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24 Mag

[foto di simone rossi]

 

Antonio, 86 anni, saluta i viandanti e li invita a bere qualcosa.
Alle sue spalle scorre l’Isonzo. Lusins in friulano standard. Isuns, Lisuns, Lusinz, Lusins nelle varianti locali. So?a in sloveno, Lisonz in bisiaco. Sontig in tedesco.
È buon costume offrire qualcosa a chi cammina a piedi.
‘Da dove venite’, ‘dove andate’, ‘dove pensate di dormire una volta che la notte scenderà’.
Le domande risuonano in italiano elegante. Voce ferma, sguardo sicuro, Antonio è stato un bambino italiano. Un bambino italiano e quindi un ‘Balilla’, e mentre lo pensa ride divertito, come a dire ‘eppure tutto questo un tempo accadde’.

Con un bicchiere di Campari in mano, Antonio racconta. È appena tornato dalle pianure tedesche. Ha voluto vedere ancora una volta il campo di concentramento in cui è stato rinchiuso, con la sua famiglia, quando aveva dieci anni o poco più. Dachau. In bavarese: Dochau. Pronuncia in italiano: /da’kau/. Antonio è contento di essere stato lì ancora una volta. Il campo di concentramento è zeppo di ricordi di sua madre, suo padre, i suoi parenti. Strano a dirsi, ma è così. Sorride un po’ meno divertito, come a dire: ‘eppure tutto questo un tempo accadde’.

Ma Antonio ride della storia e delle sue frontiere. ‘Qui nel 1945 ci è caduta addosso seriamente. Fino al 1954 questo era Territorio Libero di Trieste. Lo chiamavano così. Poi, è diventata ufficialmente Cortina di Ferro. La linea tra la NATO e il blocco sovietico passava proprio qui’.
Antonio e i suoi vicini si sono ritrovati comunisti jugoslavi. ‘Comunisti’ e ‘Jugoslavi’ sono due termini appicciati dagli altri per immaginare anche lui. Nella realtà delle cose, non significavano niente: il comunismo era un’idea di sofismi lontani, e la Jugoslavia un’invenzione di Tito Broz. Sloveni, Croati, Serbi, Bosniaci e Macedoni riuniti insieme sotto un’unica bandiera: strano a dirsi, eppure tutto questo accadde. Non era un’idea così strampalata: secondo Antonio, la lingua slovena assomiglia più al macedone che alle sue dirette vicine. Un qualche tipo di parentela deve dunque esserci, non è vero?

Così, da venticinque anni a questa parte, Antonio è cittadino sloveno. E da quindici, cittadino europeo.
Chi l’avrebbe mai detto? Dopo le origini austroungariche, l’Italia fascista, la Germania nazista, la Jugoslavia comunista, un’Europa democratica. Dopo le diciassette frontiere che da casa sua doveva attraversare per andare a prendere legna a cinque km di distanza, l’Europa esiste, è un unico bosco.
Ma a Most na So?a (in epoca italiana: Santa Lucia. Prima ancora, in epoca austroungarica: Sveta Lucija o Sveta Lucija na Mostu, in tedesco: Sankt Luzia), l’Europa non ha mai smesso di essere un unico bosco. E chissà se un giorno ci sarà qualcuno che arrivando lì a piedi, arrivando da paesi lontani, si troverà a dire: ‘anche questo un tempo accadde’.

Diary of a Baltic Man

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