Posts Tagged ‘Salgar’

Arena entre las teclas


13 Mag

Questa mattina la barra spaziatrice del mac è rimasta incollata al suo fondo.

Il salnitro, che giorno e notte invade l’aria di Salgar, si sta mangiando i meccanismi elettronici che danno accesso al mio mondo virtuale.

Tutto suggerisce una rapida fuga.

Salgaragain


30 Apr

Brisa

Humores de tròpico

Quitar la camisa

Paredes Sutiles

Puntigliosa rutina

Movimiento de hamaca

Contracolpe de brisa.

Venerdì Santo a Macondo


20 Apr

Gabriel Garcìa Màrquez muriò
el ùnico dìa en que no salìan los periòdicos.

La notizia che tutti i giornalisti aspettavano
è rimasta troncata a metà.

Y como dijo el Maese
la realidad le ganò a la màgia.

Inbox – oggetti abbandonati sugli scaffali


17 Ott
Latito, hai ragione!
Ma avevo i miei buoni motivi. 
Il principale dei quali è: non avrei saputo che scrivere.
L’ambientamento a questa ultima faccenda ha assorbito le sue buone energia, 
tra chilometri sotto le suole e sana impotenza di fronte 
a certi problemi tipicamente caraibici,
tipo trovare nella Bombay del centro di Barranquilla tutto 
ciò che può servire in una casa, qualcosa tipo Ikea dei poveri.
Adesso, però, tutto sta prendendo la sua giusta piega.
I miei giorni iniziano con una secchiata d’acqua addosso nel patio dietro casa,
poi tutto ciò che succede si sta rivelando piacevole.
Come previsto, sono bastati pochi chilometri per separare 
nettamente Barranquilla da me, 
con il piacevole risultato di eliminare l’eliminabile.
In altre parole, passo buona parte del mio tempo in piacevole solitudine, 
forse perchè, ambientalmente parlando, il contesto aiuta. 
Oggi è mercoledì, per esempio.
Ogni mercoledì sera, per esempio, a Salgar la luce misteriosamente sparisce.
L’immagine di questo pueblo a lume di candela, con le stradine di sabbia e il
boato dell’oceano in sottofondo, è un momento di puro calòr.
Poi c’è l’università. Mi hanno dato un ufficio, mi hanno dato un computer,
mi hanno dato un corso di Italiano 1 e mi danno del lei. In più, mi danno libero accesso
alla mediateca universitaria, non solo ottimi libri – in italiano – 
ma anche una caterva di dvd. Non mi lamento. 
I miei studenti sono un bel gruppo, dai 17 ai 40 anni,
ed ormai viaggiamo per la sesta lezione, tra grammatica arti e cultura generale.
Ho una certa libertà nei contenuti, cerco di approfittarne.
Anche se ciò comporta sostituire tiziano ferro con giovanni lindo ferretti.
Venerdì, invece, inizio le lezioni della specialistica.
Due materie già da adesso, due materie più avanti.
E tu invece? Sapevo da fonti certe che eri partito in bici verso oriente.
Calcolando la velocità di internet in Val Mongia, 
il messaggio è stato qualcosa tipo
“è partito verso la romania in bici e treno. Grande”. Vago, ma credibile.
E come procede la cosa? Sei in solitaria? Se non è blasfemo dirlo, ti invidio.
Hai poi comprato un volo per queste terre maledette?
Vedrai tu come organizzarti, ma nel caso piombassi a Salgar
chiedi per la Casa de las tres Piedras ;-);-)
Spero di leggere qualche tuo intruglio di birra e sudore.
hola hermano!!! como te va la vaina?
qui sono praticamente al giro di boa di metà missione. Quasi a tirare un bilancio. Prima considerazione che sicuramente sarà difficile che possa resistere in italia più di qualche giorno. Seconda considerazione è che è un’esperienza che ti muta di dentro. Poi la fortuna di aver visto un popolo che difficilmente avrei potuto conoscere in altro modo.
Potrei accettare il consiglio di enzo ed andare a vivere in un luogo sperduto ed isolato. Saprei comunque di aver vissuto.
Mai come in questi giorni sono lontano dalla realtà materialistica occidentale. Per certi versi mi sono ancora più isolato di quello che già il posto comportava.
In questi giorni mi tornano alla mente le serate a salgar.
Luce soffusa e voluto isolamento. Già allora.
Non male direi.
Inizio a preparare lo zaino per il lungo inverno. Camminando.
Nulla può valer lo sforzo di fermarsi.
Si tornerà all’origine e alla migrazione.
Hola,
e beato te che puoi permetterti bilanci. 
Qua e' tutto un bombardamento indiscriminato di...nulla, alla fine.
Effettivamente il tempo scorre, da quelle parti probabilmente 
piu' lento del previsto, ma in un attimo sara' comunque tempo di migrare.
In questi giorni di troppe luci e antitetico isolamento (quant'e' lontana Salgar!)
mi sono accorto che non ha poi cosi senso, quello che continuano a ripetere tutti,
da queste parti. Voglio dire: il pandino delle poste,
il dover attrezzarsi per l'autunno, i programmi a lungo termine, 
ancora una volta, li lascio agli altri.
Quello che ritorna con insistenza nella cabeza, invece, 
e' il progetto di viaggio verso est.
Iran, Turchia, Inguscezia, donde sea. 
L'importante e' non avere una meta, solo un po' di adrenalina
e la sana sensazione di sentirsi vivo. 
I quattro soldi del signor posteitaliane vanno spesi in qualche modo,
e mai come in questo momento sento il bisogno di fare un qualcosa
di veramente utile; fuggire, per esempio. Un taglio netto.
E quindi non so che sara' nel tuo zaino per il lungo inverno.
Non so quale percentuale di tutta la carne che sto cercando 
di gettare sul fuoco cuocera' fino a diventare qualcosa di concreto.
In ogni caso, io ci so(g)no.
Sogno isolamento coniugato con movimento.

Leon Bruno


10 Giu

Erano giorni sostanzialmente rock, nel senso che il significato ultimo delle cose consisteva nell’osservare con una certa fatalità intere vite – le nostre, quelle degli altri – scorrere verso la stessa galleria fatta di niente. Persino il sole era nero, annullato da una patina di inconsistenza, sulle nostre teste. Voci di personaggi morti da tempo gridavano il loro vaffanculo dietro le nostre orecchie, voci cariche di veleno verso quell’esercito di ignavi di cui abbondano le storie nascoste, voci di quegli unici eroi senza cavallo né spada che ancora oggi risplendono nel paradiso degli esseri inquieti.

Lontani dal quarantacinquesimo parallelo, lontani da una città che per motivi diversi avremmo anche potuto definire nostra. Apolidi di un territorio fatto di regole assurde definiti dai folli del piano di sopra, camminanti perpetui di una staticità a cui ci eravamo adattati con un certo livello di comfort. Avevamo entrambi i nostri patemi, miliardi di illusioni da inseguire, cumuli di errori dietro alle spalle e trecentocinquanta watt ad aggiungere vibrazioni al nostro  essere vivi. Eravamo esseri umani sostanzialmente brutti, e per questo ci piacevamo.

Ascoltavo le tue storie di quel giorno in ambasciata, a provare a spiegare ad un uomo in divisa che un figlio, per crescere, ha bisogno di un padre. Che non dovrebbero esistere frontiere né pezzi di carta né bolli e timbri, nella logica della natura umana. Pensavo che sarei diventato anch’io un cantante rock, se fossi nato dalla parte sbagliata del mondo. Per cercare in fondo alle corde vocali la legittima difesa da scagliare sul muso di chi offende con noncuranza ed ipocrisia. Per provare a dipingere una concreta linea nera sul fantasma trasparente della libertà.

Leon Bruno è voce grossa nel panorama musicale colombiano. Attiva da più di dieci anni, la band barranquillera ha suonato al fianco di importanti artisti nazionali ed internazionali. Il loro frontman, Moncho, è una delle ultime anime veramente pure che solcano i palcoscenici della nostra era puttana.

Fuori dal (primo) mondo


31 Mag

Traduzione veloce dell‘articolo apparso sul BlueMonk:

Riflettendo sul significato del concetto di “casa”, ci si puo’ ritrovare di fronte a situazioni piuttosto controverse, soprattutto quando i contrasti tra due situazioni sono evidenti almeno quanto i pregiudizi, e le situazioni effettive, paradossali.

Il discorso e’ che mi sono trasferito. Non vivo piu’ in una casetta sulla spiaggia dell’Oceano Atlantico, frazione di Salgar, municipio di Puerto Colombia; sono tornato nel punto di incontro tra Alpi ed Appennini, in un punto qualsiasi delle montagne della vecchia Italia, dove sono nato. Nonostante le differenze possano sembrare infinite, mi stavo dedicando all’esercizio di focalizzare le similitudini, in una specie di studio di un’immaginaria “sociologia dei paesini”, quando un altro tipo di riflessione, questa volta, relativa alla geopolitica ed alle comunicazioni, ha deviato il corso dei miei futili pensieri.

E mi rendo conto, adesso, di come ero fin troppo ben abituato nella mia casetta senza vetri alle finestre, la’ fuori da ogni mappa. D’accordo che dovevo passare la scopa ogni volta che tornavo a casa, di sera, per tirar via mezzo kilo di sabbia dal pavimento. Si spegneva la luce della cucina ogni volta che il frigo si accendeva in automatico – che si puo’ fare. Avevo perfino dovuto condividere diverse volte il mio cibo con ogni tipo di esseri viventi di ogni dimensione, che  saltavano fuori – da chissa’ dove – ad ogni disattenzione. Cosi’ e’ il Tropico.

Eppure, non e’ poca cosa, per un viaggiatore postmoderno ed ipocrita, costantemente incollato a quello che rimane indietro attraverso il web. E la’, nella casetta di Salgar, avevo internet. Qualcosa che nel municipio di Viola, al nord di Italia, piena Unione Europea, pare impossibile.

Ragioni economiche? Politiche? Disattenzione? Chi lo sa. Tutto e niente, a quanto pare. Gli indigeni locali dicono che il cavo dell’ADSL e’ arrivato solamente fino a valle, dimenticandosi di chi vive qualche kilometro piu’ in su. Pero’ in realta’ si sa che il caro signor B. – che, come si sa, ha fondato il suo impero sulla trash-tv commerciale – fa tutto il possibile per frenare l’evoluzione di internet e continuare cosi’ nell’era primordiale della “scatola magica” – un mezzo di comunicazione obsoleto ormai da decenni, nonostante lo dipingano oggi di “digitale” (il fornitore unico dei decoder? Paolo B. Fratello di Sua Maesta’).

Il risultato e’ che la conclusione di qualsiasi analisi di osservazione continua ad essere lo stesso: “primo” e “terzo” mondo sono concetti arbitrari e piuttosto antipatici, una volta di piu’. Se l’accesso ad internet e’ ormai una discriminante fondamentale nel livello di sviluppo di un Paese, si consideri che in Italia il 12 percento della popolazione continua a vivere coattivamente disconnessa dal mondo.

E nella mia casetta di Salgar, tra sabbia ed elettricita’ precaria, insetti e finestre senza vetri, ho trovato, finalmente, il progresso. Wireless.

CasasaC


30 Mag

Quarantadue kili punto quattro, signore. Tanto pesa un anno di vita, chi l’avrebbe mai detto. Un cinquanta percento di libri ed il resto ripartito tra viaggi mentali, calze e mutande sporche, qualche decina di anacronistici cd. Ritratti, disegni, congetture. E poster, pezzi di carta, polvere di mare impregnata nei tessuti. Niente di serio. La notizia e’ che a Bogota’ piu’ di uno sconosciuto mette a disposizione le sue braccia nell’immane sforzo verso il check-in: a Milano non succedera’. E nemmeno a Genova, ne’ a Savona, ne’ mai. Poi, cielo. E una bambina che osserva le nuvole, a cinque anni ha gia’ perso l’incanto di sapere cosa ci sara’ li’ sopra. Nessun dio, piccola. E nemmeno angeli. Solo un airbus pieno di miseri esseri umani con il loro quintale di rifiuti  in eredita’ alla terra laggiu’ in basso, air-lunch, fast-breakfast, papaya sintetica e caffe’ con latte in forma solida. E don Quijote, e Sancho Panzo, e pagine e miglia ed attimi e secoli che volano via, nello spazio ipocrita di una cabina pressurizzata. Osservo la Mancha diecimila metri piu’ in basso, com’e’ cambiato il mondo, sotto la retorica dei mulini a vento. Poi, d’improvviso, Milano. L’ Italia e’ piccola, tremendamente piccola, comparata con gli spazi aperti d’America. Lo sguardo abbandona l’aria e ritorna per la prima volta – da un tempo indefinito – sulla terra, la terra della citta’ in trasformazione, delle Fiat Punto bianche parcheggiate di fronte ai caffe’, la terra dei piccoli orti e i pensionati che dipingono con la loro presenza un giugno ormai vicino. Scorrono le lancette ed il Sole non demorde, vecchio Nord di solstizio d’Estate cosi’ lontano dalle terre del Tropico. Poi formaggi, salami, buon vino nero tra parole in dialetto d’infanzia. Come quella vecchia canzone mangiata tra i nastri degli anni Novanta: “e’ bello ritornare / ma andare, forse e’ meglio”…. Ed infine la notte, la vera ed unica Casa.

(Nel frattempo la Colombia decide cosa vuol fare da grande. Qui e qui gli ultimi articoli su una campagna elettorale indimenticabile).

Pareti spoglie ormai


22 Mag

Come spiegare cosa vogliono dire queste pareti spoglie, segnate di ruggine di un anno di vita. Dire addio ad un microcosmo di cui si incomincia ad essere parte integrante del paesaggio, e le notti con la luna sul letto, e il sudore e la polvere, e centomila parole liberate a voce alta in quelle notti di solitudine. Rimarranno chiuse tra quattro pareti, orfane di una voce, sopravviveranno alla presenza dell’uomo, per natura, passeggera.

Un anno di vita e può essere un giorno o un sogno, la metrica del tempo ha rifiutato ogni catena ed ha agito anarchica, pennellate d’artista su sequenze di immagini in riproduzione casuale. La vita degli altri ha proseguito il suo cammino dall’altro lato della finestra, uno sguardo di elitista differenza ha osservato in silenzio dalla parte sbagliata del muro, lontano da nomi, cognomi, certezze, ipocrisie.

Le notti del Caribe non troveranno più il loro buio. Un’altra pagina si chiude sul libro del viaggiatore, un’altro pezzo di vita sulla schiena per poter ritrovare, un giorno, la radice di déja-vu effettivamente vissuti. Sulla strada del ritorno verso una prevedibile mediocrità, rimane un sapore dolce, sulle dita, a ricordare che effettivamente tutto questo è accaduto, che la libertà è un inganno possibile, ed è nascosta in una casa senza vetri alle finestre, vicino alle tres piedras, a cinque minuti in discesa dall’oceano atlantico.

Quo vadis?


09 Mag

I giorni scorrono via come sabbia tra le mani, in questa eterna stagione che volge verso la sua fine naturale. Tramonta il sole sul cielo del Caribe, ed è una luce arancione accesa, viva, una sola inesprimibile immagine per racchiudere tutti questi mesi (anni?) trascorsi in una vellutata, meravigliosa solitudine, tra pagine ingiallite e quaderni ormai pieni, sotto il letto.

Salgar scompare piano piano. Già da un paio di settimane i miei diciotto metri quadrati di sabbia si sono riempiti di vecchie voci e nuove musiche, un pezzo d’Europa alla deriva su terre che nuove non lo sono mai state. La surreale presenza di un gruppo di amici da queste parti- pochi ma buoni – è un segno dei tempi che evolvono, nonostante l’immobilismo intrinseco nei giorni cotti dal Tropico. Parlare italiano significa ritrovare quella parte di me stesso volontariamente dimenticata sotto il cumulo di giorni mai così uguali, mai così diversi.

Gli ultimi giorni, e tutto si accellera. Quando la candela inizia a galleggiare tra il liquido della cera, è tempo di aver paura del buio che verrà. Un’ultima, effimera illusione, e tutto arricchirà, ancora una volta, l’intangibile fardello di un passato che un bel giorno sembrerà così romanticamente lontano da non esser mai esistito. E’ la fine. E’ un altro inizio. E’ questa cosa strana che qualcuno si ostina a chiamar “vita”, e che altro non è, se non un correre dietro a sé stessi.

(Da oggi qualche pezzo di me gocciolerà, in spagnolo, sull’illustre BlueMonk Moods. Siete tutti invitati).

Io non esiste


23 Nov

Esiste un’alternativa, quando squilla un telefono che si credeva dimenticato. Ed appaiono esseri sconosciuti o semi-conosciuti, che due ore dopo, chiudendosi dietro di sé il lucchetto della porta di casa, si saranno convertiti in amici di vecchia data. Esiste un alternativa per ogni novembre, un soffio di mare per chi ne ha bisogno, esiste un coltello per ogni polso depresso. Ti dicono e che ti ripetono che dio non esiste, che dio siamo noi, che dio è dentro di noi. Non potrebbe esserci niente di più vero. L’arbitrarietà che ci contraddistingue nel definire i colori di un panorama notturno si riduce quando si parla di sfumature, dopo aver assestato un giro di vite alla meccanica dell’anima.

Imparare a volare senza sapere atterrare. Questa è l’unica, vera tragedia.

Diary of a Baltic Man

Real Eyes. Real Lies. Realize.


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