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I miei sette figli


27 Mar


“…ma cercate di capirmi, io vorrei averli vivi, i figli, ché stessero ancora vicino a me. E ogni padre di famiglia vuole la salvezza dei figli suoi. Per questa salvezza non c’è che un mezzo, che gli italiani si riconoscano fratelli, che non si facciano dividere dalle bugie e dagli odi, che nasca finalmente l’unità d’Italia, ma l’unità degli animi, l’unità dei cuori patriottici.
(…) Io vorrei farvi sentire che cos’è avere ottanta anni, aspettarsi la morte da un momento all’altro, e pensare che forse tanto sacrificio non è valso a niente, se ancora odio viene acceso tra gli italiani.
Che il cielo si schiarisca, che sull’Italia torni la pace e la concordia, che i nostri morti ispirino i vivi, che il loro sacrificio scavi profondo nel cuore della terra e degli uomini. Allora sì, mi sarò guadagnato la mia morte, e potrò dire alla madre dolce e affettuosa, alla sposa mia adorata: la terra non è più come quando c’eri tu, sulla terra si può vivere, e non solo morire di crepacuore. E ai figli dirò: l’Italia vostra è salva, riposate in pace, figli miei”.

Sono le ultime frasi di “I miei sette figli”, le memorie lasciate da un uomo ormai stanco, Alcide Cervi, nel 1955. Vent’anni prima la barbarie fascista aveva fucilato, in un solo colpo, i suoi sette figli maschi, “contadini di scienza”, colpevoli di aver abbracciato la causa partigiana in nome del progresso e della libertà. Mai, nella storia di un popolo – e neppure nelle sue leggende – si era visto il sacrificio di sette fratelli caduti nello stesso istante, e per la stessa causa.

I miei sette figli” è una sintesi, su piccola scala, della storia d’Italia. Raccontata dal punto di vista del padre di una famiglia cattolica e comunista, contadina e moderna, coraggiosa e visionaria e per questo falcidiata dalla grettezza di un Potere miserabile.

Diary of a Baltic Man

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