Il nostro documentario “Amazonia 2.0” ha vinto il primo premio (sezione “Amerindia”) all’EtnoFilm Festival di Monselice (Pd):
Per lo sguardo sensibile con cui viene narrata la realtà di un luogo nella selva amazzonica ecuadoregna che, attraverso la forza collettiva degli abitanti, si riscatta nella trasformazione di vecchie utopie in nuove opportunità . Un vero messaggio di speranza che travalica i confini geografici.
Tornano in mente le energie spese, i km accumulati per spingere una barca nel fiume, per tirar giù un aereo dal cielo – l’aereo che dovrebbe riportarti a casa -, per raggiungere, avanti e indietro e avanti e indietro ancora, uno studio di montaggio 102 dodici stazioni più in là , i km a piedi dietro a chi ancora vive il territorio a passo d’animale.
Tutto ha avuto un senso, ma si sapeva già prima.
La piccola storia raccolta a Sarayaku si inserisce nell’album immaginario di centomila vicende sentite e mai reinterpretate, nella collezione di capolavori e controversie che ogni giorno accompagnano il viaggio tra i propri simili. Esci di casa e fai parte del film, sei un pezzo di storia nella storia della storia. Sarayaku, Sarayaku… Sarayaku è lontana, i nomi di chi ci abita significano “suono di selva” o “aquila del mattino”, e nessuno di loro ha la lettera “e” e la lettera “o” [l’alfabeto kichwa non le contempla]. Ma la storia che a Sarayaku si racconta è la Storia di sempre, ed è un discorso fatto di tentativi, capriole, intuizioni e coraggio.
Perchè raccontarla?
Per noia.
Per privilegio.
Perchè è vera.
Perchè in quei giorni un aereo non arrivava.
Come raccontarla?
Con tentativi.
Capriole.
Qualche intuizione.
Un minimo di coraggio, e anche un po’ di codardia.
[il film è costato poco, pochissimo. Due anni di lavoro e poco più. I debiti monetari, quelli ci sono ancora.
Se il discorso è l’autoproduzione, l’abbattimento delle barriere tra chi ha voglia di raccontare e chi ha voglia di ascoltare,
allora
forse
finalmente
l’Amazzonia siamo anche noi].