gettate alle ortiche, stoiche vecchiette dal fazzoletto in testa e lo sguardo duro che ancora resiste, e non si piega alla logica illogica di un Paese che costruisce e distrugge, là dietro il campo d’orzo ormai cotto dal sole di luglio.

Un paio di chilometri più in là, invece, lo sguardo è spento. Il signor C. ha smesso di camminare e anche di parlare, e d’altra parte, lui non sa il bielorusso e Tatsiana non parla piemontese. L’italiano è lingua straniera per tutti e due, e comunque non ci sarebbe più niente da dire. Entrambi aspettano il giornale del venerdì, e forse anche qualcosa di più.

Il postino continua ed è insensibile, è un pezzo qualsiasi di un ingranaggio che va avanti comunque. E si arrampica per le colline, a portar cartoline e bollette ad un paesino che nessuno sa più dove sia. Cent’anni qua ci vivevano cinquecento persone, gli dice la segretaria comunale. E lui pensa al condominio anni settanta, laggiù in città, il primo del lungo giro. Tutta la posta del paesino anoressico starebbe nelle sue  buche delle lettere, strano ma vero.

I giornali. Settimanale cattolico-ecclesiastico. Settimanale cattolico-bigotto-locale. Settimanale cattolico-nazionale, un pezzo di storia nazionalpopolare. Un quotidiano nazionale qua e là, nei ristoranti. Svariati magazine di agricoltura. Un nome femminile abbonato a Umanità Nova, settimanale anarchico. Chissà se un’anarchica accetta inviti a cena dai postini.

I colleghi. In buona parte, gente repressa. Gente frustrata. Gente che ascolta tutte le mattine lo stesso cd, per di più, un pessimo cd. Gente che aspira ad un briciolo di potere in più per riversare la loro mediocrità sugli altri, e vive di intrighi. Qualcuno – pochi – aspetta in serena meditazione il momento della fuga. Gli altri s’incazzano, berlusconi ha aumentato ancora l’età della pensione.

Tanti stranieri, ovunque. Quelli buoni, che comprano le case di pietra, tirano giù l’intonaco che qualche genio appiccò negli anni cinquanta, e si nascondono tra faggi e vigne, parlano tedesco. Quelli cattivi, che hanno i nomi pieni di “h”, e ricevono solo atti giudiziari perchè rubano e violentano neonati. Tutti, buoni e cattivi, sono “stranieri”, e continueranno ad esserlo sempre. Anche dopo vent’anni.

Senso di abbandono. Nessuno scrive più cartoline, solo i bambini ai loro nonni. La signora Franca, vedova, ogni giorno si affaccia e chiede “c’è qualcosa per me”. Ogni tanto arriva una bolletta. Al venerdì, il giornale. Nei giorni di vacche magre, deve accontentarsi dell’immondizia pubblicitaria dei grandi magazzini. Sei bottiglie d’acqua a un euro e quarantanove, bisogna accontentarsi.

Caprioli. Cinque, piccoli, bellissimi. Una madre spaventata, i cuccioli che non hanno ancora capito bene che esistono rumori amici e rumori nemici, e quello del motore, è sempre nemico. Rimangono storditi, scivolano, si rialzano. Poi scappano giù, nel loro angolo di selva, nella loro valle ancora selvatica, nella terra sacra che si incunea tra l’acciaieria, l’autostrada e la civiltà.

Diary of a Baltic Man

Real Eyes. Real Lies. Realize.


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